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BOLOGNA | FONDAZIONE MAST | 23 maggio – 28 settembre 2025

di FRANCESCO LIGGIERI

Bologna, Fondazione MAST, primavera inoltrata. Il tipo di giornata in cui la luce è troppo bella per essere ignorata perché hai quella luce da pioggia che se arriva disfa tutti i tuoi piani. Il tipo di luce che, se sei un artista visivo, ti fa venir voglia di metterti a lavorare; ma se sei Mohamed Bourouissa, artista franco-algerino con un curriculum di mostre che include il Centre Pompidou e la Biennale di Venezia, allora probabilmente ti fai una domanda diversa: quale parte della realtà è ancora rappresentabile senza mentire?
Bourouissa, classe 1978, arriva in Italia con Communautés. Projets 2005–2025, la sua mostra più grande mai realizzata in Italia, curata da Francesco Zanot. È un compendio di due decenni di lavoro, che si muove con una precisione chirurgica tra fotografia, scultura, film, musica e altre ibridazioni mediali. Ma sarebbe un errore interpretare questa mostra come un “best of” retrospettivo: è piuttosto una capsula di tempo sociale e politico, un trattato visivo sul potere e le sue disfunzioni, una versione tridimensionale e fotonica delle Lettere persiane di Montesquieu, se Montesquieu fosse cresciuto nelle banlieue e avesse ascoltato hip hop invece che madrigali.

Horse Day, 2014, Color photograph, Photo by Lucia Thomé, © Mohamed Bourouissa ADAGP, Courtesy of Mennour Archives, Paris

La prima cosa che colpisce in Communautés è la serie Périphérique (2005–2008), un classico istantaneo. Immagini che sembrano uscite da un Rembrandt distopico: composizioni tese, coreografie studiate al millimetro, volti e corpi che mimano situazioni di conflitto urbano, realizzate dopo le rivolte nelle periferie francesi del 2005. Qui Bourouissa fa qualcosa di straordinario: restituisce dignità e rappresentazione a persone normalmente ridotte a categorie statistiche o notizie da telegiornale. C’è qualcosa di tragicamente virtuoso in questa estetica del disagio: un’operazione chirurgica sulle retoriche mediatiche che anestetizzano la realtà.

La République, 2006, C-print, 137 x 165 cm, © Mohamed Bourouissa ADAGP Courtesy of the artist and Mennour, Paris

Poi c’è Horse Day (2013–2019), e qui è come se l’artista avesse cambiato emisfero, ma mantenuto intatta la temperatura emotiva. Le scuderie sociali nella periferia di Philadelphia diventano il palcoscenico per un processo di decolonizzazione dell’immaginario equestre americano. Cowboy afroamericani, cavalli adornati come lowriders, fotografie stampate su pezzi di carrozzeria. È un cortocircuito perfetto tra cultura pop e memoria sociale. E se vi state chiedendo dove sia il confine tra documentario e finzione, tra arte e antropologia, la risposta è: sotto i vostri piedi, mentre camminate in mostra. Ma la vera vertigine arriva con Shoplifters (2014). Qui Bourouissa si appropria di fotografie esposte in un supermercato di Brooklynn –ritratti di piccoli ladri messi alla gogna accanto agli oggetti rubati: un pacco di biscotti, una bottiglia di vodka, dei detersivi. Il gesto dell’artista è tanto semplice quanto sovversivo: trasforma quelle immagini da strumenti di vergogna a icone di redenzione. È come se dicesse: “Voi vedete furti, io vedo bisogni.”

Shoplifters Series of 19 color photographs, inkjet print, variable sizes © Mohamed Bourouissa ADAGPCourtesy of the artist and Mennour, Paris

Il nuovo lavoro Hands (2025) è forse il più concettualmente destabilizzante. Immagini su plexiglas, sovrapposte a griglie metalliche: mani che si muovono, che indicano, che tremano. “La griglia è un momento terribile per la sensibilità, la materia,” scriveva Artaud. Bourouissa sembra dirci che lo è anche per l’identità, per la memoria, per la possibilità stessa di un gesto libero. Ecco, Communautés è proprio questo: un archivio di gesti. Gesti quotidiani, disperati, sovversivi, marginali. Gesti che si incastrano nella trama visiva e concettuale della mostra come spine nel fianco del discorso dominante. Bourouissa non racconta storie “su” le comunità, ma le costruisce con i frammenti che la storia ufficiale lascia indietro. Ogni opera è un piccolo sismografo che misura l’intensità del disagio nel corpo sociale. E se è vero che l’arte non cambia il mondo, può però cambiare il modo in cui ci stai dentro. A patto che tu abbia il coraggio di guardare. A lungo. Finché la griglia non diventa specchio.

Hands #34, Photo Louis Rémi, © Mohamed Bourouissa ADAGP, Courtesy of the artist

Mohamed Bourouissa. Communautés. Projets 2005-2025
a cura di Francesco Zanot

23 maggio – 28 settembre 2025

Fondazione MAST
Via Speranza 42, Bologna

Orari: da martedì a domenica ore 10.00 – 19.00. Ingresso gratuito

Info: www.mast.org

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