BOLOGNA ǀ NELLO STUDIO DI SILVIA INFRANCO
di Mattia Lapperier
Lo studio nasce, cresce e si sviluppa di pari passo con l’artista. Ne riflette la personalità nel modo più autentico. È testimone silenzioso delle sperimentazioni più ardite, del perfezionamento di tecniche affinate negli anni e custodite gelosamente. È anche il luogo delle infinite prove, delle notti insonni, delle cocenti insoddisfazioni, che tuttavia possono sfociare talvolta in successi inaspettati. #TheVisit ha lo scopo di aprire le porte a tali realtà che per loro stessa natura sono poco accessibili, spazi che in tempi di pandemia hanno rappresentato pure una delle rare occasioni di confronto diretto con l’arte contemporanea.
Il lavoro in studio per Silvia Infranco rappresenta una pratica quotidiana da svolgere con la metodicità e il rigore di un rituale. Vive lo studio in maniera intima e viscerale; è lì dove trascorre la maggior parte del tempo, dedicandosi al suo lavoro in modo totalizzante. Lo spazio in sé consiste in un ambiente unico piuttosto raccolto che include al suo interno una zona laboratorio con tavoli di appoggio, scaffali e ripiani per i materiali, un piano cottura per fondere la cera, una parete bianca per le prove di allestimento e, sul lato opposto, un salottino per accogliere i visitatori. L’artista, che ai suoi esordi lavorava in uno spazio seminterrato, è abituata a misurarsi con la luce artificiale, per questo motivo la luce naturale che al mattino filtra dall’ingresso in modo diretto, quasi la infastidisce. Pertanto, anche a causa delle peculiari condizioni di illuminazione, predilige frequentare lo studio prevalentemente il pomeriggio e la sera. Eccetto qualche disegno, spolvero o carta preparatoria di cui è solita occuparsi anche a casa, il grosso del lavoro lo realizza interamente in studio. In particolar modo le sperimentazioni con la cera, che ad oggi rappresentano uno dei cardini portanti della sua intera opera, hanno avuto inizio proprio nel 2013, anno a partire dal quale ha iniziato a frequentare tale spazio.
Affascinata dall’aspetto simbolico collegato alla cera, Silvia Infranco ne fa largo uso in quanto elemento che rimanda alla memoria o, più in generale, al decorso temporale. Essa preserva al suo interno, trattiene il segno, si fa espressione di un programmatico tentativo di arrestare lo sbiadire dei ricordi, di invertire il processo di disgregazione. Nonostante si presenti come qualcosa di notoriamente fragile ed effimero, la cera è in realtà straordinariamente duratura nel tempo; se non sottoposta a una fiamma diretta, può divenire infatti uno spesso schermo capace di custodire qualsiasi oggetto in modo permanente. Negli anni, Silvia Infranco ha imparato a conoscere le potenzialità e la grande duttilità di tale medium. Operando una distinzione tra cera d’api (più giallognola, fluida, malleabile) e cere vegetali (più pallide, rigide e meno resistenti al calore), l’artista ha approntato varie mescolanze di cere che contengono le due tipologie in quantità diverse, a seconda degli effetti cromatici, tattili o estetici che intende ottenere e conserva tali composti in studio, dentro grandi barattoli in vetro, pronti all’uso. Una volta riscaldati sino alla completa liquefazione, vi discioglie poi ossidi o pigmenti e vi immerge ripetutamente i lavori scultorei, modellandoli ulteriormente con la fiamma viva oppure impiega tali misture di cera anche come elemento di stratificazione sulle tavole o come finitura sulle carte. Lo studio di Silvia Infranco è testimone di una sperimentazione continua, condotta su un materiale che ella stessa considera pregno di vita in quanto secrezione di un animale o prodotto spontaneamente dalle piante, le quali emettono appunto sostanze cerose per proteggere i loro frutti o le foglie dagli agenti esterni.
Oltre ai molti lavori esposti – tra i quali spicca una piccola scultura interamente realizzata di bacche di Melia azedarach, nota come l’albero dei rosari, che ha peraltro ispirato una serie di altre opere – in studio sono presenti molti esemplari vegetali essiccati, spesso utilizzati come materie prime. Alcuni le sono stati regalati, altri raccolti in prima persona durante le frequenti visite agli orti botanici o in occasione di escursioni sui colli fuori Bologna.
Il profondo legame con una natura da raccogliere, investigare, classificare e infine archiviare lo si desume tanto dall’assidua consultazione degli antichi erbari e di tutte le preziose illustrazioni che li corredano – peraltro oggetto di riflessione, nell’ambito di una recente serie titolata Herbaria, appunto – quanto dalla lettura della trattatistica dedicata alla botanica. Un volume in particolare ha da tempo catturato l’attenzione dell’artista; si tratta di un saggio di botanica scritto nel lontano 1790, ad opera di uno dei più celebri ed eclettici autori tedeschi. La metamorfosi delle piante di J.W. Goethe, individuando una forma primaria che soggiace a ogni processo metamorfico, conseguente all’estensione, contrazione o sovrapposizione di tale forma, ha indotto Silvia Infranco alla ricerca di una sorta di archetipo, insito in piante e funghi. Una volta identificata, attraverso l’episcopio e lo spolvero, riporta, distorce e moltiplica la forma nascosta, al fine di ottenere lavori di diverse dimensioni che serbano il fascino di un reperto e restituiscono un recondito intento classificatorio.
I molti oggetti curiosi presenti in studio, i cimeli di famiglia, le vecchie fotografie, una rosa di santa Rita, i libri antichi, la pellicola di un film, alcune bocce da gioco, persino un coleottero in una cassettina, si armonizzano alla perfezione con le opere di Silvia Infranco, comunicando non solo la sua passione per il vintage ma, a un livello più profondo, la precisa volontà di preservare, nonché, metaforicamente, l’intimo bisogno di trattenere la caducità di un attimo. La cera in questo senso, espandendo il suo delicatissimo profumo in tutto l’ambiente, funge da collettore; l’artista, le opere, lo studio intero partecipano attivamente al processo, facendosi armonicamente parte di un tutto.
Silvia Infranco nasce a Belluno nel 1982. Dopo gli studi giuridici, nel 2016, consegue il diploma in Arti Visive presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna sotto la guida del prof. Caccioni. Nella ricerca artistica di Infranco cera, carta, legno compongono superfici che, sottoposte ad appropriazione per stratificazione, macerazione, asportazione, inclusione oggettuale, si impressionano, restituendo allo sguardo nuove memorie. Il frequente uso della cera è legato alla forte capacità mnemonica e protettiva delle sostanza, mentre il ricorso all’acqua evoca il processo di rinascita e di decomposizione. L’attenzione ricade sul concetto di decorso temporale, fautore di accumulo o consunzione, rispetto al quale la cera si fa antidoto contro la cancellazione e disgregazione della materia. Dal 2008 Silvia Infranco espone in diverse collettive e ottiene riconoscimenti in diversi Premi nazionali. La prima significativa mostra personale in uno spazio pubblico si svolge nel 2019 presso l’Ala Nuova del Museo della Città di Rimini nell’ambito rassegna d’arte biennale VIE DI DIALOGO. Occasione in cui, attraverso una doppia personale, si realizza un dialogo espositivo con il collettivo ravennate CaCO3. Tra le sue ultime mostre personali si ricordano: Tempus fugit, imago latet (perché non voglio dimenticare), curata da Marina Dacci presso gli spazi della galleria Marignana Arte a Venezia nel 2019 e Keròn presso gli spazi della galleria Guidi&Schoen a Genova nel 2020.
silviainfranco.com