Scusa, sono al cinema #15
a cura di Mila Buarque
Il fascino è trasmissibile per contatto? Ci sono persone che hanno la capacità di conferire agli oggetti la cosiddetta “aura” elevandoli dalla quotidianità? L’arte del Novecento, da Duchamp in poi, ha abbondantemente risposto a questa domanda. L’Autore ha facoltà di dare, e anche togliere, la patente di artisticità alle cose e addirittura alle persone (basti pensare alle geniali basi di Piero Manzoni che qualificano come opera d’arte qualunque oggetto o persona ci salga sopra ma solo per il tempo in cui rimangono sulla stessa). Si tratta in questo caso di un’operazione consapevole, diretta a un pubblico di iniziati che decide scientemente di riconoscere all’artista questo potere e all’oggetto in questione un valore (anche economico) aggiunto. Altra faccenda è invece la passione, e a volte l’ossessione, per i cosiddetti memorabilia: in maniera particolare, per tutti quelli legati al mondo del cinema. Le scarpette rosse di Dorothy/Judy Garland nel Mago di Oz, il vestito bianco indossato da Marilyn nella celebre scena di Quando la moglie è in Vacanza erano semplici abiti di scena di poco conto. Sarebbe divertente sapere cosa avrebbero pensato i costumisti dell’epoca se avessero saputo che avrebbero raggiunto, molti anni dopo, quotazioni milionarie nelle aste specializzate. Il valore aggiunto in questo caso non è dovuto ad un gesto lucidamente intellettuale, ma alla potenza dirompente del cinema e alla sua capacità di entrare visivamente con le sue storie nel nostro inconscio. Questa potenza ha il potere di trasformare, non solo le grandi star, ma anche le più modeste suppellettili, nelle preziose reliquie di mondi che noi poveri mortali possiamo solo sognare.
Ma che succede quando un’opera d’arte, un dipinto, una scultura, qualcosa cioè già provvisto da sé di un’aura magica, diventa protagonista lui stesso di un film?
Sono tantissimi gli esempi nella storia del cinema. In alcuni casi l’opera era già talmente celebre e celebrata che l’unico effetto tangibile è il semplice aumento della popolarità della stessa e dei visitatori del museo che ha la fortuna di possederlo. Il Cenacolo di Leonardo era uno dei capolavori della civiltà occidentale, oggetto di ammirazione e venerazione, anche prima che diventasse il protagonista del Codice da Vinci. Stesso discorso vale per il Colosseo, star del Gladiatore di Ridley Scott quasi più del Massimo interpretato da Russell Crowe o per la tela di Vermeer che dà il titolo al film del 2003 La Ragazza con l’orecchino di perla.
In altri casi, invece, il dipinto che entra a far parte della storia raccontata sullo schermo è meno famoso del film in cui viene ripreso. Utilizzato dal regista come espediente narrativo o scelto dallo scenografo per caratterizzare un ambiente, una volta esaurito il suo scopo, viene restituito al legittimo proprietario perché possa di nuovo esporlo nel proprio salotto. Ma come dobbiamo considerarlo, opera d’arte o memorabilia? La domanda ci è sorta spontanea allorché sfogliando il catalogo della prossima asta di antiquariato organizzata dalla genovese Boetto (in programma lunedì 28 e martedì 29 settembre 2015, ndr), ci siamo imbattuti in una bella veduta della londinese Trafalgar Square realizzata alla fine dell’Ottocento dal pittore napoletano Ernesto Giroux.
Il quadro è grazioso e rappresenta una tipica scena dell’epoca con la piazza gremita da passanti e gentildonne con l’ombrello, ma quello che ci ha colpito profondamente, facendoci addirittura sobbalzare il cuore, è la sua storia. Il grande Martin Scorsese lo utilizzò, infatti, per una sequenza della sua pellicola del 1993 L’Età dell’innocenza. Il film per chi non lo ricorda o per chi, purtroppo per lui, non ha avuto la fortuna di vederlo, racconta le vicende della Contessa Olenska – interpretata dalla bellissima Michelle Pfeiffer – e la sua tormentata relazione con il giovane Newland Archer (uno straordinario Daniel Day-Lewis). Lo spaccato che il regista americano riesce a dare della società newyorchese dell’epoca, ne fa una delle vette della filmografia di uno dei più grandi registi contemporanei. Il quadro di Giroux si vede nel film solo per pochi secondi, sufficienti per raccontare agli spettatori il soggiorno a Londra del protagonista maschile insieme alla legittima consorte (una giovanissima Winona Ryder).
Ma questa sua fuggevole presenza è stata sufficiente per per far rivivere a chi scrive parte delle emozioni provate alla visione del film più di vent’anni fa. Non al punto da decidere di acquistarlo, ma, insospettatamente, da suscitare un goccio di invidia per chi lo farà.