Non sei registrato? Registrati.
PRATO | STUDIO BBS-PRO | 12 MARZO – 26 GIUGNO 2022

Intervista a IPER-COLLETTIVO e DAVIDE SARCHIONI di Mattia Lapperier

Lo scorso 12 marzo l’Associazione Accaventiquattro Arte ha inaugurato Plastic W(e)ave, il nuovo progetto di IPER-collettivo ideato per lo spazio espositivo dello studio BBS-pro di Prato, a cura di Davide Sarchioni. Il progetto muove dalla riconversione di un oggetto-icona della produzione tessile: il cilindro forato di materiale plastico, interamente riciclato. Generalmente utilizzato per la roccatura dei differenti tipi di filato, in Plastic W(e)ave diventa l’unità costitutiva dell’intera opera. La mostra inoltre ha dato avvio al primo capitolo del nuovo programma espositivo dell’Associazione Accaventiquattro Arte, condiviso dallo studio BBS-pro, basato sull’attivazione di processi sinergici tra artiste, artisti e le aziende del territorio pratese (e aree limitrofe), con il coinvolgimento degli enti pubblici locali, quale modello virtuoso di produzione culturale. Ci parlano della mostra e di tale nuova frontiera di produzione culturale IPER-collettivo e il curatore della mostra, Davide Sarchioni.

IPER-collettivo, Plastic W(e)ave, 2022, 10.000 coni da filatura riciclati, courtesy Accaventiquattro e BBS-pro, ph. Margherita Nuti

IPER-collettivo – formato da Marco Conti (Prato, 1988), Giulia Landini (Prato, 1992), Lorenzo Romaniello (Pistoia, 1988) e Lorenzo Vacirca (Prato, 1988) – è composto da giovani che fanno capo a formazioni, esperienze e contesti lavorativi diversi. Cosa vi accomuna? Come nasce Plastic W(e)ave?
IPER-collettivo: Il nostro è un gruppo che fa dell’eterogeneità il suo punto di coesione. Avendo background e percorsi formativi differenti, riusciamo a combinare all’interno dei nostri lavori riflessioni e tematiche frutto di sensibilità e prospettive differenti. Questo ha permesso che la formazione della nostra identità avvenisse nel tempo in maniera matura e spontanea. Negli anni successivi alla nostra laurea abbiamo continuato a collaborare e a scambiarci le nostre visioni con frequenza sempre maggiore, perché legati da una visione propria e, allo stesso tempo, condivisa sull’architettura, le arti e l’ecologia. Il perseguimento delle nostre carriere professionali ci ha permesso di orientarci verso particolari interessi personali e successivamente di condividerli, sviluppando e delineando la nostra identità come team, che alla fine è emersa in IPER-collettivo. Il gruppo è quindi unito dalla passione per la sperimentazione, la creatività, la sostenibilità e le forme di espressione interattiva. Sin dalla sua formazione, la ricerca di IPER-collettivo ha indagato la relazione tra il territorio e le sue comunità, con l’obiettivo di esprimere le nostre visioni attraverso progetti socialmente coinvolgenti: una rappresentazione materiale delle tradizioni e dei modi di vivere in evoluzione. Spesso l’esperienza del collettivo si estende anche attraverso l’affiancamento e la collaborazione con altre associazioni locali attive nell’area tra Prato e Firenze, organizzando insieme workshop di co-design e progettazione partecipata.

Il progetto Plastic W(e)ave nasce dalla volontà di raccontare attraverso la sperimentazione tra arte e design il mondo dell’industria tessile pratese che, sin dall’epoca medievale, ne caratterizza la sua identità sociale e urbana, organizzando un sistema produttivo unico nel panorama industriale. Il modello produttivo che ha sempre caratterizzato Prato non fa capo a grandi fabbriche, ma a una fitta rete di piccole e piccolissime aziende dove ognuna, come l’ingranaggio di un grande macchinario, svolge uno specifico ruolo. Per tale ragione, il ciclo di produzione dei tessuti difficilmente avviene all’interno di una singola azienda. Contrariamente alla logica imprenditoriale secondo cui, per ridurre i costi, le attività industriali sono fuse in un unico complesso, a Prato invece ogni fase della lavorazione (filatura, orditura, tessitura, tintoria e rifinizione o finissaggio) è totalmente indipendente dalle altre, e in stretta concorrenza: dispersione invece di accentramento, e pluralità piuttosto che uniformità.

Questa formula si è dimostrata nel tempo vincente, non solo dal punto di vista dell’efficienza e competitività, ma addirittura nella sua sostenibilità economica, permettendo lo sviluppo e il mantenimento delle attività nel territorio. Viaggiando tra i quartieri e le periferie della città è quindi facile imbattersi in oggetti evocativi che raccontano il patrimonio industriale di Prato. Uno di questi è il rocchetto, un elemento da sempre utilizzato nei macchinari di filatura costituito da un’anima cilindrica su cui viene avvolto il filo tessile. Il rocchetto è dunque l’elemento che sintetizza e incarna al meglio l’identità industriale locale. Nessun altro oggetto potrebbe essere più esplicativo. Le sue intrinseche proprietà modulari, la ricchezza cromatica e la reversibilità del materiale, unite al forte valore iconografico dell’oggetto, sono la base su cui si sviluppa l’opera realizzata negli spazi di BBS-pro. L’installazione è creata assemblando verticalmente insieme circa diecimila rocchetti di plastica 100% rigenerata (prodotti da Mariplast Spa), ottenendo una struttura dalla pianta rettangolare che partendo dal livello orizzontale sale verso l’alto creando l’effetto dinamico di un’onda (Wave), ma anche evocando il movimento frenetico del telaio (Weave). I cilindri plastici, infatti, funzionano come la trama e l’ordito, permettendo di ricreare tridimensionalmente il pattern geometrico che caratterizza l’opera, la cui composizione ha origine da un precedente lavoro di ricerca sui tessuti storici svolta all’interno degli archivi del Museo del Tessuto di Prato. Il risultato di selezione e rielaborazione ha infine portato alla creazione di un pattern bicromatico, dall’andamento sinusoidale, che gioca sull’interazione dei colori accesi e complementari attraverso il dualismo giallo-viola, generando una texture pixellata dal forte impatto visivo.

Plastic W(e)ave però non è pensato per essere percepito solo a livello visivo; la sua ideazione si inserisce in un percorso di studio empirico portato avanti dal collettivo che individua, nella sperimentazione del design, l’esplorazione di nuove possibilità di interazione. Pertanto l’opera si configura anche come una struttura che può essere vissuta spontaneamente e liberamente dai fruitori; come uno spazio di socialità alternativa, in grado di creare cioè interazioni fuori dagli schemi convenzionali. In linea generale, l’installazione vuole porsi come un ponte tra la tradizione e le tecnologie produttive contemporanee, in cui i rocchetti, da oggetti industriali di uso comune, vengono elevati al livello di iconico modulo, capace di raccontare la vera anima della città, conservata nel suo patrimonio industriale e preservata nelle storie delle sue operose generazioni di lavoratori.

IPER-collettivo, Plastic W(e)ave, 2022, 10.000 coni da filatura riciclati, courtesy Accaventiquattro e BBS-pro, ph. Margherita Nuti.jpg

Plastic W(e)ave può essere toccata, calpestata e utilizzata in maniera creativa come piattaforma polifunzionale o come seduta per il pubblico. L’opera pare ideata e realizzata per accorciare la distanza che talvolta intercorre tra il grande pubblico e l’arte contemporanea. L’arte nei luoghi di lavoro può contribuire attivamente per colmare, almeno in parte, tale distanza?
IPER-collettivo: Ci teniamo sempre a precisare che IPER-collettivo è un gruppo di designer, non ci definiamo quindi artisti. In quanto designer ci sentiamo coinvolti in prima persona nel processo creativo, progettuale e realizzativo di dispositivi pensati per le persone e le loro interazioni con la collettività. Plastic W(e)ave, così come le altre installazioni di rocchetti tessili – Plastic Landscape, Plastic Textile, Sitz-puzzle, Fabbricazione nasce come dispositivo urbano, pensato per essere fruibile in uno spazio pubblico. Un prototipo di oggetto nuovo, interattivo, in cui fruitori – i cittadini – ne definiscono di volta in volta la sua funzione in base alla propria esperienza. Non è del tutto corretto parlare di polifunzionalità: questa è una parola che lasciamo volentieri agli anni Novanta dei “centri polifunzionali”. I nostri lavori cercano una funzione precisa che però non è definita a priori dal designer. Il concetto di “arte” entra in gioco nel momento in cui questo oggetto è sperimentale e sperimentato, non convenzionale e non piegato a logiche di mercato o di produzione seriale, non pensato con o per i soggetti per cui si crea.

Il “white cube” di BBS-pro è solo una vetrina-gabbia, un luogo in antitesi al concetto stesso di Plastic W(e)ave e dal quale attende di essere liberato nello spazio collettivo. È la tappa di un cammino per portare i rocchetti a diventare oggetti ready-made, a servizio di un nuovo design. Lavoriamo con i rocchetti come con altri oggetti di riuso, di facile reperimento e facile assemblaggio, modulabili in strutture variabili e multiformi. In questo senso l’arte contemporanea, nell’accezione che si evince dalla domanda è, e resta, a ragion veduta, lontana dal grande pubblico. Noi in prima persona siamo il grande pubblico lontano dall’arte contemporanea borghese e radical-chic. Il nostro lavoro mira a essere digerito, agito e significato dal pubblico stesso. I nostri lavori sono tutti interattivi e, laddove possibile, fatti e creati dalle persone in auto-costruzione. I luoghi di lavoro sono quindi solo alcuni dei luoghi in cui ci immaginiamo disposti i nostri prototipi, alla maniera degli “istogrammi di architettura” dell’esperienza radicale toscana degli anni Settanta, gettati in pasto alla manipolazione della gente, in attesa di nuovi significati.

Attenzione però, quando parliamo di luoghi di lavoro ci riferiamo agli spazi di relazione delle fabbriche, ai luoghi comuni delle aziende, e non certo ai salotti “bene” di sedicenti mecenati contemporanei. L’arte non è abbellire il salotto ma disegnare consapevolmente lo spazio della gente. Parlare di arte nei luoghi di lavoro e di rapporto tra arte e impresa ha senso soltanto se si riconosce all’arte la dignità di essere un lavoro, la dignità di essere un’impresa al pari di quella manifatturiera, la dignità di essere una professione. E anche laddove ci si riempie la bocca di belle parole e nobili intenzioni, spesso non si fa altro che riconfermare quei meccanismi che relegano l’artista a una sorta di accattone in cerca di elemosina.

Attivare processi sinergici tra arte e aziende, modelli virtuosi di produzione culturale, deve significare innanzitutto riconoscere all’artista la dignità di un professionista e riconoscere fin dal momento della produzione artistica il giusto compenso e non lasciare ai mercanti e profittatori di banchettare del suo sudore. Il modello sarà dunque esportabile solo quando l’artista, o designer dell’arte, sarà considerato al pari di un qualsiasi altro professionista, pagato per il suo lavoro intellettuale e finanziato nei mezzi necessari per la sua produzione.

Plastic W(e)ave (dettaglio), ph. Margherita Nuti

Lo Studio BBS-pro di Prato propone un virtuoso e innovativo esempio di sinergia tra arte contemporanea e un’azienda del territorio. Un modello esportabile?
Davide Sarchioni: Credo sia importante, anzitutto, ribadire quanto la presenza di opere d’arte nei luoghi di lavoro contribuisca in maniera determinante a migliorare sia la qualità della vita che la produttività in azienda. Ma la sola opera d’arte, esposta come un trofeo o come simbolo di uno status sociale, non basta. Lo scorso dicembre 2021, in occasione del progetto espositivo del duo Antonello Ghezzi We Wish You, i dipendenti dello studio BBS-pro hanno partecipato alla co-creazione di un’opera in edizione limitata, invitati dagli artisti ad “affidare” loro i propri desideri, quale fonte di ispirazione.

Nell’attuale progetto Plastic W(e)ave è stata invece coinvolta un’altra azienda del territorio, Mariplast Spa, che ha messo a disposizione la produzione di rocchetti per filati impiegati da IPER-collettivo come elementi costitutivi di un’imponente installazione praticabile e interattiva.

Con l’associazione Accaventiquattro abbiamo inaugurato un nuovo capitolo della nostra collaborazione con lo studio con BBS-pro che mira ad analizzare e promuovere pratiche virtuose tra artisti e imprese, sperimentando il senso profondo di tale sinergia e il valore culturale che ne deriva. Operando su Prato, città a vocazione industriale legata alle eccellenze del settore tessile, cerchiamo di cogliere l’opportunità di invitare gli artisti a lavorare con le materie prodotte delle aziende del territorio per sollecitare nuovi processi creativi, di scambio reciproco e prolifico: gli artisti possono lavorare con materiali inediti, lasciarsi ispirare da essi, conoscere i processi di lavorazione e approfondire la storia dell’industria pratese;  le imprese, partecipando attivamente alla realizzazione di un’opera d’arte, hanno la possibilità di confrontarsi con gli artisti e vivere un’esperienza unica e arricchente.

Il nostro obiettivo è quello di coinvolgere sempre più l’imprenditoria locale come parte attiva nella produzione artistica e culturale in un’ottica di sostenibilità, per poi riuscire gradualmente a creare una rete sinergica tra alcune aziende del distretto pratese, enti pubblici e associazioni che possano condividere la nostra stessa visione e lavorare in stretta connessione.

Proponiamo così un modello basato sulla sostenibilità creativa, esportabile in altri contesti e replicabile in differenti tipologie di realtà aziendali.

Quante e quali possono essere le implicazioni – sia sul piano estetico-percettivo che su quello pratico-organizzativo – per tale tipologia di produzione culturale?
Davide Sarchioni: Non tutti gli artisti hanno la sensibilità e la capacità per poter lavorare con la specificità dei materiali prodotti dal distretto tessile pratese e per questo motivo siamo molto attenti a selezionare con cura chi decidiamo di coinvolgere in questa tipologia di progetto. Gli artisti devono riuscire a ideare un’opera che riesca ad esaltare le qualità estetiche e le proprietà fisiche dei materiali attraverso intuizioni creative e innovative, pur rimanendo fedeli alle peculiarità che contraddistinguono il proprio linguaggio e percorso di ricerca. Nel momento in cui viene individuato un artista abbiamo già in mente con quali materiali potrebbe lavorare e l’azienda a cui proporlo. Ha inizio così una nuova avventura all’insegna della sperimentazione, che richiede uno scambio continuo tra noi, l’artista e l’azienda, spinti dal desiderio di conoscere il nuovo approdo.

Durante il periodo di apertura della mostra sono previsti incontri e talk mirati ad approfondire le relazioni tra arte e impresa?
Davide Sarchioni: Stiamo organizzando un incontro, previsto nel mese di giugno, con IPER-collettivo, alcuni imprenditori locali, rappresentanti della pubblica amministrazione e altre differenti figure e professionalità, allo scopo di divulgare, raccontare e approfondire il progetto e l’esperienza legati alla mostra, ma anche per sensibilizzare nuovi potenziali interessati e sostenitori. Saranno inoltre analizzati altri esempi virtuosi selezionati sul territorio nazionale che potranno rammentare ulteriori pratiche da seguire.

Ritratto di IPER-collettivo, 2022, ph. Margherita Nuti

IPER-collettivo. Plastic W(e)ave
a cura di Davide Sarchioni

Organizzazione: Associazione Accaventiquattro Arte
Con il sostegno di: BBS-pro
In collaborazione con: BBS-Lombard Società Benefit
Partner tecnico: Mariplast Spa

12 marzo – 26 giugno 2022

Studio BBS-pro
v
ia del Carmine 11, Prato

Orari e giorni di visita: Dal lunedì al venerdì: dalle 8.30 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00 / sabato: su prenotazione

Info: accaventiquattrogallery@gmail.com

Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •