Intervista a GILLO DORFLES di Matteo Galbiati
Era ventenne (nel 1930) quando usciva il suo primo articolo dedicato ad una mostra sull’Aeropittura e, sempre ventenne, realizzava il suo primo vero dipinto. Ottantacinque anni dopo ritroviamo, nella mostra al Macro di Roma, alcuni dipinti realizzati quest’estate e, sempre senza sosta, di lui prosegue anche l’attività critica, è recente, infatti, l’uscita de Gli artisti che ho incontrato (Skira), selezione (davvero ampia) di suoi testi critici che arrivano fino agli ultimi di quest’anno (2015 per chi ha scritto n.d.r.).
Gillo Dorfles (1910) non smette di stupirci con la sua acutezza critica, con la sua verve artistica, esempio di una tenace e caparbia volontà intellettuale che non si accontenta mai di ricercare e di scoprire guardando avanti e rilanciando nel futuro i prossimi esiti delle sue proposte.
Instancabile Dorfles ha attraversato tutto il Novecento, diventando oggi una preziosa e lucidissima testimonianza di tutta la storia del secolo scorso (e del nostro presente): il suo occhio sensibile è sempre pronto a leggere, annotare e registrare ogni cambiamento; a testimoniare il mutamento e l’evoluzione del gusto, dell’arte, del pensiero e della società. Non ha smesso in tutti questi anni di comprendere la tensione del pensiero dell’uomo.
Lo abbiamo incontrato qualche mese fa nel suo storico appartamento milanese e oggi, nel giorno del suo 106esimo compleanno, vi riproponiamo l’intervista pubblicata sul #91 di Espoarte.
Iniziamo dalla mostra di Roma (Gillo Dofles, Essere nel tempo) quali sono le sue direttrici?
Sono contento e soddisfatto di questa mostra, devo dire che è davvero ben riuscita. Si basa sulle opere recenti, che ho realizzato la scorsa estate, su alcuni inediti che non erano mai stati esposti prima, e su diverse opere provenienti da collezioni e gallerie private. L’arco temporale spazia dal 1930 al 2015. Alcune sue peculiarità possono essere la testimonianza proficua che viene resa alla stagione del MAC (Movimento Arte Concreta) e l’integrazione del percorso con lettere di personaggi vari del mondo della cultura, pubblicazioni originali, cataloghi e fotografie che aiutano a comporre la mia biografia agli occhi dello spettatore.
Lei è sia critico sia artista, come vive queste due anime?
Non ho mai voluto che le due attività si abolissero una nell’altra, ci tenevo che queste due polarità coesistessero. Mi hanno detto spesso di scegliere una o l’altra, ma che senso ha? Un critico può essere pittore e viceversa, basta che non si viva un conflitto in e su se stessi. Io non pretendo di criticare i miei lavori ma da artista sento l’esigenza di essere parte del mio tempo – penso sia una necessità primaria – e, quindi, di conoscere, osservare e, appunto, “criticare” il lavoro degli altri.
Non ci sono rischi quindi?
Le due cose, come dicevo, non si escludono, questo mi concede un orizzonte ampio, una veduta privilegiata dell’arte e dei suoi contenuti. Ci sono stimoli e sollecitazioni evidentemente diverse e che tengo separate.
Conoscendo l’aspetto più intimo del lavoro di un artista, ha mai dato “consigli” agli altri suoi “colleghi”?
Non mi sono mai sentito in grado di dare suggerimenti agli altri, non me la sento proprio e dico anche che sarebbe assurdo.
Perché questa posizione così netta?
Abbiamo già molti maestri che ci influenzano più o meno direttamente: ritengo che, fatto salvo lo studio e la conoscenza delle ricerche e delle testimonianza di chi ci ha preceduto e che la storia ci consegna, ognuno debba operare per proprio conto.
Quali errori si possono compiere?
Molti artisti cercano subito il successo e l’affermazione, quello che si deve cercare è di maturare una propria identità e integrità di pensiero, a prescindere da chi ammiriamo o a chi ci ispiriamo.
Cosa ci dice del suo ultimo volume, Gli artisti che ho incontrato, curato con Luigi Sansone (che ringraziamo per la collaborazione per questa intervista, n.d.r.)?
Mi piace definirlo come una ricerca minuziosa e quasi miracolosa: abbiamo recuperato presentazioni, articoli, scritti e storie che mi hanno colpito, perché non ne avevo più ricordo. Abbiamo fatto una scelta entro una quantità consistente di documenti e testimonianze dal 1930 al 2015. Questo volume percorre un itinerario parallelo a quello della mostra al Macro, da una parte le ricerche artistiche, dall’altra, in parallelo la coeva evoluzione della mia ricerca critica. Ci sono da una parte 85 anni di pittura, dall’altra altrettanti di lavoro critico-teorico.
Quali artisti hanno influenzato la sua ricerca?
Non saprei rispondere, preferisco che siano gli altri a dare conto, con i loro studi, ai contenuti segreti e intimi della mia opera, ad individuare e leggere affinità, similitudini e apparentamenti. Ci sono, ad esempio, artisti che ho amato moltissimo e ho osservato a lungo – come Fontana e Melotti – ma che non hanno avuto assolutamente nessuna influenza sul mio lavoro. Per quanto mi riguarda ho cercato di essere il più autonomo possibile.
Invece da critico chi ammira, chi sente vicino?
Anche in questo caso mi sento in difficoltà… Sicuramente non faccio nomi di critici viventi! Punto imprescindibile di riferimento è sicuramente Bernard Berenson, cui aggiungo Giuseppe Marchiori e Palma Bucarelli che era davvero sensibile e attenta alle problematiche dell’arte contemporanea. Naturalmente devo annoverare anche Giulio Carlo Argan, anche se, per quanto riguarda il contemporaneo, non aveva spiccate capacità. Vi racconto questo aneddoto: venne a vedere una mia mostra, parlammo di grandi questioni e di profonde problematiche filosofico-artistiche ma non guardò nemmeno un dipinto, non osservò quanta bellezza aveva intorno. Nemmeno fece la finzione di guardare i quadri. Evidentemente la sua sensibilità sul “contemporaneo” era ancora di là da venire.
Di recente ha lavorato anche per la nuova illy Art Collection, testimoniando la versatilità del suo sguardo…
L’arte non ha confini e barriere, non ci devono essere. Non sento – e non c’è – uno stacco tra arti maggiori o minori. Ho sempre rivolto grande interesse per l’arte decorativa e il lavoro per illy mi ha ovviamente molto appassionato. Ho realizzato con loro una serie di tazzine per le quali ho preparato sette diversi disegni.
Non badando al confine tra le arti lei concede al suo lavoro di spaziare tra media diversi. Come legge l’arte “applicata”?
Ho dipinto, lavorato col disegno, la scultura e con le tecniche di stampa, questo però non toglie che le arti decorative per me abbiano un ruolo paritario, valgono come un paesaggio o un ritratto. Anzi, oggi come oggi, ha forse più senso proprio l’arte applicata, che investe la nostra vita quotidiana, facendo apparire desueti e ormai superati i codici della ritrattistica e della paesaggistica. Gli ultimi paesaggisti credo siano stati gli Impressionisti, che stavano dentro la Natura, la vivevano e la dipingevano. Non lo fa più nessuno; una volta, in campagna, vedevo anche semplici amatori – se non veri artisti – dipingere col cavalletto davanti ad un paesaggio. A dir il vero, se ne vedessi qualcuno oggi, direi che è un folle!
Cosa ci dice dei giovanissimi artisti?
Niente! Dei giovani è meglio che non parli per non suscitare invidie. Cito, invece, i grandi maestri che ho conosciuto e ho apprezzato moltissimo, rifaccio il nome di Fontana, ma poi anche Veronesi o Capogrossi, tre di una lista che sarebbe più lunga.
Quali progetti ha per il prossimo futuro?
Ho una mostra in programmazione per il prossimo maggio allo Studio Dabbeni di Lugano. In primavera esce per Bompiani un libro sui miei saggi curato da Elisabetta Sgarbi e Luca Cesari. Ho la messa in produzione delle tazze di illy, per la quale escono quattro tazzine da caffé, e due grandi per il solo mercato americano, cui segue anche il disegno di un barattolo da caffé.
Mostre in corso:
Gillo Dorfles. Essere nel tempo
a cura di Achille Bonito Oliva
27 novembre 2015 – 17 aprile 2016
MACRO Museo d’Arte Contemporanea Roma
Via Nizza 138, Roma
Info: www.museomacro.org
www.dorflesmuseomacro.it
Gillo Dorfles
a cura di Luigi Sansone
14 maggio – 30 luglio 2016
Studio Dabbeni
Corso Pestalozzi 1, Lugano
Info: www.studiodabbeni.ch