BRESCIA | Teatro Borsoni
Intervista a CAMILLO BOTTICINI di Ilaria Bignotti
Aveva da poco passato il testimone di Capitale Italiana della Cultura 2023 a Pesaro, eppure non aveva assolutamente intenzione di fermare il processo virtuoso di generazione e rigenerazione sociale e urbana attraverso la cultura e le arti: nella terza settimana di settembre 2024, Brescia inaugurava un nuovo teatro.
Il Teatro Renato Borsoni, fortemente voluto dal Comune di Brescia e diretto dal CTB, Fondazione Centro Teatrale Bresciano, nel 2024 ha festeggiato i suoi 50 anni.
Un teatro non è semplicemente un luogo dove vengono messi in scena spettacoli ed eventi ai quali partecipare: diventa un motore che attiva e pone in circolazione persone e linguaggi, culture e immagini.
Contamina l’arte con la vita quotidiana, e viceversa. Ci prende per mano e ci porta in uno spazio come sosta del tempo vissuto: uno spazio-tempo di spettacolo, stupore, catarsi.
Per questo ogni volta che in una città sorge un teatro, come un museo, sta nascendo la speranza di una vita migliore.
A maggior ragione se un teatro è progettato e costruito in un quartiere quale quello di Porta Milano a Brescia, un’area ex industriale che nei decenni ha subito un progressivo degrado del suo tessuto urbanistico e sociale. Da qui l’illuminato progetto fortemente voluto dal Comune di Brescia dal titolo “Oltre la strada”, nato per restituire alla città, e in primo luogo a chi lo abita e vive quotidianamente, un quartiere rigenerato: dove stare bene, dove crescere i propri figli, dove sentirsi a casa e viversi in una comunità attiva e felice. Un processo virtuoso e complesso, anche faticoso, che è ancora in corso e si gioca su tre livelli di intervento: infrastrutturale, urbanistico e socioculturale.
Di questo processo, il Teatro Borsoni vuole essere il deus ex machina: ne abbiamo dialogato con chi lo ha ideato e seguito nel suo ergersi e aprirsi alla comunità: Camillo Botticini dello studio di architettura Botticini+Facchinelli ARW che in collaborazione con Brescia Infrastrutture ne ha definito il progetto.
Quando uno studio di architettura è chiamato a progettare un luogo culturale, nel vostro caso nella vostra città (avete sedi a Milano e Parigi, ma nascete a Brescia) e in un quartiere notoriamente complesso, immagino senta il peso di una grandissima responsabilità ma anche lo stimolo di fare qualcosa di veramente importante: come avete affrontato questo incarico e quali i pensieri e i metodi di progettazione avviati?
Il metodo di lavoro ha guardato in primo luogo al contesto, leggendone i caratteri specifici per risignificarli ed in particolare per definire un edificio che potesse costituire nei contenuti e nelle forme un landmark per la comunità, in grado di generare spazi collettivi e aperti che definissero un sostanziale “diritto alla città”.
Nello specifico si generano spazi pubblici condivisi sia interni che esterni: interni perché essendo il teatro costituito di due sale, una per gli adulti ed una per i ragazzi che possono qui sperimentare e formarsi, offre alla collettività uno strumento di crescita ed integrazione multiculturale; esterni perché dove prima esisteva un recinto di fabbrica impermeabile, oggi una nuova piazza consente aggregazione e possibilità di spettacoli all’aperto.
Nella descrizione che accompagna il vostro progetto, aprite con una citazione tratta da Le Vite del Vasari: “Il qual composto tutto di diamanti, uno allato all’altro, è molto ricco e vario, e fa bellissimo vedere. […] che non solo recano bellezza et ornamento infinito a quel contado, ma utilità e commodo grandissimo ai cittadini”.
Il Teatro infatti è caratterizzato da quattro elementi: il solido geometrico euclideo (il parallelepipede del corpo principale), il diamante (la superficie bugnata), la torre scenica, lo specchio (i materiali riflettenti in alcuni punti dell’edificio). Elementi che condensano la cultura dell’umanesimo che porta con sé la speranza di una città dove gli uomini vivano pacificati con la bellezza. Quali sono stati i vostri principali riferimenti visuali e progettuali?
L’idea centrale è quello di realizzare un’architettura civile, un edificio che possa essere contemporaneo e legato alla storia, come fosse appartenuto da sempre a quel luogo. Questo principio poetico si materializza prendendo dal Rinascimento (Palazzo Pitti) l’idea del bugnato gigante, mentre la semplice stereometria del volume rimanda alle architetture convenzionali del passato. Sono invece la grande strombatura in alluminio e la torre scenica in policarbonato che spostano il limite verso una dimensione contemporanea ed attrattiva, dove luce e materia cangianti fanno appartenere l’identità del costruito alla sua condizione di macchina attrattiva per lo spettacolo.
Ogni spettacolo teatrale richiede una complessità di azioni incredibili: un teatro deve essere anche un luogo dove sia possibile assemblare ogni messa in scena con tutte le esigenze che ciò comporta. Quanto hanno influito questi aspetti sul vostro progetto?
L’idea si articola secondo due diverse modalità: la sala principale vede una gradonata molto pendente che consente ai 312 spettatori di avere un’ottima acustica e visione della scena teatrale, sopra la quale una torre scenica di 19 metri contiene le macchine necessarie alla “mise en scene”. La sala dei ragazzi si presenta invece senza palco, con uno spazio piano in continuità con quello delle rappresentazioni per favorire l’interattività con gli attori, mentre una gradonata bassa ed arretrata consente di avere i genitori e i giovani spettatori posti in spazi dedicati.
La grande vetrata d’ingresso mette in forte comunicazione esterno e interno del Teatro, come a dire: sono qui, sono aperto, vi accolgo, venire a scoprire cosa succede nel buio che si fa luce dello spazio scenico. Quanto hanno influito l’identità e le problematiche sociali del quartiere sul vostro progetto?
Il mandato culturale dell’Amministrazione è stato quello di recuperare un luogo ex produttivo e dismesso alla città, alla vita urbana.
L’abbandono si portava dietro un degrado non solo fisico ma anche sociale. La sfida è quella di ricolonizzare questa parte di città con una logica di “agopuntura urbana” che generi nuclei di “intensità” e che attivi nuove energie per il cambiamento.
Si auspicano interventi che riqualifichino l’esistente dal punto di vista abitativo e che portando nuove e diverse funzioni migliorino progressivamente l’integrazione delle diverse comunità, altrimenti ghettizzate.
L’acronimo del vostro nome, ARW, sta per Architecture-Research-Workshop: perché avete voluto evidenziare questi concetti, mi riferisco in particolar modo a quello di workshop e di ricerca, e in che modo li traducete nel vostro operato?
In questo acronimo abbiamo voluto sintetizzare la doppia natura del nostro modo di interpretare il rapporto con il progetto: esso è infatti sia strumento di conoscenza, approfondimento delle realtà che questo si trova ad operare nella trasformazione che attua dei diversi contesti, sia dei mezzi specifici di cui si dota, come in un laboratorio dove la sperimentazione si materializza mediante elementi concreti finalizzati al costruire.
Potete anticiparci qualche progetto cui state lavorando oggi?
ARW sta lavorando su progetti a diverse scale di intervento, in particolare a Milano su due ambiti residenziali di social housing esito di concorsi vinti (Reinventing Cities), dove si ridefinisce il carattere spaziale e sociale di aree abbandonate che vengono restituite alla città. A Bergamo è invece in progetto il recupero delle caserme Montelungo Colleoni che saranno destinate a student housing e ad aule universitarie.
Non lontano da Bari è nelle fasi finali il progetto di una nuova università di medicina e scienze infermieristiche per 1100 studenti a servizio del vicino ospedale, mentre a Tirana è in definizione un nuovo quartiere residenziale fortemente integrato al paesaggio lacustre posto a sud della città albanese.
Teatro Renato Borsoni
https://www.centroteatralebresciano.it/teatro-borsoni
Botticini+Facchinelli ARW
https://arw-associates.com/