A CIELO APERTO | POSTMEDIA BOOKS
di TOMMASO EVANGELISTA
Parlare di arte partecipata, oggi, significa affrontare uno spetto di ricerca molto ampio e stratificato che affonda le sue radici sicuramente nelle performance, happening e body art degli anni Sessanta ma che si differenzia per una maggior attenzione al contesto sociale e al sostrato demo etnoantropologico dei luoghi nei quali va ad operare. Dispersa l’eredità religiosa accumulatasi nei secoli, con i suoi riti e le sue funzioni, pare oggi sia compito dell’arte contemporanea salvare dall’oblio gli spazi vitali delle comunità, con le loro memorie stratificate.
Il nuovo libro recentemente edito da Postmedia Books, “A cielo aperto. Pratiche di collaborazione nell’arte contemporanea a Latronico”, a cura di Bianco-Valente e Pasquale Campanella, indaga pratiche artistiche sperimentate nel piccolo paese lucano di Latronico, nel corso degli ultimi dieci anni. Proprio gli autori, Giovanna Bianco, Pasquale Campanella e Pino Valente, curatori delle varie edizioni di A cielo aperto, insieme all’Associazione Culturale Vincenzo De Luca, hanno radicalmente trasformato la parte più antica del paese facendo interagire il territorio, durante le diverse edizioni, con gli artisti Fabrizio Bellomo, Francesco Bertelé, Bianco-Valente, Stefano Boccalini, Elisa Fontana, Andrea Gabriele e Andrea Di Cesare, Michele Giangrande, Elisa Laraia, Antonio Ottomanelli, Giuseppe Teofilo, Eugenio Tibaldi, Wurmkos, Virginia Zanetti. Il testo quindi, oltre ad essere un prezioso manuale sulle differenti pratiche artistiche attuate, risulta un prezioso strumento teorico di approfondimento, forse il primo in Italia per l’indagine “critica” osservata sul e dal campo, grazie al contributo di tanti critici d’arte e curatori: Maria Teresa Annarumma, Aste&Nodi, Angelo Bianco, Simona Bordone, Pasquale Campanella, Giusy Checola, Tommaso Evangelista, Pietro Gaglianò, Thomas Gilardi, Elio Grazioli, Matteo Innocenti, Marco Petroni, Alessandra Pioselli, Leandro Pisano, Pietro Rigolo, Elena Giulia Rossi, Gabi Scardi, Elvira Vannini.
Il lavoro sul contesto risulta fondamentale e il duo Bianco-Valente, da sempre attento alle interazioni all’interno degli ecosistemi e ai mutamenti dei flussi vitali, e di informazioni, nei luoghi dell’agire umano, è riuscito a presentare processi creativi assolutamente validi. Arte partecipata, infatti, significa che dalla produzione di opere si è passati alla costruzione di processi che rimettono in discussione il rapporto fra artista e pubblico, rendendo la materialità dell’opera effimera o fluida, ponendo l’accento sulla dimensione situazionale e relazionale della creazione. Il coinvolgere direttamente il pubblico nel processo creativo, in qualità di coautore o osservatore, comporta che l’incompletezza dell’opera viene colmata dalla coscienza del suo utilizzo/utilità nel contesto. Riprendendo un’intervista del 2014 di Ilaria Tamburro a Bianco-Valente, proprio i due curatori-artisti ci spiegano come intendono il lavoro (critico) nello spazio e quali reazioni tentano di far accadere: «Immaginiamo l’architettura di un luogo come diretta espressione della comunità che vive in quel luogo, ma è anche vero che ogni modifica alla struttura architettonica di quel luogo (ad esempio un nuovo palazzo, una nuova piazza, una nuova definizione degli spazi per il tempo libero) indurrà un’alterazione nel modo di vivere e di stare insieme, e una socialità nuova indurrà un nuovo cambiamento dello scenario architettonico, e così via all’infinito»[1].
La dinamica dell’estetica diffusa e l’alterazione (visiva, sociologica, antropologica) del territorio sono oggetto di analisi nel testo che si dimostra ricco di spunti critici. Pasquale Campanella, co-curatore della rassegna, sottolinea nel suo scritto l’importanza della figura dell’artista quale produttore concreto di oggetti/azioni sensibili, che lasciano tracce concrete del loro passaggio o del loro esserci per la comunità: «Ci siamo interrogati su quanto fosse necessario che ogni progetto conducesse a un esito finale visibile, non necessariamente diretto alla produzione di oggetti. A volte sono state azioni ed eventi che non hanno lasciato tracce permanenti nello spazio urbano […] Gli artisti hanno capovolto il processo creativo, non più un lavoro anticipatorio ma l’attivazione concreta di politiche culturali sostenibili che avvengono attraverso lo scambio»[2].
Maria Teresa Annarumma, in Latronico è più grande di New York, sottolinea l’importanza del lavoro sul locale e sulla quotidianità della storia, che nel meridione è sempre storia di resistenza: «L’arte se risponde ancora alla sua vocazione sperimentatrice e rivoluzionaria, non può non accettare la sfida del locale e avvicinarsi ai suoi interlocutori. Il locale, quindi, diventa necessario spazio di evoluzione e di confronto»[3]. Pietro Gaglianò legge gli interventi di Latronico quali tentativi di ricucire il tempo e perenni verifiche sulla presenza dell’individuo, e quindi dello sguardo: «La maggior parte dei progetti realizzati per A Cielo Aperto condividono questa centralità, questo investigare i confini della rappresentazione immateriale: non è un ossimoro, la rappresentazione immateriale, è la descrizione di come l’immagine tracima dai propri confini e diventa parte del tempo»[4]. Marco Petroni analizza il ruolo “politico” degli interventi, inserendoli in più ampie dinamiche culturali che ricercano l’autentico e il senso profondo del territorio attraverso il tentativo di ristrutturare la visione e il vissuto: «A Cielo Aperto lavora, quindi, sulla ricostruzione di un legame sociale caricando gli artisti di una responsabilità che definisce e dà forma a una comunità»[5]. Interessante l’analisi di Alessandra Pioselli sul ruolo politico delle azioni, sull’estensione dell’estetica nello spazio vitale e sulle strategie (artistiche) di sottrazione e rimodellazione degli spazi e delle memorie. Per Leandro Pisano l’interazione con il paese comporta interferenze e pratiche sperimentali d’azione, con la comunità che è capace di aumentare la propria soglia del visibile, di nascondere i rimorsi e immaginare orizzonti della crisi: «All’interno di questo spazio, gli incontri, le dinamiche, le interazioni, i movimenti, i flussi regolati dai linguaggi e dalle pratiche dell’arte configurano una comunità sperimentale»[6]. Tale lavoro sull’immagine è ben presente, per esempio, nell’opera di Michele Giangrande: «Ho sempre lavorato su un’idea di architettura del visivo che tiene conto del concetto di collocazione ambientale come filosofia dello spazio. La ricerca di una nuova oggettualità che si crea da altre forme; l’oggetto si reinventa in una spazialità che reinterpreta i nuovi contenuti formali. C’è un’allegoria del visivo in quanto si unisce un materiale a un concetto»[7], mentre Virginia Zanetti sottolinea il dialogo, indispensabile, con la comunità; più che il curatore è l’artista che deve “prendersi cura” delle persone: «L’artista ha una grande responsabilità nei confronti degli altri e dovrebbe sempre tener conto di questo quando lavora. Per questo seguo una sorta di metodo. Ogni volta che ho una performance o una grossa produzione da realizzare, scelgo anche di dedicarmi alle persone che ho intorno»[8].
Bianco-Valente, riflettendo sulla loro opera Ogni dove, per concludere, ci parlano, in sintesi, dell’importanza sociale del progetto che si sta portando avanti in Basilicata, ovvero del tentativo, attraverso l’arte, di cercare di fermare la dispersione della memoria, del tempo e della propria identità: «Ogni dove è un omaggio a Latronico e nasce da una riflessione degli artisti sul fenomeno dell’emigrazione che nel tempo ha spinto gran parte della comunità ad allontanarsi dal proprio luogo di origine. Il perdurare di questo processo ha spezzato a ogni generazione la naturale continuità di intenti e azioni, arrestando così la progettualità a lungo termine che invece contraddistingue le comunità non afflitte, in maniera così marcata, da questo fenomeno»[9].
Il risultato finale di tutto questo processo è allora la diversa consapevolezza delle persone coinvolte le quali, formati dagli interventi artistici, perdono la tipica diffidenza e soggezione verso l’arte contemporanea sperimentando la curiosità e, con essa, un maggior desiderio di partecipazione e condivisione. Latronico diventa pertanto un “luogo fuori dal luogo” e tale testo, estremamente documentato dal punto di vista iconografico e rigoroso dal punto di vista critico e di analisi, è perfettamente in grado di dimostrarlo.
Titolo: A cielo aperto
Pratiche di collaborazione nell’arte contemporanea a Latronico
A cura di: Bianco-Valente e Pasquale Campanella
Editore: postmedia books
Anno: 2016
Pagine: 296
Costo: 21,00 euro
NOTE:
[1] http://www.bianco-valente.com/texts/ilaria_tamburro_ita.htm
[2] Bianco-Valente, P. Campanella (a cura di), A Cielo Aperto. Pratiche di collaborazione nell’arte contemporanea a Latronico, Milano 2016, pp. 18-19
[3] A Cielo Aperto, op. cit., p. 27
[4] A Cielo Aperto, op. cit., p. 31
[5] A Cielo Aperto, op. cit., p. 36
[6] A Cielo Aperto, op. cit., p. 48
[7] A Cielo Aperto, op. cit., p. 72
[8] A Cielo Aperto, op. cit., p. 186
[9] A Cielo Aperto, op. cit., p. 221