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BOLOGNA | CUBO | 20 GENNAIO – 28 MARZO 2020

Intervista ad ALESSANDRO LUPI di Livia Savorelli*

Quella di Alessandro Lupi è una più che ventennale esperienza di relazione e di dialogo con la luce, amata sin dall’infanzia, quando sognava di fare l’inventore, assecondando la propria creatività e voglia di sperimentare. La spinta a “superare i limiti” ha caratterizzato la sua ricerca, spingendolo a declinare il medium nelle sue più multiformi sfaccettature e ad intraprendere, nel costante equilibrio di luce ed ombra, un viaggio nella percezione in cui «la luce del sole, le ombre, e la luce artificiale, l’aria, la cinetica e lo spazio diventano essi stessi parte dell’opera».
In vista di importanti appuntamenti e consacrazioni che lo vedranno impegnato per tutto il 2020, ripercorro con l’artista le tappe salienti del suo poliedrico percorso…

Alessandro Lupi, Scala (part.), 2019, dalla serie Ombre (2014-2019). Courtesy: CUBO

La luce è per te elemento che permette di innescare nella percezione da parte del fruitore un processo di “inversione”, una duplicità dell’approccio all’opera che porta a muoversi in un territorio dicotomico basato su opposte categorie – interno | esterno, vita | morte, libertà | prigionia, reale | virtuale – in cui nessuna di esse prevale sull’altra… Cosa ti ha portato agli inizi del tuo percorso ad avvicinarti a questo medium? Cosa ricercavi e quali modelli di riferimento avevi?
Sono sempre stato affascinato da queste dicotomie, che non esistono l’una senza l’altra: non può esistere il buio senza luce, come la morte senza vita, così come non può esistere la libertà senza conoscere il suo opposto. Ma, nonostante tutto, esistono una varietà di vie di mezzo, di zone grigie, di illusioni, ma anche di momenti simultanei, che sono zone immaginarie dove si percepisce il tutto.
Mi sono avvicinato al medium della luce proprio perché da bambino sognavo di costruire una lampada che facesse buio, i miei modelli non erano delineati chiaramente, avrei sempre voluto essere un inventore e, in effetti, in questi ventitre anni di ricerca, ho sempre cercato di spingere i miei limiti oltre.
Un aspetto che, di sicuro, mi ha aperto gli occhi è la consapevolezza che bisogna separare le cose che ci piacciono dalle cose che sentiamo nostre. Ogni persona possiede un tratto personale, intimo, profondo che è un potenziale generatore di originalità.

Alessandro Lupi, Golden cage (part.), 2019, dalla serie Ombre (2014-2019). Courtesy: CUBO

“Scolpire con la luce” apre a molteplici possibilità, in quali modi hai declinato l’approccio a questo medium, a partire dalle prime densità fluorescenti fino ad arrivare alla tua più recente ricerca Tetrahedron & Dialogue?
In questi anni ho sperimentato moltissimo, ho percorso diverse linee di ricerca, a partire dalle densità fluorescenti, installazioni che originavano da fili di poliestere dipinti con pigmenti fluorescenti e fotoluminescenti che venivano illuminati dalla Luce di Wood, detta anche luce nera, passando per installazioni interattive analogiche, come Window – dove all’interno di vecchie finestre il paesaggio è percepito in modo diverso in base ai punti di vista – così come Uno, un lavoro sui dogmi e le credenze, o Twisting connection, un site specific permanente realizzato a Como insieme ad un gruppo di studenti, dove delle piante rampicanti, nel tempo, trasformano l’installazione.
Di recente ho realizzato Tetrahedron e Dialogue, opere che consistono in poliedri cinetici elastici che si deformano nello spazio. Nel primo lavoro, il pubblico interagisce con le forme attraverso anelli di legno sospesi dall’alto modificandone i vertici, in Dialogue, invece, i poliedri sono programmati per instaurare un dialogo tra le forme e lo spazio circostante.

Alessandro Lupi, Tetrahedrons, installazione interattiva site-specific, Lumina, Cascais, Portogallo, 2018

Nelle opere più recenti, oltre alla luce artificiale interviene anche quella naturale… È corretto affermare che in tutti i casi la luce interviene definendo un corpo nel suo spazio?
Sì, se ci si pensa la realtà stessa che percepiamo tutti i giorni è descritta da questo equilibrio tra luce ed ombra. In tutta la mia ricerca, che si è sviluppata eterogeneamente, si mantiene però molto chiaro questo aspetto, si gioca con la percezione, con i diversi punti di vista, e sulle forze in campo, dove la luce del sole, le ombre, e la luce artificiale, l’aria, la cinetica e lo spazio diventano essi stessi parte dell’opera.
La luce e l’ombra diventano una sorta di vocabolario i cui fogli sono i materiali diversi che uso.

Negli ultimi anni, complici gli inviti a diversi festival internazionali, hai amplificato l’approccio ambientale del tuo lavoro. Come luce e natura dialogono nella tua opera? Quali caratteristiche definiscono un tuo progetto di Arte Pubblica?
Negli ultimi anni ho riflettuto molto sul ruolo dell’Arte. Anche se non sono riuscito a darmi delle risposte definitive, mi sono accorto che è molto importante riuscire ad aprire nuovi contesti, uscire dalle gabbie.
Lo spazio ambientale sicuramente mi permette di avere più strumenti per stimolare idee “freestyle”. I miei interventi site-specific partono appunto dalla location, da quello che può suggerire, lo spazio quindi diventa parte integrante dell’opera e permette ogni volta di evolvere, trasformare, costruire nuove idee.
Un esempio di questo tipo può essere il lavoro Fragments of reality, realizzato la prima volta all’Horizons Sancy in Francia, un evento che ogni anno produce dieci grandi installazioni di land art nella regione dell’Alvernia, dove per quattro mesi splendide location naturali permettono al pubblico di unire camminate nella natura e arte. In questo contesto, mi sono posto domande relative a quanto un’opera d’arte sia incomparabile rispetto alla bellezza della natura, e per questo ho realizzato un lavoro che dialoga con lo spazio e con le energie naturali messe in campo.

Alessandro Lupi, Fragment of reality, 2015, installazione cinetica site specific, cm 1200x600x700, Murol, Horizons Sancy, Francia

Migliaia di piccoli specchi creano un cono di luce largo 7 metri ed alto 13, in base al vento o alla posizione del sole rispetto all’orario della giornata, l’opera appare e scompare, non è mai uguale a se stessa, gli specchi si mimetizzano nello spazio, i nostri occhi percepiscono il movimento, i luccichii e le riflessioni dello spazio e del cielo. Ricordo all’inaugurazione gli sguardi attoniti del pubblico che, quando provava a fare una foto all’installazione, riguardandola risultava completamente invisibile perché mimetizzata nello spazio. A partire da questo contesto, ho insistito sull’importanza dell’esperienza reale, fisica, particolarmente importante nella fruizione dei miei lavori.
Una versione site-specific di quest’opera sarà presentata nei giardini di CUBO Condividere Cultura dal 20 gennaio 2020.
Un altro esempio recentissimo è MINDSET realizzato lo scorso novembre, insieme all’artista finlandese Kari Kola, al Van Abbemuseum di Eindhoven in Olanda: un’opera cinetica, collocata nello specchio d’acqua che circonda lo spazio del museo, che genera due grandi poliedri che affiorano dall’acqua creando un dialogo con la luce e i suoi riflessi sull’acqua, generando una sorta di illusione di sospensione attraverso materiali semplici ma organizzati in modo complesso.

Alessandro Lupi, Mindset, installazione site-specific cinetica, con Kari Kola. Glow, Van Abbemuseum, Eindhoven, Olanda, 2019

Anni fa hai deciso di lasciare la tua città natale Genova e trasferirti in Germania, a Berlino. Con che aspettative hai fatto questa scelta e, a distanza di anni da allora, come ha influenzato il tuo lavoro? Come vivi la realtà artistica berlinese?
La prima volta a Berlino fu nel lontano 1999, ero stato invitato ad esporre al Tacheles che è stato il più celebre centro sociale e polo d’arte contemporanea e controcultura di Berlino, è stato come un colpo di fulmine, dal primo istante mi sono sentito a casa, è stata una sensazione nascosta difficile da descrivere e comprendere.
Ritornai poi nel 2008, tutti ci ricordiamo quel momento, la crisi economica e culturale che attraversava l’Italia ed in generale il mondo occidentale.
Mi sono fatto sorprendere da Berlino che, in quegli anni, era una città molto povera ma viva, piena di giovani da tutto il mondo, di tutti i gradi sociali, c’era molto spazio per fare esperimenti, mostre, per me è stato come avere un parco giochi gigante pieno di compagni di viaggio dove ampliare i propri limiti. Ma dovevo pure sopravvivere, probabilmente è grazie a Berlino che ho ampliato il mio campo di ricerca, rendendo più eclettico il mio percorso. E qui mi sono accorto che forse uno dei più grandi limiti dell’Italia era l’ossessione della riconoscibilità; la tendenza quindi di fare lavori tutti uguali, o simili, comunque riconoscibili, per far sì che le opere entrassero meglio nel mercato dell’arte.
Il vantaggio di Berlino è stato l’assenza totale di mercato. Questo mi ha portato a trasformare completamente il mio approccio, che si è spinto a ricercare connessioni attraverso concorsi, bandi istituzionali internazionali, creandomi in realtà una rete di sinergie e visioni completamente nuove.
Il mio studio a Berlino è dentro al Meinblau di cui sono socio, un project-raum indipendente che da più di 20 anni propone molte scene artistiche indipendenti internazionali. Questo mi ha sicuramente aiutato ad entrare in contatto con diverse realtà, non solo occidentali.
Ora Berlino si è trasformata molto, la gentrificazione ha fatto salire i prezzi, la speculazione immobiliare sta creando parecchi problemi che non fanno ben sperare, ciò nonostante il capitale umano della città ha mediamente una consapevolezza più ampia, multiculturale, che ha stimolato il modo di pensare.
Nonostante la mia distanza dall’Italia, comunque, continuo ad avere collaborazioni con i ragazzi del Fablab di Genova con cui abbiamo prodotto diverse opere come Universal spin o Dialogue. Grazie al loro supporto, la mia ricerca si è ampliata molto dal punto di vista tecnologico.

Alessandro Lupi, Seconds, 2019, CUBO, Bologna. Courtesy: CUBO

Nel mese di gennaio, CUBO a Bologna ti dedica la tua prima retrospettiva in Italia, rientrante nel programma di Art City, il palinsesto culturale di eventi realizzato in occasione di Arte Fiera. Ci delinei le linee guida del progetto che vede la curatela di Ilaria Bignotti? Quali opere saranno presentate in quest’occasione?
Presento una serie di lavori realizzati negli ultimi anni. Nel giardino realizzerò un grande site specific Fragment of reality (Frammenti di realtà): diverse versioni di questo lavoro sono state create all’Horizons Sancy in Francia e poi al Museu de Lisboa in Portogallo, oltre che in festival della luce pubblici a Gerusalemme ed in Estonia.
All’interno di CUBO, esporrò un lavoro chiamato Seconds, un’opera cinetica che spinge a riflettere su “cos’è il tempo?” e una serie di lavori chiamati Ombre, piccole installazioni dove vi è un dialogo tra un oggetto e la sua ombra, creando paradossi poetici percettivi. Infine vi sarà anche Antiego, un’opera a me molto cara, uno specchio che non permette di vedere se stessi ma solo gli altri: un lavoro interattivo analogico, che indaga il concetto di identità e che coinvolge il pubblico in un’esperienza unica, inter soggettiva.
Nel corso della mostra, si terrà anche il Public Program das.03, curato da Federica Patti, del quale segnalo in particolare l’interessante simposio How long is forever, che si terrà nella serata di sabato 25 gennaio, in cui interverranno scienziati, professori e critici, del calibro di Fabio Benfenati (neuroscienziato di fama internazionale, direttore del Center for Synaptic Neuroscience and Tecnology presso L’istituto Italiano di Tecnologia), Valentina Tanni (critica e docente di arte digitale), Giovanni Matteucci (docente di Estetica Contemporanea e presidente della Società italiana d’Estetica), Barbara Henry, docente di filosofia politica presso Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, e Nero Editions: un vero e proprio crossover tra arte, scienza e filosofia. Saranno inoltre coinvolti i GnuQuartet, un gruppo musicale composto da tre archi e un flauto, con cui creeremo uno spettacolo nell’auditorium.

Alessandro Lupi, Centaurus (part.), 2019, dalla serie Ombre (2014-2019). Courtesy: CUBO

Hai altri progetti in programma per il 2020?
Tra gli eventi in programma, segnalo diversi festival internazionali della Luce, come il Water Light Festival di Bressanone a maggio e un site-specific in Finlandia a settembre.
Sto inoltre progettando di sviluppare dei brainstorming, dei workshop e delle collaborazioni con altri artisti internazionali, finalizzati anche ad incentivare il dialogo intergenerazionale ed internazionale tra artisti che lavorano con la luce.
In Italia realizzerò anche una mostra personale nella mia storica galleria Guidi&Schoen di Genova e un progetto site-specific per un’installazione cinetica di trenta metri dentro la torre degli Sciri di Perugia.

*Intervista tratta da Espoarte #108.

Alessandro Lupi | ONE TOO FREE. Specchi, ombre, visioni
a cura di Ilaria Bignotti
con il contributo di Federica Patti per il Public Program di das.03

20 gennaio – 28 marzo 2020
Inaugurazione: 20 gennaio 2020, h 18

CUBO
Piazza Vieira De Mello, 3/5 – Bologna

Ingresso libero

Info: www.cubounipol.it

Scopri tutti gli appuntamenti di das.03 qui:
https://bit.ly/2EwGCoY

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