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BOLOGNA | CUBO | FINO ALL’8 SETTEMBRE 2021

Intervista a SILVIA MARGARIA di Maria Chiara Wang

A pochi giorni dalla chiusura della mostra La natura (non) ama nascondersi, personale di Silvia Margaria vincitrice del Premio Arteam Cup 2019, curata da Alice Zannoni e allestita presso CUBO – museo d’impresa del Gruppo Unipol – desideriamo approfondire, in una chiacchierata con l’artista, i temi che caratterizzano la sua ricerca, ovvero la natura, con le problematiche e gli interrogativi ad essa collegati, la dimensione del cammino, l’importanza della scrittura e il ruolo del tempo. Le considerazioni prendono il via da una riflessione più ampia che riguarda le tracce che la pandemia ha lasciato anche nella realizzazione di questo progetto espositivo.

Silvia Margaria, La Natura (non) ama nascondersi, 2021 CUBO Unipol, Bologna. Exhibition view. Courtesy: The artist and CUBO Unipol.

In che modo e misura la pandemia ha mutato la prospettiva attraverso cui guardare e interpretare questa mostra che è stata progettata prima degli eventi che ci hanno travolti dall’inizio del 2020 e a causa dei quali è stata rimandata un paio di volte?
La mostra era stata pensata per essere esposta ad aprile 2020 e, nonostante gli accadimenti legati alla pandemia, i contenuti non sono cambiati, mentre la struttura espositiva è stata riadattata per andare incontro alle esigenze di una fruizione contingentata. La prospettiva di lettura inevitabilmente si è spostata su una visione che dialoga con gli eventi vissuti, perché le tematiche della mostra sono state in qualche modo protagoniste dell’esperienza pandemica: la natura, chiave di volta nella mia poetica, è un perenne divenire che si è ripreso spazio quando tutti noi non potevamo più vivere il “fuori” come prima, proprio perché non si può impedire di nascere a qualcosa che esiste per nascere e che si rinnova nel nascere; la memoria del passato, gli interrogativi sul suo valore e le problematiche della sua conservazione, cardini della mia ricerca, sono temi legati anche a come ci si muove nella vita, a un ritmo che durante il lockdown è inevitabilmente rallentato facendo della nostalgia una pratica quotidiana.
Credo che le relazioni tra il dentro e il fuori, il quando e il dove si è, il caso e l’intenzione, siano questioni che corrispondono sia alla vita (indipendentemente dalla pandemia), sia alla ricerca artistica in generale che non può essere estranea all’esistenza, ma agisce con e nel mondo. La pandemia è l’esperienza che probabilmente ci ha fatto percepire il crollo (il nostro è un mondo che sta crollando da un pezzo) e penso che l’arte non debba ricreare gli scenari distopici o le narrazioni apocalittiche della cronaca e del giornalismo, ma proporre visioni in grado di creare un contatto creativo e non difensivo con la complessità, l’incertezza e l’ignoto.

Silvia Margaria, La Natura (non) ama nascondersi, 2021 CUBO Unipol, Bologna. Exhibition view. Courtesy: The artist and CUBO Unipol.

La tua ricerca si fonda sull’ambiguità degli opposti che si ricompongono in un equilibrio duale sempre differente (dispersione/concentrazione, nascondersi/palesarsi, cercare/trovare, solitudine/collettività, memoria/oblio). In che modo questa dinamica dialogica si concretizza all’interno delle tue opere?
La mia pratica prende avvio dall’osservazione attenta e lenta dello spazio (un paesaggio, un fiume, un percorso, un fiore…) cercando di porre attenzione, una maggiore attenzione, alle cose senza colonizzare o trasformare l’ambiente. L’attenzione, l’ascolto e l’apertura a quello che succede e che emerge dall’attesa ha a che fare con la responsabilità, cioè con l’abilità di saper dare delle risposte e di essere presenti per reagire. Una parte della ricerca nasce da questo dialogo, che si traduce per me in una serie di opposti, quelli che citi nella domanda, che corrispondono al riflesso di ciò che osservo e di cui faccio esperienza nella natura.
La fotografia analogica, anche quella vernacolare, mi consente di dare una forma a questi opposti attraverso un esercizio che fa della lentezza e dell’imprevedibilità una metodologia d’azione.

Silvia Margaria, La Natura (non) ama nascondersi, 2021 CUBO Unipol, Bologna. Exhibition view. Courtesy: The artist and CUBO Unipol.

Un altro elemento importante che si riscontra nel tuo lavoro è la dimensione del cammino come processo creativo di riflessione e scoperta: puoi approfondire questo aspetto?
Uno dei modi per fare esperienza di un luogo è camminare. Quando si cammina si osserva con una prospettiva diversa, sembra di vivere lo spazio (e il tempo) più in profondità. Camminare mi consente di praticare quell’attenzione di cui parlavo prima, perché muoversi lentamente amplifica l’intensità, innesca un processo attivo di esperienza. Quando si rallenta, non è solo il tempo a crescere, ma anche la percezione dello spazio, della distanza. Rallentare significa aumentare la quantità di informazioni, esperienze e conoscenze. Concentrare e raccogliere.
Nei due lavori presenti in mostra, l’azione del camminare è stata fondamentale: in Dispersione è parte integrante perché l’atto performativo del progetto si attua in una camminata in alta montagna, mentre in I pass, like night, from land to land è stato funzionale nel rituale quotidiano di raggiungere il fiume Dora sui ponti della città per fotografare i detriti incagliati nella corrente.
Camminando cerco la regolarità del passo, perché la sua uniformità e ripetizione accordano il ritmo fisico con quello del pensiero. Il termine “ritmo” viene dal greco ῥυϑμός (rythmós), connesso con il verbo ῥέω (réo), scorro; il sostantivo significa “forma instabile”, “configurazione di qualcosa che è in movimento”. Indica gli aspetti mutevoli della realtà. Le cose, nel loro cambiamento, vivono nel passaggio alternato tra gli opposti di cui abbiamo parlato prima.
La mia ricerca si compone di progetti che hanno tempi lunghi di produzione; in qualche modo il mio modo di lavorare ricalca il ritmo del camminare, nel quale la lentezza, la ripetitività e la ricerca costante di un nuovo equilibrio fanno sì che si eviti la caduta. Mi vengono in mente alcuni versi della canzone di Laurie Anderson, Walking and Falling, presente anche tra gli appunti in mostra: “You’re walking. / And you don’t always realize it, / but you’re always falling. / With each step you fall forward slightly. / And then catch yourself from falling. / Over and over, you’re falling. / And then catching yourself from falling. / And this is how you can be walking and falling / at the same time.” Camminare e cadere allo stesso tempo. Sono altri due opposti, ma proprio come tutti gli altri, si corrispondono.

Silvia Margaria, Dispersione, 2017 (elementi di ricerca), fotografie vernacolari trovate; copia del libro “La montagna incantata” di Thomas Mann

Se e come la tua precedente esperienza lavorativa da archivista ha influenzato la raccolta, l’organizzazione e la selezione del materiale per questo progetto espositivo in particolare e come incide sulla tua produzione artistica più in generale?
L’esperienza in archivio è stata formativa per la mia ricerca: in Cineteca avevo l’occasione di visionare materiale filmico, catalogare le pellicole e dare una valutazione sul loro stato di usura decidendo così cosa doveva essere conservato e cosa no; l’osservazione dei singoli fotogrammi in maniera statica, l’attenzione ai dettagli e l’accuratezza dei dati sono compiti che hanno certamente stimolato le tematiche fondanti del mio lavoro e impostato una metodologia di pratica. Il lavoro in archivio ha fatto sorgere interrogativi riguardo al valore e alla conservazione e mi ha portato a costruire una mia collezione di materiale fotografico vernacolare (negativi, stampe, diapositive) che in qualche modo ha dato forma ad alcune inquietudini.
La necessità di archiviare, e quindi di conservare, accompagna qualunque attività umana, privata e collettiva. Molto spesso l’uso futuro delle informazioni (e dei documenti) non è prevedibile, ma è necessario essere consapevoli che anche il disordine dei dati, la perdita parziale o totale delle informazioni, l’intenzionale distruzione sono atti destinati a costruire il presente.
L’archivio non solo immagazzina e include, cercando di costruire una narrazione coerente, ma è anche prova di una storia di esclusione, di ciò che non viene conservato o che essendo stato conservato per un po’ è stato poi scartato e quindi cancellato. Lo stesso processo del ricordare comporta il rischio di una perdita di memoria, accidentale o volontaria, anche in una società altamente digitalizzata come la nostra. Si pensa che l’archivio sia una faccenda che riguarda il passato, ma esso è questione del futuro, perché presuppone una risposta, una sorta di promessa e soprattutto una responsabilità per il domani.
In questa esposizione ho voluto mostrare alcuni oggetti, fotografie documentative e appunti per poter dare forma alla narrazione della ricerca e del processo: proprio come ha il dovere di fare l’archivista, ho attuato una selezione, classificando dati e documenti, perché ogni cosa scelta ha un valore nella cornice del racconto.

Anche la scrittura – intesa come dialogo, traccia e memoria – riveste un ruolo chiave nella tua poetica: attraverso quali elementi e modalità la impieghi?
Insieme alla fotografia vernacolare, la mia collezione si compone anche di disegni, epistole e libri usati. Queste ultime due tipologie di oggetti rappresentano una parte della raccolta che ha a che fare con la scrittura, intesa però come segno, traccia, testimonianza: la scrittura a mano – intesa come la calligrafia delle lettere, gli appunti o le sottolineature sui libri – racconta, attraverso la linea grafica, una storia tanto quanto può fare una fotografia.
La scrittura a mano ha una propria personalità ed è un mezzo che richiede un tempo più lungo, un rallentamento nella comunicazione sia nel momento della scrittura di proprio pugno, sia nella lettura di una grafia: il dialogo tra chi scrive e chi legge richiede senza dubbio maggiore impegno e sforzo, ma si caratterizza nell’intimità, come se l’intensità della comunicazione fosse proporzionale al tempo speso nel costruirla.
Ti cito le parole di Giuseppe Marcenaro che sono esemplificative per descrivere l’universo che sta dentro alla scrittura a mano: “Da quei tratti, alcuni perfetti altri di mano esitante, potrebbe affiorare un incongruo messaggio da un aldilà inesplorato. Le tracce non propongono cartografie possibili, sono privatissime geografie. Eppure a margine di quei segni sussistono folgorazioni.” (Dissipazioni. Di carte, corpi e memorie. Ed. ilSaggiatore).

Silvia Margaria, Dispersione, 2017 (elementi di ricerca), scultura in pietra trovata sulle Alpi Marittime, suono di 2 metronomi (arrangiamento sonoro di Federico Dal Pozzo)

La natura (non) ama nascondersi è una mostra che sembra svilupparsi sulla linea del tempo, tra il ricordo e la memoria – rappresentata dalle lettere e dagli oggetti ritrovati – e lo slancio verso un futuro fatto di condivisione attraverso i pensieri scritti che costituiscono l’installazione Prossimo. Che valore assume il tempo nella tua poetica? Come lo traduci nelle tue opere?  
Dispersione, uno dei progetti in mostra da Cubo, è un lavoro del 2017 che non avevo mai mostrato nella sua interezza: si è preso del tempo, forse perché le questioni che lo hanno fatto nascere sono legate alla percezione del tempo. Tempo che vuol dire tanto e tante cose. I Greci avevano tre termini per designarlo: chronos per la successione lineare dei fatti, cronologica e quantitativa; aiòn, che allude alla vita come durata e kairòs che indica l’occasione. Ecco, credo che in questa mostra, come in tutta la mia ricerca, siano ben percepibili questi tre tempi: l’inevitabile successione di passato, presente e futuro; le cose della vita che passano mentre altre resistono (o tentano di resistere) e l’occasione, la possibilità, intesa come lo stare nel flusso degli eventi, nelle cose che accadono.
Prossimo è un’installazione partecipativa, nella quale il visitatore può attivarsi per rendere possibile l’opera, che prenderà forma nel tempo della durata della mostra: al visitatore viene consegnata una busta contenente una lettera scritta a mano da me, un nastrino di stoffa bianca e una penna. Strettamente collegato all’opera Dispersione presente in mostra e riprendendo la pratica usuale tra gli escursionisti di lasciare una traccia per indicare un punto nel proprio cammino, Prossimo è un lavoro nel quale la parola scritta può creare un ponte tra passato, presente e futuro, e tra solitudini vicine. Nella lettera si chiede al visitatore di scrivere sul pezzo di stoffa presente nella busta un pensiero per il futuro e di legare poi il nastrino ad un albero del giardino. La speranza è quella di vedere nascere un insieme esponenziale di parole rivolte al domani: attraverso la volontà di lasciare un pensiero per il futuro, è possibile forse dare vita a dinamiche in grado di generare una riflessione che tenga conto del dubbio, dell’incertezza e dell’ignoto, fondamentali per dare senso alla complessità, necessari per generare responsabilità.

Silvia Margaria, Prossimo, 2021, l’artista al lavoro alla preparazione dell’installazione

Silvia Margaria. La natura (non) ama nascondersi
vincitrice del Premio Arteam Cup 2019

a cura di Alice Zannoni

10 giugno – 8 settembre 2021

CUBO
Piazza Vieira de Mello 3 e 5, Bologna

Info: T. +39 051 507 6060
arte@cubounipol.it
www.cubounipol.it

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