LIDO ADRIANO (RA) ǀ NELLO STUDIO DI BU SHI
di MATTIA LAPPERIER
Lo studio nasce, cresce e si sviluppa di pari passo con l’artista. Ne riflette la personalità nel modo più autentico. È testimone silenzioso delle sperimentazioni più ardite, del perfezionamento di tecniche affinate negli anni e custodite gelosamente. È anche il luogo delle infinite prove, delle notti insonni, delle cocenti insoddisfazioni, che tuttavia possono sfociare talvolta in successi inaspettati. #TheVisit ha lo scopo di aprire le porte a tali realtà per loro stessa natura poco accessibili, con il proposito di far luce sulla peculiare relazione che lega l’artista allo studio.
Chi accede per la prima volta nello spazio di Bu Shi non può che rimanere colpito per il suo particolare aspetto. Decisamente minimale nella struttura, ridotto all’essenziale nelle dimensioni, lo studio – o meglio – lo studiolo dell’artista si contraddistingue per il vago sentore esoterico che pare emanare, entrandovi. Ad accogliere il visitatore è infatti una luce soffusa, dalla quale emergono, disseminati tra gli strumenti e i materiali per la pittura, manufatti curiosi, intrisi di misticismo, tra i quali si distinguono: reperti antichi, gioielli, resti ossei, un paio di noci e persino un insolito altarino ligneo, assemblato dallo stesso artista.

Artista di origine cinese, attualmente residente in una piccola località affacciata sul mare Adriatico in provincia di Ravenna, da quando ha terminato il percorso accademico, ha collocato lo studio all’ingresso della propria abitazione. Come dichiarato dallo stesso Bu Shi, si tratta di uno spazio frequentato quasi esclusivamente da lui. Le visite sono piuttosto rare, poiché silenzio e solitudine dal suo punto di vista rappresentano condizioni indispensabili per dipingere. Lo studio diviene pertanto un luogo consacrato alla pittura, alla ricerca e alla contemplazione; un luogo dove ritirarsi dal mondo attivo, in cui individuare nella pratica costante la ragione profonda del proprio operare.

Un tavolino, qualche mensola dove disporre gli strumenti di lavoro, un piccolo cavalletto da scrittoio e una sedia sono i soli arredi presenti nello studiolo. La sua è una pratica artistica paziente e meticolosa che ricorda quella di un monaco amanuense; ogni giorno infatti trascorre ore e ore seduto davanti al cavalletto a dipingere senza sosta. Lavora solitamente su piccoli formati, prevalentemente a tempera su tavola. Negli anni ha elaborato tecniche complesse, sia dal punto di vista esecutivo che compositivo, sperimentando matite, carboncino e acquerello su carta. Dal 2021 è poi passato alla tempera e all’olio su tavola. Spesso incide quest’ultima in modi estremamente elaborati con l’ausilio di punte metalliche o inchiostra il fondo per ottenere un illusionistico effetto di sovrapposizione di piani. Talvolta strofina delicatamente tessuti naturali sul colore steso per lucidarlo, così da raggiungere suggestivi esiti cangianti, in altri casi si avvale di vere pietre o pelli animali, che inserisce deliberatamente all’interno dei suoi dipinti.

A una tecnica articolata corrisponde una figurazione altrettanto complessa. Soggetti ricorrenti – come volti enigmatici, alberi o scrigni – appaiono nelle sue composizioni, associati a ulteriori elementi dall’evidente connotazione simbolica. Il tutto è poi spesso iscritto entro una cornice dipinta, riccamente decorata, che estende ed articola la superficie pittorica, sia in termini spaziali che semantici. Bu Shi ama colori cupi e terrosi, colori che è possibile rintracciare in ambito naturale. Se, come accennato, anni addietro ricorreva a inserti oggettuali, nel tempo ha preso a imitare la pietra o il legno attraverso la pittura. Utilizzando pennelli sottilissimi, con l’abilità e la pazienza di un miniaturista, giunge infatti ad ammirevoli effetti di trompe-l’œil, tali da indurre chi osserva a interrogarsi sulla natura delle varie figure che compaiono su tavola.

Immediatamente accanto alla postazione per dipingere, come già accennato, Bu Shi ha collocato un bizzarro altarino in legno, sormontato da un teschio. La singolare struttura accoglie al suo interno frutti essiccati, legni intagliati con caratteri cinesi, gioielli, statuette e simboli sacri; tutti elementi che nel loro complesso sono espressione di un culto personale, che accoglie emblemi presi liberamente a prestito dal Cristianesimo, dal Buddismo e dall’Induismo. L’altare, prima ancora che oggetto devozionale, esprime compiutamente l’universo figurativo di Bu Shi; possiamo pertanto interpretarlo come uno dei principali serbatoi di materiale iconografico a cui attingere. L’artista trae ulteriori spunti anche dalla propria cultura di origine, allo stesso tempo si lascia ispirare da oggetti quotidiani, da ciò che vede dalla finestra o persino dai suoi stessi sogni. Lo specchio, il teschio, le pietre, lo scrigno, la falena sono alcune delle figure che ricorrono quasi ossessivamente nei dipinti. Se al teschio attribuisce il significato di saggezza e alla falena quello di desiderio sessuale, considerati nel loro insieme, tali emblemi danno luogo a un denso e articolato sistema simbolico, per lo più privato e, di conseguenza, proprio perché elaborato dallo stesso artista, non del tutto intellegibile.

Lo studiolo di Bu Shi, a dispetto delle dimensioni, è fonte inesauribile di sorprese. Tra le conchiglie, i legni incisi, i frutti essiccati ricoperti di argilla e persino una coltura di muschio fatta crescere su pietre (una delle quali proviene dalla sua casa d’origine in Cina), due grandi noci dal guscio lucido e levigato attirano l’attenzione. Quelle che a prima vista potrebbero apparire mere curiosità naturalistiche, sono in realtà “giocattoli culturali”. L’espressione, non del tutto traducibile in italiano, deriva dal termine wenwan, concetto legato all’arte e alla cultura tradizionale cinese che si riferisce alla pratica di raccogliere, apprezzare e giocare con oggetti peculiari o di pregevole fattura, così da trarne appagamento personale. I nobili della dinastia Qing avevano l’abitudine di far roteare una coppia di noci selvatiche sul palmo della mano. Le due noci presenti nello studiolo di Bu Shi, consumate dall’uso, comunicano anche una particolare affezione per i segni dell’usura del tempo sugli oggetti e, al contempo, la predilezione per le cose semplici e quotidiane, in linea con la filosofia giapponese del wabi-sabi, molto cara all’artista. Per estensione, l’intero spazio di Bu Shi è permeato da tale culto per la genuinità del vivere. Sospeso tra secolare tradizione e cultura personale, tra ricercata solitudine e fervida immaginazione, il suo studiolo esoterico è luogo di lentezza, introspezione e autenticità.

Originario del sud-ovest della Cina, Bu Shi (Yunnan, 1993) vive e lavora nella provincia di Ravenna. Ha studiato pittura presso la Sichuan University in Cina e ha conseguito un master in Arti Visive presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 2020. I dipinti di Bu Shi sono solitamente di piccole dimensioni e caratterizzati da colori cupi e antichi. Sono raffinati come gioielli d’antiquariato ma con tracce di uso e di tempo. Inizialmente, il suo lavoro consisteva in una vaga esplorazione della relazione tra l’atmosfera del misticismo e gli oggetti quotidiani. In seguito, ha iniziato a indagare la solitudine, la condizione dell’essere soli di fronte ai propri desideri, l’impotenza e la vulnerabilità. Le strutture simboliche costruite in passato vengono ora impiegate per delineare i contorni di un desiderio indicibile. Egli ritiene che prima di discutere su “la morte sospesa sopra la saggezza”, dobbiamo innanzitutto renderci conto che “il desiderio è sospeso sopra la morte”. Tra le mostre personali più rilevanti si menzionano quelle realizzate presso la Double Double Gallery di Pechino, la CAR Gallery di Bologna e la MOUart Gallery di Pechino. Tra le mostre collettive si ricordano “The Darkest Hour”, alla SARAHCROWN Gallery di New York e “Le jardin des délices”, alla Claire Gastaud Gallery di Parigi. Nel 2022 ha ricevuto la menzione d’onore della Critica e dei Collezionisti (Zucchelli Foundation di Bologna) per la sua opera “The egg of the world”.



