Intervista ad ADELE MARIA COSTANTINI di Matteo Galbiati
Venezia. Nel caos multicolore e rutilante di Piazza San Marco, all’ombra del grande campanile che svetta sulla piazza, proprio davanti alla galleria dell’Accademia che tenta con la bella mostra su Manet, abbiamo incontrato Adele Maria Costantini, nobile voce dei servizi giornalistici di Radio Montecarlo, Virgin radio e 105. Proponiamo ora, dopo Fiorella Minervino e Giacomo Nicolella Maschietti, alla sua sempre attenta visione e lettura critica un giudizio complessivo sulla Biennale…
Cosa pensi del Palazzo enciclopedico? Che idea ti sei fatta del progetto di Massimiliano Gioni?
Questa Biennale è un viaggio della mente, nella mente. Un percorso a tratti complesso, forse aggrovigliato. Talvolta emoziona, spesso invita a saperne di più, sempre fa riflettere. È stata comunque una scelta coraggiosa quella di Gioni, non solo per gli artisti selezionati ma anche per la volontà di riportare al centro del nostro “viatico” il libro. Non a caso la mostra si apre con il libro rosso di Jung, in cui lo psicanalista fissa in immagini le sue allucinazioni.
Che interpretazione ne dai?
Gioni lascia a ciascun visitatore la possibilità di trovare una propria strada, di crearsi “un viaggio nei tanti mondi nei quali perdersi”. Non a livello fisico: il percorso è ben tracciato, sia all’Arsenale che all’ex Padiglione Italia, ma nella mente che, assorbendo le immagini, si struttura in modo diverso da spettatore a spettatore.
Cosa ti ha colpito di più?
Sicuramente le due sale dell’Arsenale curate da Cindy Sherman. La fotografa americana porta a Venezia una parte della sua collezione di album fotografici, mescolandola ai lavori di una trentina di artisti, in uno spazio immaginario e intimo.
Quali sono le tue preferenze rispetto ai Padiglioni Nazionali?
Di grande effetto il Padiglione del Cile, con il plastico di Alfredo Jaar in cui i giardini della Biennale affondano per poi riemergere: una critica all’arte ma anche un augurio di rinascita. Poi il Padiglione Russia, che rievoca il mito di Danae. All’interno, ancora una volta, siamo noi donne a essere tentate da una pioggia di monete d’oro: il potere che corrompe. Uscendo, ci dicono che possiamo decidere se portare via una moneta oppure no. E tutte (o quasi) alla fine ce ne ritroviamo almeno una in tasca: un po’ per tenerle come souvenir, un po’, forse, anche per istinto.
Tra gli eventi collaterali cosa pensi sia rilevante e vuoi suggerire?
L’unica cosa che non sono riuscita a vedere: la mostra della Fondazione Prada Live in Your Head. When Attitudes Become Form, che ripropone – esattamente com’era – la storica esposizione che Harald Szeemann allestì nel 1969 alla Kunsthalle di Berna. Un motivo in più per tornare in laguna!
Che artista segnali?
Al termine del percorso enciclopedico, Gioni ci regala l’ironia di Fischli e Weiss con le loro piccole sculture di argilla: irriverenti e geniali. In fondo al percorso dell’Arsenale, invece, è impossibile non lasciarsi affascinare dall’opera poetica dell’artista islandese Ragnar Kjartansson: 5 musicisti suonano le musiche di Kiartan Sveivsson su una barca che entra e esce a orari prestabiliti dai bacini delle Gaggiandre.
Una tua battuta o un commento generale, libero sul “rito Biennale”?
La Biennale è un rito che non passa mai di moda. Che sia più riuscita o meno – e ognuno ha le sue idee – è un rito che comunque deve compiersi.
Adele Maria Costantini è giornalista radiofonica. Le sue radici sono ben radicate nella terra che fu di Cecco d’Ascoli. Si sposta a Roma per laurearsi e per amore del teatro. Insegna semiotica allo IED. Poi l’arrivo a Milano dove collabora con Studio Azzurro e la Triennale. Oggi lavora come giornalista professionista nella redazione di Radio Montecarlo, Virgin radio e 105. È affascinata dalla radio perché, senza l’aiuto delle immagini, riesce a trasmettere un’emozione. Come un’opera d’arte o uno spettacolo teatrale vissuti a occhi chiusi.