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FAENZA | MIC – Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza | 4 marzo – 3 giugno 2018

di IRENE BIOLCHINI

Elena König Scavini, Al caffè, 1933, terraglia, modello 289 (dal 1932), h 21,5 x 11,6 x 18,3 cm

Elena König Scavini, Al caffè, 1933, terraglia, modello 289 (dal 1932), h 21,5 x 11,6 x 18,3 cm

La mostra che Alfred Barr inaugurò nel 1936 al MOMA di New York ha segnato il nostro modo di intendere l’arte contemporanea, rafforzando una certa convinzione che la sua genesi coincida con le grandi Avanguardie di inizio secolo. Una rivoluzione, che nella visione di Barr era un rinnovamento di forme prima ancora che di contenuti. Ecco dunque il cubismo, i fauve e l’astrattismo nascere all’aprirsi del secolo come movimenti di pura rottura, con qualche radice formale nelle soluzioni di un certo postimpressionismo.

Entrando al MIC di Faenza lo spettatore è dunque chiamato a confrontarsi con una produzione artistica che non condivide nulla delle idee rivoluzionarie e dello stile anticonformista dei grandi movimenti enucleati da Barr. Non cubi, linee e colori puri, ma oggetti d’uso, piccole sculture d’arredo domestico dai colori tenui, dai volti sereni e graziosi. E ancora non ready made che negano la loro funzione originaria tramite il geniale intervento dell’artista (come l’ormai celeberrimo Fontana di Duchamp) ma oggetti nati con la sola intenzione del decoro, della piacevolezza. Oggetti la cui funzione non doveva essere discussa (nel caso delle statuine), né in alcun modo celata: la produzione Lenci, piuttosto, attingeva in maniera dichiarata dalla cultura visiva borghese dell’epoca, dando corpo all’immagine della nuova donna e famiglia moderni, o meglio alla rappresentazione delle stesse nelle coeve riviste di moda. I corpi e i temi della vita borghese che li aveva concepiti, erano prodotti ed acquistati dalla stessa classe sociale, in una perfetta osmosi tra produzione e richiesta.

La storia della casa produttrice Lenci non si inserisce dunque all’interno della roboante stagione delle avanguardie, ma nella ricca provincia italiana negli anni compresi tra il 1928 e il 1933 a seguito dell’allargamento della già florida azienda di giocattoli, corredi e del celebre “pannolenci” (attiva dal 1919). È quindi all’interno di questo preciso arco cronologico che si registra la produzione di Enrico Scavini e di sua moglie, Elena König Scavini, oggetto della imponente collezione di Gabriella e Giuseppe Ferrero ed oggi in mostra al MIC.

Sandro Vacchetti, Giovinezza, modello 442, terraglia, h 20 x 19,5 x 15,7 cm

Sandro Vacchetti, Giovinezza, modello 442, terraglia, h 20 x 19,5 x 15,7 cm

Entrando nella stanza espositiva del MIC lo spettatore si può confrontare con un ‘esercito’ di dame, ma anche con scenette ispirate ai temi rurali, favole, corpi di bambini che molto rimandano alla tradizione dei Bamboccianti. All’interno di questa molteplicità si possono riconoscere le mani dei diversi artisti torinesi che hanno collaborato con la manifattura in questo estremamente prolifico quinquennio: Sandro Vacchetti, Gigi Chessa, Mario Sturani, Abele Jacopi, Ines e Giovanni Grande, Felice Tosalli e la stessa Elena König Scavini.

Elena König Scavini, Me ne infischio – La studentessa, 1935, terraglia, modello 424 (dal 1934), h 39,4 x 15 x 11,4 cm

Elena König Scavini, Me ne infischio – La studentessa, 1935, terraglia, modello 424 (dal 1934), h 39,4 x 15 x 11,4 cm

Come fanno notare i curatori della mostra, Claudia Casali e Valerio Terraroli, è proprio ripartendo dalle specificità dei singoli artisti che si può meglio comprendere l’orizzonte culturale a cui si ispiravano i decori e le cromie della manifattura. Se, infatti, le Avanguardie erano agli antipodi da una certa produzione, è altresì vero che lo spirito della manifattura si inserisce pienamente in quell’attento recupero delle arti decorative che veniva in gran parte promosso da Ojetti con le Biennali Internazionali di Monza, dove fonderà anche l’I.S.I.A. (Istituto Superiore per le Industrie Artistiche). Ed è all’interno di questo ripensamento delle arti ‘minori’ in favore di un aperto dialogo con la produzione di ricerca e l’architettura che si muoverà anche Gio Ponti. Non è dunque un caso che il 1929, anno di inizio produzione della serie, nascano anche due riviste che sono il pilastro di questa cultura “Domus”e “Casabella”.

«Il mondo Lenci fu, ed è tranquillizzante», scrive Valerio Terraroli nel suo saggio in catalogo, «poiché se da un lato non si spinse lungo l’impervia strada del gusto déco, dalla cifra algida e intellettualistica, preziosa e artistocratica, dall’altro non cavalcò le proposte provocatorie del secondo Futurismo […] ma sperimentò una morbida fusione di temi giocosi e ironici».

Ed è proprio ripartendo da questi oggetti rassicuranti che, come nota Claudia Casali (direttrice del Museo e curatrice della mostra), si è deciso di dedicare un’ulteriore riflessione al periodo tra le due guerre, la cui analisi era appunto partita lo scorso anno con la mostra dedicata al gusto déco.

La mostra Lenci, collezione Gabriella e Giuseppe Ferrero ci invita dunque a confrontarci con il lato domestico e borghese della storia privata e quotidiana di chi ha abitato il Ventennio, proponendoci una nuova angolazione dalla quale poter osservare un periodo così complesso per la Storia nazionale.

Sandro Vacchetti, Abissina, terraglia, 1931, h. 54 x 37 x 19 cm

Sandro Vacchetti, Abissina, terraglia, 1931, h. 54 x 37 x 19 cm

 

LENCI, collezione Giuseppe e Gabriella Ferrero
a cura di Valerio Terraroli e Claudia Casali

4 marzo – 3 giugno 2018

MIC – Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza
Viale Baccarini 19, Faenza

Orari: Fino al 31/03 dal martedì al venerdì 10-16 e sabato, domenica e festivi 10 – 17.30. Chiuso il lunedì. Dal 1/04 dal martedì alla domenica e festivi 10-19. Chiuso il lunedì

Info: +39 (0)546 697311
+39 (0)546 27141
info@micfaenza.org
www.micfaenza.org

 

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