a cura di MARIA ROSA SOSSAI
La rubrica Cronache dal Sud nasce dall’esigenza di offrire informazioni e spunti di riflessione sullo stato della ricerca artistica in quella parte d’Italia spesso dimenticata e assente nelle riviste specializzate di arte e nelle pagine culturali dei giornali. La rubrica è un osservatorio di fenomeni culturali e di progetti artistici nati e cresciuti in quel Sud che, pur presentando ritardi cronici di sviluppo del sistema dell’arte, accoglie e attrae artisti, musicisti, creativi da ogni parte del mondo. Lasciate le grandi capitali del Nord dominate dalle logiche neoliberali di massima estrazione del profitto, sono molti coloro che desiderano vivere in luoghi dove esistono spazi di immaginazione disorganizzata ancora da esplorare.
Cronache dal Sud #3: Stefan Koppelkamm
Stefan Koppelkamm è un artista, designer, scrittore e fotografo di Berlino, che ha insegnato comunicazione visiva alla Weissensee kunsthochschule berlin (Weissensee Academy of Art and Design Berlin) per più di vent’anni. Nel contesto di uno scambio fra la sua Accademia e l’Accademia di Belle Arti di Palermo ha insegnato per brevi periodi a Palermo. Con il fotografo Sandro Scalia ha curato un progetto fotografico con studenti di Palermo e di Berlino nel 2016 (Le vite degli altri, mostra a Palazzo Ziino con catalogo). Nel 2017 ha pubblicato un libro di fotografie e brevi testi dal titolo Palermo. Lavori in corso (Editrice Hatje Cantz, Berlin). Dal 2018 vive e lavora tra Berlino e Palermo.
Perché Palermo?
La prima volta che sono venuto a Palermo mi sono sentito immediatamente attratto dall’abbondanza visiva del suo patrimonio culturale e da un’atmosfera che non era ancora stata corrotta dallo stile di vita uniforme tipica di un’economia globalizzata. Palermo e Berlino sono difficili da paragonare ma Palermo, o più precisamente il suo centro storico, mi ricorda in qualche modo la Berlino prima del 1989: molti edifici abbandonati che attendono di essere utilizzati in modo creativo e – nel confronto europeo – affitti e costo della vita bassi.
A Berlino, dopo la caduta del muro, una situazione simile si è rivelata molto attraente per i giovani di tutto il mondo, numerosi artisti affermati e start-up del mondo digitale perché era l’unica capitale europea in cui potevano permettersi l’affitto di un appartamento o la creazione di un atelier. L’influsso di giovani artisti, musicisti e designers ha nei decenni seguenti la caduta del muro sprovincializzato la città, ravvivandola e sprigionando le sue migliori energie. È grazie a questi giovani creativi che Berlino ha guadagnato la sua fama internazionale. Ma da quando sono comparsi investitori internazionali e grandi compagnie immobiliari, i giovani artisti non hanno più trovato spazi accessibili, gli edifici dove gli artisti avevano i loro studi sono stati venduti e trasformati in loft di lusso; molti dei nuovi proprietari non vivono nemmeno lì.
A mio parere, la città di Palermo si trova a un bivio: l’aumento del turismo di massa e l’espansione aggressiva della vita notturna – pub e ristoranti stanno gradualmente sostituendo le attività artigianali – minacciano di distruggere il carattere della città in breve tempo. La politica potrebbe ancora dare il via ad uno sviluppo diverso e più sostenibile della città. Ma temo che il centro storico di Palermo stia subendo lo stesso destino di Lisbona, Amsterdam e Venezia. Da parte della politica, non vedo né una visione per il futuro della città né la volontà di contrastare le forze del mercato e le infiltrazioni mafiose. Palermo potrebbe invece imparare dagli errori di altre città e potrebbe diventare un modello unico di sviluppo urbano sociale e sostenibile!
Attività artistica fra Berlino e Palermo.
Per molti anni la fotografia è stata per me un mezzo importante per l’esame critico dell‘ambiente urbano. Tra i miei progetti più noti c’è Ortszeit / Local Time (= Ora locale) – prima un libro (2005) e poi una mostra organizzata dal Goethe-Institut (2009/10), esposta anche a Roma e Napoli. Quando ho attraversato la Germania dell’Est nel 1990, dopo la caduta del Muro e prima della riunificazione, avevo il desiderio di fotografare una situazione che pensavo non sarebbe esistita ancora a lungo. Nelle case, le strade e le piazze che ho fotografato sembrava spesso che il tempo si fosse fermato. Mi ricordavano la Germania prima della Seconda guerra mondiale. Dieci anni dopo, sono tornato in tutti quei luoghi e li ho fotografati una seconda volta esattamente dagli stessi punti di vista. I drammatici cambiamenti sociali ed economici avvenuti nel frattempo si riflettevano nello stato degli edifici e persino nei dettagli più insignificanti.
«Non appena cadde il Muro, ero curioso di vedere un po’ di più di quanto non si riuscisse a vedere prima. Berlino Ovest, dove mi ero trasferito da poco, era una città chiusa in sé, assai autoreferenziale; e io ero tra i pochi che avevano avvertito il bisogno di vedere l’Est già prima di allora». Inizia così questa ricognizione in un mondo altro, certo più povero e arretrato, «ma che ti metteva davanti agli occhi un’altra Germania, quella di prima della guerra». A Ovest, le rovine del conflitto avevano innescato un processo di ricostruzione che più spesso, in realtà, era consistito nella distruzione del vecchio e nella realizzazione di architetture totalmente nuove. «A Est», dice Koppelkamm, «erano troppo poveri per fare altrettanto, e restavano tante cose sorprendenti da scoprire, specialmente per quelli della mia generazione, cresciuti con una specie di gap storico». Francesco Durante, «Come sono nuove le vecchie città (della Germania). Le foto di Stefan Koppelkamm, assai istruttive per occhi napoletani», Corriere della Sera / Corriere del Mezzogiorno.
A Palermo.
Nell’inverno del 2014/15 mi si presentò l’occasione di insegnare per un semestre all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di conoscere meglio una città che mi aveva affascinato sin dalla mia prima visita dieci anni prima.
L’ho esplorata in tutte le direzioni, fino alla sua periferia: fotografarla e scrivere dei piccoli incontri quotidiani è stato per me un modo per capire meglio la città e i suoi abitanti. All’inizio, ho provato un grande stranezza nei confronti di ciò che vedevo e vivevo che non avevo mai sperimentato in nessuna grande città europea. Questa stranezza è stata l’impulso decisivo per la mia indagine fotografica; e la realizzazione di un libro con foto e testi è stato un modo per affrontare in modo produttivo questa stranezza (Stefan Koppelkamm, Palermo. Lavori in corso, Berlin 2017).
Con il libro su Palermo, la mia esplorazione fotografica delle città si è conclusa. Avrei potuto trovare altri soggetti simili su cui lavorare con lo stesso metodo. Tuttavia, il mio bisogno di liberarmi dai vincoli fisici e tecnici del mezzo fotografico cresceva sempre di più. Ho provato, inizialmente con gli stessi mezzi, a realizzare altre immagini. Fotografie – come la foto Circo II – erano il tentativo di spostare i confini del mezzo: dall’univoco all’ambiguo e dalla spazialità alla superficie, eliminando il contesto urbano. I manifesti nelle strade di Palermo e Berlino si sono disintegrati in frammenti, immagini e testi si sono combinati per formare nuovi messaggi enigmatici. All’inizio ho fotografato ciò che trovavo: uno stato prodotto dal sole e dalla pioggia, dai passanti e dal caso. Ben presto però ho perso interesse per l’objet trouvé puro e ho iniziato a prendere in mano il processo di frammentazione sul posto. Poiché a Berlino vengono costantemente incollati nuovi manifesti su quelli vecchi, si formano gradualmente strati di carta stampata spessi pochi centimetri. Esplorando gli strati più profondi, nuove immagini vengono costantemente in superficie. Ho fotografato lo stato finale dell’opera prima di rimuovere i manifesti dal muro per trasportarli in studio per un’ulteriore elaborazione. Per questo motivo le opere iniziali esistono come opere di carta stampata e come fotografie in scala ridotta. Ora lavoro solo con i manifesti, che sono incollati insieme in molti strati, esplorandoli strato per strato per creare nuove immagini. La fotografia viene utilizzata solo per la documentazione, non è più un mezzo artistico. Strisce, griglie o punti dipinti con vernice bianca si sovrappongono alla confusione di forme e colori o si combinano con essi in modo appena distinguibile. In un’intervista, mi è stato chiesto qual è il mio processo di composizione: «La cosa strana del termine composizione è che sembra essere caduta nel dimenticatoio. Se ci si guarda intorno nelle mostre, spesso non sembra più avere un ruolo. La composizione è il tentativo di mettere insieme elementi diversi in un ordine equilibrato. Sono molto interessato a questo aspetto nel mio lavoro. Nelle mie opere su carta, da un lato, c’è il processo di distruzione. Abbatto tutto, distruggo quello che già esiste e poi cerco di creare un nuovo ordine, una nuova composizione. E nel farlo, cerco di trovare un equilibrio, un bilanciamento. Tra gli elementi pittorici, tra le superfici colorate, le lettere e alla fine – e ora arriviamo a un concetto difficile – c’è il tentativo di creare un «bel quadro». Forse sembrerà strano, perché il materiale originale con cui lavoro è piuttosto brutto. Lavoro con la spazzatura visiva. E con questa spazzatura cerco di creare qualcosa di nuovo che soddisfi il mio bisogno di bello.»
Un progetto siciliano.
Mi piace camminare. Due anni fa ho camminato da Piazza Armerina a Nicosia, attraverso un paesaggio vasto, spesso solitario, che potrebbe essere bellissimo se l’eredità della civiltà non rovinasse il quadro ovunque. Rifiuti di plastica ovunque: pellicole e sacchetti di plastica nei campi, tra i cespugli. Bottiglie di plastica sui sentieri, ai bordi delle strade. Il mio progetto attuale è nato da questa esperienza e l’ho chiamato A Sicilian Walk, ho cominciato a marzo 2024 ed è in progress. Il titolo del progetto si ispira all’omonima opera di Richard Long al Museo Riso di Palermo.
Sulla strada che va da Cammarata a Sutera, ho raccolto sul ciglio della strada bottiglie di plastica che giacevano lì da molto tempo. Erano state schiacciate dalle auto ed erano deformate e sporche: brutti rifiuti e prove del nostro mancato rispetto dell’ambiente. Allo stesso tempo, però, sono anche artefatti dall’aspetto strano, oggetti di una futura archeologia. Con esse ho creato una serie di cianotipie: i brutti oggetti si trasformano e diventano strani esseri organici, come se fossero illuminati dai raggi X. Nella prima serie, le bottiglie sono state esposte interamente sulla carta; per la seconda serie ho tagliato le bottiglie e ho posizionato le due metà una accanto all’altra.
Stefan Koppelkamm
www.kkmm.de