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C’era una volta un futuro è una mostra collettiva di giovani artisti italiani che nasce da una riflessione sul qui e ora di un paese, l’Italia, che appare bloccato da diversi punti di vista, come “sospeso” in un presente senza promessa di futuro.
Il progetto, a cura di Antonia Alampi e Anna Simone, si inserisce all’interno del programma di attività organizzate da Opera Rebis. Dal 5 al 19 marzo in mostra opere site specific e, in parallelo, concerti, incontri, performance, workshop e una pubblicazione in edizione limitata edita da Boîte.

Francesca Di Giorgio: Parafrasando Marc Augé, il presente è diventato l’unica categoria utile alla comprensione di noi stessi e del nostro vivere. C’era una volta un futuro, parte da qui. Quali riflessioni sono alla base del vostro progetto?
Antonia Alampi e Anna Simone: La riflessione su un certo cambiamento nella percezione del tempo e sull’incapacità della nostra generazione di definirsi e proiettarsi nel futuro ha rappresentato sicuramente un punto di partenza nel delineare il progetto.
Una condizione questa che passa inosservata – come dato di fatto – ma che ha bisogno di essere analizzata con urgenza. Questo, insieme alle caratteristiche dello spazio scelto, che rispondevano con esattezza sorprendente alle nostre esigenze di rappresentazione, hanno fatto sì che il progetto si sviluppasse naturalmente.

La location prima di tutto: sede di una associazione tunisina, prima, ex fabbrica di materassi, poi. Come avete individuato e “occupato” questo spazio?
Ci siamo “innamorate” di questo spazio fin dalla prima visita. Si è trattato di un incontro casuale: siamo state invitate a vedere i lavori di un artista che ne usava una parte come studio, ed è scattata subito la scintilla.
Sebbene sia stato chiaro fin dagli inizio che utilizzare un luogo disabitato e completamente in disuso da molto tempo per realizzare un progetto di questa entità sarebbe stato molto impegnativo, abbiamo accettato la sfida. Progetti di questo genere rivelano spesso una grande forza motrice per la sperimentazione e il confronto.

L’utilizzo di spazi “temporary” è diffuso anche a livello commerciale, e fa fronte ad una esigenza tutta contemporanea di contrastare la crisi economica e trovare spazi più “liberi” per sviluppare progetti… qual è la vostra esperienza sul campo?
La ricerca sul campo è stata lunga, lavoriamo a questo progetto da quasi un anno. Sappiamo che in passato questo tipo di operazione artistica in contesti “altri” rispetto alle sedi ufficiali dell’arte è stata un’esperienza fondamentale in questo settore (si pensi alla rassegna Fuori Uso a Pescara, tanto per citare un esempio italiano). Di recente, la crisi del settore immobiliare ha riacceso l’interesse per questo fenomeno, negli Stati Uniti il caso delle “pop-up” galleries sta crescendo a vista d’occhio: le agenzie immobiliari americane hanno stipulato accordi con artisti e associazioni non-profit permettendo loro di utilizzare per un periodo limitato di tempo vetrine e spazi sfitti o in vendita per esposizioni e performance. In questo modo entrambi traggono un vantaggio da una situazione difficile. In Italia c’è ancora scetticismo nei confronti di queste iniziative, ma si spera che col tempo una maggiore flessibilità permetterà, anche in Italia, di “sfruttare” i numerosi spazi lasciati vuoti dalla crisi.

Il recupero di spazi “off” è, poi, attività principale di Opera Rebis, Associazione culturale che sta dietro al progetto. Ci raccontate come lavora e cosa significa far nascere un progetto site related?
Le opere d’arte hanno un legame molto forte con lo spazio in cui vengono esposte.
Creare un progetto site related significa lavorare costantemente sul processo creativo: il lavoro con gli artisti è fondamentale. È un progetto che si sviluppa in progress. Si parte da un’ispirazione e si costruisce una mostra di cui è molto difficile definire l’inizio e la fine. La nostra aspirazione è proprio quella di ripensare i tempi di vita di una mostra e, in futuro, speriamo di riuscire a integrare totalmente nell’esposizione tutte le fasi di pre e post produzione dell’evento, così da coinvolgere maggiormente il pubblico.

Potete darci qualche anticipazione sugli artisti selezionati per il progetto? Come hanno gestito il loro lavoro in relazione allo spazio?
Quasi tutti gli artisti selezionati per il progetto hanno visitato lo spazio e poi proposto un progetto coerente con il concept e con gli ambienti a disposizione. Ovviamente tutti i partecipanti si sono confrontati con risorse economiche minime e hanno scelto, in modi molto diversi, di coinvolgere – e farsi coinvolgere – dal luogo. Tutti i lavori in mostra dialogano con lo spazio in modo inequivocabile. La rielaborazione delle caratteristiche morfologiche dell’architettura, la delimitazione imposta degli spazi, l’obsolescenza tecnologica, le visioni nostalgiche o apocalittiche, sono solo alcuni dei diversi aspetti trattati da opere che s’inseriscono, si amalgamano e traggono ispirazione dallo spazio stesso.

Il progetto in breve:
C’era una volta un futuro
a cura di Antonia Alampi e Anna Simone
Via dei Volsci 114/116, Roma
Info: +39 336 1880377
www.operarebis.com
5-19 marzo 2010
Inaugurazione venerdì5 marzo 2010 dalle ore 19.00
Artisti coinvolti: Thomas Bugno, Luca Cutrufelli, Dario D’, Marco Fedele Di Catrano, Marco Di Giovanni, Elettrophonica, Michele Giangrande, Alessandro Giuliano, Giorgio Orbi, Christian Niccoli, Agnese Trocchi

In alto:
Vedute della location

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