ROMA ǀ NELLO STUDIO DI MATTIA CLERI POLIDORI
di MATTIA LAPPERIER
Lo studio nasce, cresce e si sviluppa di pari passo con l’artista. Ne riflette la personalità nel modo più autentico. È testimone silenzioso delle sperimentazioni più ardite, del perfezionamento di tecniche affinate negli anni e custodite gelosamente. È anche il luogo delle infinite prove, delle notti insonni, delle cocenti insoddisfazioni, che tuttavia possono sfociare talvolta in successi inaspettati. #TheVisit ha lo scopo di aprire le porte a tali realtà che per loro stessa natura sono poco accessibili, spazi che in tempi di pandemia hanno rappresentato pure una delle rare occasioni di confronto diretto con l’arte contemporanea.
Dal 2019 Mattia Cleri Polidori ha stabilito lo studio in un ambiente particolarmente adeguato al proprio lavoro, in termini di versatilità dello spazio e posizione. Nonostante infatti sia collocato in pieno centro, a Roma, lo studio è del tutto scisso dal caos cittadino poiché inserito in un ampio complesso architettonico di stampo razionalista che affaccia su un vasto cortile interno dotato di una fontana monumentale. Un autentico spazio nello spazio lo separa dalla città, permettendo all’artista di dedicarsi in modo totalizzante alla sua ricerca, senza distrazioni. Come da lui stesso dichiarato, silenzio, intimità, dinamicità e versatilità sono le caratteristiche di cui necessita maggiormente; se le prime due derivano in gran parte dalla favorevole ubicazione dello studio nel tessuto cittadino, le altre due si rendono indispensabili poiché il suo lavoro, muovendosi su percorsi paralleli che abbracciano la pittura, l’incisione e la scultura, di per sé richiede ambienti, condizioni di illuminazione e punti di appoggio diversi. In più, lo stesso modus operandi adottato dall’artista, gli impone di svuotare, allestire e riallestire continuamente lo spazio in cui elabora e realizza le proprie opere.
Cleri Polidori, sin dalla più tenera età, raccoglie e conserva elementi naturali organici e inorganici. Se tale pratica, almeno in una primissima fase, avveniva in modo istintivo e casuale, gli studi accademici da un lato, culminati con il Master in Painting conseguito presso il Wimbledon College of Arts di Londra, e la passione per la fisica dall’altro, hanno contribuito in modo sostanziale a definire i margini entro cui si articola la sua ricerca artistica. Quest’ultima è fondamentalmente diretta a indagare la realtà al fine di rintracciarvi la presenza di quei rapporti aurei che spontaneamente si determinano in natura e che, allo stesso tempo, rivelano l’architettura profonda del tessuto spazio-temporale. Nella struttura dei vasi sanguigni, così come nelle ossa, nei coralli o nelle diramazioni vegetali, per limitarci a pochi – significativi – esempi, si stabilisce quel rapporto di proporzioni indagato dall’artista, noto appunto come rapporto aureo o proporzione divina.
Cleri Polidori, sulla scorta del pensiero di autorevoli fisici teorici come Lee Smolin e, più in generale, suggestionato dagli studi sulla morfogenesi, dal pattern individuato da Alan Turing, oltreché dal gruppo di ricerca californiano che ha elaborato una teoria del tutto basata sul rapporto aureo, nota come emergence theory, è persuaso che lo spazio dia forma alla realtà, influenzi la struttura degli esseri viventi e il modo in cui essi interagiscono tra loro. Il suo lavoro è pertanto teso all’isolamento e alla rappresentazione di tali affascinanti manifestazioni naturali e, da un punto di vista operativo, si esplica con l’esecuzione di calchi estrapolati dalla realtà fenomenica, atti a restituire esattamente lo stato della materia così com’è, congelato in un eterno presente, senza che vi sia lasciato alcun margine al proprio gesto, che anzi quasi si dissolve. È un’operazione analitica, rigorosa, dall’impostazione scientifica, che l’artista ha affinato nel corso del tempo, sino a ideare lui stesso tecniche per trasferire texture attraverso calchi tridimensionali, così da ottenere monotipi a metà tra pittura e calcografia.
Il rapporto esplorativo che intrattiene con lo spazio ha echi puntuali nell’organizzazione dello studio, dove è presente un vero e proprio archivio di scatole numerate con tanto di registri, in cui sono scrupolosamente annotati tutti i materiali raccolti in natura. Come accennato, l’assetto dello studio varia a seconda delle fasi di ricerca; per questo motivo è particolarmente importante che le pareti e il pavimento siano sempre sgombri. Nelle fasi preliminari di preparazione delle tele o formazione dei calchi, l’artista tende a svuotarlo del tutto, così da non “contaminarsi” con il suo stesso lavoro. Man mano che il ciclo di opere inizia a definirsi, allestisce, quali appunti visivi, gli elementi naturali e alcuni primi lavori embrionali attorno a un bucranio che mantiene pressoché sempre affisso a una parete. Parallelamente iniziano a comparire anche le prime opere finite alle altre pareti. Lo studio prende così ad affollarsi sempre più di frammenti vegetali, animali o fungini, in modo sempre meno controllato, sino ad arrivare a contenere al suo interno persino i germi dei futuri sviluppi a cui approderà il linguaggio dell’artista. Nel momento di espansione massima, con quella ciclicità a fasi alternate propria del respiro, lo studio si accinge di nuovo a svuotarsi progressivamente, così da apprestarsi ad accogliere l’ultima serie di opere in cantiere.
Dal 2017 la ricerca di Mattia Cleri Polidori si è focalizzata sull’incendio della pineta di Castel Fusano a Ostia. Dopo aver visitato il luogo, a disastro appena avvenuto, quel paesaggio lunare di ceneri fumanti e carcasse di alberi ha ispirato la serie Gli Elementi del Disastro, attraverso cui l’artista ha isolato quei rapporti aurei che si sono determinati spontaneamente, al propagarsi delle fiamme sui tronchi. Dall’estate 2021, invece, ha iniziato a fare la sua comparsa in studio un nuovo ciclo di lavori volti a ritrarre fedelmente la propagazione dei protisti. Le Città Invisibili restituiscono infatti quel tracciato complesso sviluppato dai microrganismi in espansione, così come è stato empiricamente osservato dall’artista stesso con l’ausilio del microscopio.
Duttile e metamorfico luogo di lavoro; ambiente atto alla conservazione e alla prima installazione di opere finite e di una serie inesauribile di frammenti naturali; laboratorio attrezzato all’analisi e alla sperimentazione di nuove tecniche; lo studio di Mattia Cleri Polidori, quasi potesse essere assimilabile a un’estensione nello spazio della propria linea di ricerca, è un autentico tessuto di interazioni. L’organizzazione spontanea della materia è oggetto di ricerca e, allo stesso tempo, ininterrotta verifica sperimentale.
Mattia Cleri Polidori nasce a Roma nel 1987. Si diploma in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Roma nel 2015. Nel 2016 ottiene il Master in Painting al Wimbledon College of Arts di Londra. Dal 2017 al 2019 è stato assistente di studio di Piero Pizzi Cannella, presso il Pastificio Cerere, Roma, IT. Nel 2017 è stato tecnico di laboratorio e assistente alla didattica in pittura e incisione presso RUFA (Rome University of Fine Art) Roma. Da gennaio 2018 prende servizio all’Accademia di Belle Arti di Roma nella scuola di pittura. Il suo lavoro è stato incluso in esposizioni personali e collettive o residenze d’artista a Roma, Londra, Tallinn, Firenze, Milano, e San Pietroburgo, e collezioni internazionali. Negli ultimi anni ha collaborato con la compagnia DOM in molteplici progetti, nel 2021 ha realizzato la scenografia per lo spettacolo “CAMPFIRE – dove comincia l’incendio”, andato in scena al teatro India di Roma. mattiacleripolidori.com