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FIRENZE | Eduardo Secci Contemporary | 25 settembre – 30 dicembre 2014

di GAIA VETTORI

“In 2001 I began to turn my body into data” : queste parole, pronunciate in prima persona da Richard Dupont, riassumono sinteticamente la poetica dell’artista newyorchese, attualmente in mostra presso la Galleria Eduardo Secci di Firenze, fino al 30 dicembre 2014. Selfie – a cura di Marco Bazzini – è il titolo della sua prima personale italiana; “selfie”, termine apparentemente comune e tendente a collocarsi in un fenomeno culturale decisamente superficiale, ma in realtà inteso in un’accezione del tutto nuova, tanto che questa necessità di autorappresentarsi e poi condividere la propria immagine, diviene qui il pretesto per affrontare questioni ben più complesse.

Richard Dupont, BIOMETRY, veduta dell'allestimento, Eduardo Seccy Contemporary Art, Firenze
Lo stesso curatore ricorda come Dupont compia una sorta di “passo laterale” nel “grande gioco del rappresentare se stessi”. Del resto, i procedimenti che hanno consentito all’artista di produrre le opere in mostra, mai potrebbero essere più complessi e differenti del banale gesto di alzare il proprio smartphone e premere il pulsante di scatto.

Richard Dupont, Sacco II
I lavori presenti nella galleria fiorentina testimoniano l’estrema versatilità processuale messa in atto da Dupont: Sacco II, opera materica – di chiaro stampo burriano – ottenuta grazie ad una scansione tridimensionale di tele in iuta e gesso; The Last Invocation, mappa tedesca – risalente al periodo della Seconda Guerra Mondiale – di alcuni territori californiani e texani (gli stessi dove proprio Alberto Burri venne fatto prigioniero), della quale il fruitore vede solamente il verso, su cui sono impressi dei versi di una poesia di Walt Whitman tradotti in codice binario; infine, le opere più coinvolgenti e strutturate, e cioè tutti quei lavori – come ad esempio Biometry e Going around by passing through, risultato di una elaborazione di dati digitali ottenuti tramite una scansione tridimensionale del corpo dell’artista, presso la base militare americana di Wright-Patterson.

Richard Dupont, The Last Invocation

Sculture, incisioni, objet-trouvé (The Last Invocation), stampe (ad inchiostri a base d’olio su pregiata carta indiana realizzata a mano) si mischiano assieme in un mix di tecniche e risultati all’apparenza molto differenti, però accomunati dalla volontà di analizzare il concetto di simulacro. Sia che si prendano in esame le inquietanti maschere gommose oppure il corpo deformato e riprodotto in scala ridotta (Bifurcated), così come le mappe geografiche o anche gli ingrandimenti delle tele in iuta, si tratta sempre di elementi nati da una ri-produzione partendo da dati precedentemente acquisiti: materia analogica che diventa digitale, nell’accezione più complessa e profonda del termine. Richard Dupont, DegradedRes extensa sì convertita in un codice “discreto” – dal latino “discretus”, p. pass. di discernere e cioè “discernere”, ma non per questo necessariamente fonte di certezze e nitide visioni. Infatti, le opere di Richard Dupont sono dei veri e propri inquietanti simulacri che “producono un’apparenza di qualcosa”.

Corpi reificati e misurati che divengono immagini distorte di una “(iper)realtà” digitale, così cara alla “nostra società dello spettacolo” di debordiana memoria. Il risultato, partendo da una necessità di controllo di dati analogici proposti attraverso opere distorte – ma al tempo stesso frutto di calcoli matematici sofisticatissimi – diviene allora un tentativo (per altro tipico dell’era contemporanea) di provare a controllare, fin quasi a negare, la complessità della res extensa, realtà fisica inconsapevole destinata a deteriorarsi, a morire. Il critico francese Jean Clair ci ricorda infatti come “l’artista non potrà ma più affidarsi al modello speculare del passato per affrontare il proprio potere di produrre immagini […], ma cercherà altrove altre armi […] le cui finalità di fondo consistono nel negare l’esistenza stessa della morte”.

Dupont realizza le proprie opere a partire da conversioni in dati elettronici o matematici di ciò che per antonomasia è un flusso continuo di materia senza interruzioni, al fine di poterlo “salvare” dalla morte.

“I began to turn my body into data”, dice non a caso egli stesso, palesando a chiare lettere una necessità tanto primordiale quanto contemporanea e destinata al fallimento poiché produttrice di immortali e quindi ingannevoli simulacri, mentre il nostro corpo analogico e reale dovrà comunque, prima o poi, spegnersi per sempre. Allora, i Selfie di Dupont sono un tentativo sofisticato di diffondere ri-produzioni di un “essere” ideale, che in realtà non esiste: altro che fenomeno culturale superficiale!

Richard Dupont. Selfie
a cura di Marco Bazzini

25 settembre – 30 dicembre 2014

Orari: Martedì-Sabato dalle 10.30 alle 13.30 e dalle 14:30 alle 19:00 (e su appuntamento)

Eduardo Secci Contemporary
Via Maggio 51R, Firenze

Info: +39 055 283506
gallery@eduardosecci.com
www.eduardosecci.com

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