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MILANO | BUILDING | 19 gennaio – 6 marzo 2021

Intervista a PAOLO PARISI di Pietro Bazzoli

Stratificazioni di colore sedimentano memorie individuali, che attraversano l’esistenza umana come se fossero le tappe di un viaggio infinito, si può certo dire che la pratica artistica di Paolo Parisi (1956) non sia altro che un memorandum continuo, in richiami eccellenti a grandi maestri del passato, un’analisi dell’esperienza sigillata in immagini.
Un viaggio infinito, appunto, che culmina non in un luogo (o in un non-luogo), bensì in quell’universalità del tutto che è propria di un’attenta considerazione del mondo, e dei suoi sviluppi; della volontà di trasmettere una propria interpretazione della dimensione comune; di un sussurro alla coscienza collettiva, perpetuato per mezzo di immagini, simboli e colore.
BUILDING ospita a Milano una personale dell’artista, intitolata The Weather was Mild on the Day of my Departure, esponendo opere recenti che spaziano attraverso differenti media (quali pittura, fotografia, installazione) un’incessante catalogazione di ricordi. Abbiamo intervistato Paolo Parisi, per chiedergli quale sia il mondo che si scorge nelle sue opere e che corrispondenze abbia con quello contemporaneo:

Le opere esposte racchiudono la sua produzione più recente. Come si è evoluta la sua visione artistica nel corso degli ultimi anni di lavoro? E come si pone nei confronti dell’esplorazione del tema dell’eredità del Modernismo e della pittura monocroma?
Il mio lavoro sin dall’inizio, da quasi trent’anni, si è concentrato su quella trasformazione che solo l’arte è in grado di generare e che porta alla nascita di nuove immagini del mondo, nonostante lo si osservi anche con mezzi e parametri che si presumono oggettivi, quali ad esempio, oggi, i nostri devices… L’eredità del modernismo è per me, invece, una garanzia di memoria delle utopie, che oggi sembrano esaurite dal momento che tutto sembra risolversi nell’appiattimento (e controllo) globale dei nostri gusti e desideri. Nel caso delle opere esposte a BUILDING, The Whole World in a Detail (Frabric), si tratta di opere che hanno sì una parvenza monocroma, ma che in realtà sono frutto di una stratificazione di perlomeno tre colori diversi che si intrecciano proprio per via della particolare tecnica esecutiva che le produce. Oltre al fondo, quindi, ci sono un ordito e una trama, ortogonali tra loro e di colori diversi come quelli dei tessuti bicolore tanto cari ai pittori rinascimentali, ma in generale di ogni epoca. Pare che, non so se è vero ma alla fine non importa, la verosimiglianza dei tessuti fosse più importante di quella dei volti (soprattutto in termini di valutazione del dipinto). Questa cosa ho pensato che mi appartenesse e che rispecchiasse il lavoro fatto finora, in termini di (non) verosimiglianza. Inoltre mi garantiva l’opportunità di partire dal colore, senza nient’altro in mente (e, come sappiamo, anche attraverso un colore possiamo parlare di politica!). Ordito di un colore e trama di un altro. Quindi: niente tessuti ma colore. Il tutto su tela (l’unico tessuto vero in tutta l’operazione).

BUILDING – Installation view – Paolo Parisi. The Weather was Mild on the Day of my Departure. Photo Leonardo Morfini. Courtesy BUILDING, Milano

La tematica del viaggio permea tutta la mostra, nelle opere così come nel dialogo con lo spettatore. Come interpretare una tematica simile in un momento in cui la condizione sanitaria riduce qualsiasi spostamento?
La storia dell’arte ci ha abituati a questo tipo di riflessione: da Gauguin, che i viaggi li fece davvero, a Rousseau, che invece li immaginava… Ma anche, e soprattutto, dagli artisti rinascimentali che si occupavano di rappresentare il mondo non avendo GPS, satelliti, foto aeree. Le rappresentazioni geografiche del XV e XVI secolo, eseguite a partire da schizzi successivamente tradotti in visioni in pianta per astrazione in studio, ci parlano proprio di questa nostra qualità che sfruttiamo, per esempio, quando siamo in mare aperto e proviamo a orientarci senza ausili tecnologici (il titolo della mostra è tratto dal testo di Joshua Slocum, il primo uomo che circumnavigò il globo da solo, a vela, senza GPS, senza motore e, addirittura, senza saper nuotare…!). Credo che la condizione attuale possa essere molto utile per riflettere sui nostri modelli, culturali e sociali, per provare a immaginarne di nuovi e diversi ma, soprattutto, per sottrarci alla percezione di limitazione a favore di un’idea di opportunità.

“Viaggio” collegato anche al concetto di luogo: che ruolo hanno i luoghi (fisici e immaginari) nella sua pittura? Come si confronta lei, in quanto artista, con tale tematica nel corso degli anni e della sua ricerca?
Alcune mie opere degli esordi avevano come titolo, appunto, Luogo in quanto erano la rappresentazione in scala di un luogo che avevamo appena attraversato realizzato a strati di fogli di cartone ondulato (lo spazio di un giardino privato di Firenze, nel 1995, o quello storico ma inaccessibile come l’ingresso della Villa Medicea di Montelupo, sede del manicomio criminale nel 1996). Parallelamente a queste, in quegli anni realizzavo delle grandi tele sulle quali tracciavo con le dita e l’argilla delle carte nautiche del Peloponneso o mappe altimetriche di porzioni di paesaggio italiano. Era un modo di parlare dell’esperienza delle cose attraverso la loro forma. Ricordo ancora una frase di Max Neuhaus di quegli anni: “non ci sono carte geografiche, il luogo di destinazione non esiste fino a che non lo si raggiunge. L’importante è sentire il cammino”. A queste opere fecero seguito poi gli Inversi (2000-2007), dipinti realizzati con una sovrapposizione di pittura acrilica su cartografie realizzate a olio (dunque che riapparivano successivamente in superficie in maniera del tutto autonoma rispetto alla mia volontà), le installazioni ambientali (2005-2011) nelle quali la diffusione dei colori nello spazio parlava di esperienza fisica della pittura, piuttosto che nello spazio illusorio della bidimensionalità, l’uso del suono come legante di questa fisicità del colore, che ho definito come “pulviscolo atmosferico” (pensando alle velature di Leonardo), altri cicli pittorici come Coast to coast (2007-2011), Unité d’habitation (2010-2015), Terre emerse (1999-2017), The Whole World in a Detail (2017-2018) fino agli attuali Fabric descritti prima. Come si capisce dai titoli parliamo sempre di viaggio, di natura, ma anche del linguaggio che l’uomo ha provato a costruire per comunicare con i suoi simili. Un linguaggio che oggi, a maggior ragione, necessita di rivisitazioni, che considerino non solo l’uomo non più al centro (i romantici lo facevano già), ma soprattutto che ci permettano di sfuggire alle opposizioni generate dal dualismo occidentale: maschile-femminile, naturale-artificiale, sociale-solitario, umano- animale, figurativo-astratto, …

BUILDING – Installation view – Paolo Parisi. The Weather was Mild on the Day of my Departure. Photo Leonardo Morfini. Courtesy BUILDING, Milano

I luoghi che cattura e mette in relazione con le sue campiture di colore assumono dichiaratamente una connotazione universale, raggiungendo la coscienza e la memoria di ognuno. Ma come si pone Parisi, in quanto uomo e artista, nei confronti di tali luoghi, dal punto di vista materiale e mentale?
Coscienza e memoria sono due elementi molto importanti per la consapevolezza dell’agire umano e per non ripetere gli errori commessi. Direi delle qualità che oggi possono, devono, essere utilizzate per comprendere meglio gli altri, diversi da noi, le altre forme di vita e per osservare criticamente gli esiti delle nostre azioni e dei nostri modelli di sviluppo, che non sono immutabili. “Il problema della condivisione dello spazio disponibile in architettura e rispetto al colore della pittura. …e Il pulviscolo atmosferico” (2010) è il titolo di un ciclo di opere che ho realizzato a partire da queste riflessioni per provare a capire in che modo, attraverso l’esperienza dell’arte, possiamo riuscire a formulare un’idea di conoscenza e di pratica diverse da quelle dettate esclusivamente dai modelli oggi in auge. Nel chiostro dello Scalzo a Firenze nel 2010 – capolavoro del Rinascimento Fiorentino affrescato da Andrea del Sarto – ho invitato, per esempio, 12 musicisti chiamati a “caricare” l’atmosfera con le tonalità comprese tra il rosso e il violetto performando dei brani scelti da loro a partire dalle gradazioni di colore presenti tra queste. Il lucernario, filtrato opportunamente con un particolare materiale che a seconda dell’inclinazione del raggio solare, diffondeva tonalità del rosso che andavano dal rosso pieno, quasi arancio, del mattino al violetto profondo dell’imbrunire. Il risultato era chiaramente un lavoro sulla concentrazione personale e sulla possibilità di coesistenza collettiva attraverso le peculiari qualità individuali. Tutti immersi nel colore.

Reale e digitale sono due declinazioni ormai consumate della pratica artistica, basti pensare all’anno appena trascorso. Come si pone un artista come lei in confronto a tali definizioni? Quale senso attribuisce e come riesce a entrare in contatto con queste due sfere attraverso pittura e immagine?
Le opere The Whole World in a Detail, che citavo prima ed esposte a BUILDING, sono realizzate a partire da pixel di immagini. Immagini cioè trasformate e ingrandite fino a diventare dei quadrati colorati, in relazione tra loro. Una trasformazione digitale a cui abbiamo assistito abbondantemente nei tempi recenti. In realtà queste opere sono però realizzate con strati sovrapposti di pittura: ogni colore del singolo pixel continua sotto gli altri creando una stratificazione che ci parla, all’opposto dell’immaterialità del sistema di traduzione in pixel frutto del mondo digitale, di esperienza, di tempo, di peso, di durata, di fisicità… Guardiamo e pensiamo di capire ciò che vediamo, ma in realtà stiamo assistendo ad altro… Le ricorda qualcosa?

BUILDING – Installation view – Paolo Parisi. The Weather was Mild on the Day of my Departure. Photo Leonardo Morfini. Courtesy BUILDING, Milano

È ancora possibile condividere un’immagine senza usufruire del digitale? E come si pone la sua pratica artistica nei confronti di due grandi opposti come astrazione e figurazione, alla luce delle sue opere?
L’opera Alle ragazze d’Italia!, le tende ricamate esposte al primo piano di BUILDING – il cui titolo origina dall’incipit del libro di testo “Manualetto per i lavori donneschi” in uso nelle scuole Leopoldine – vuole riflettere anche sull’idea che gli assunti del modernismo abbiano a che fare con un punto di vista esclusivamente maschile e, implicitamente, proprio sulla questione astrazione-figurazione. Le tende sono stampate con immagini provenienti dal mio smartphone (come accaduto in precedenza, per esempio nell’opera video esposta al piano terra – Untitled – Postcard [Film] – dove le immagini, insieme ai suoni creati da AKA Massimo, sono diffusi all’infinito e random attraverso un software appositamente concepito) sulle quali sono stati ricamati motivi provenienti dal manualetto dei lavori donneschi e da elementi trovati sul web relativi a quei momenti della storia dell’arte del ‘900 in cui l’arte si è manifestata attraverso motivi astratti. È una riflessione, oltre che sul maschile-femminile – l’astratto geometrico come il modernismo sono considerati dei modelli di imposizione maschile, laddove il floreale e il rappresentativo sono più femminili – e sulla universalità del gesto artistico: fare arte è questa somma di gesti apparentemente inutili legati ad una disciplina (andare in studio tutti i giorni, fotografare centinaia di volte lo stesso soggetto [lo stretto di Messina che appare nelle opere esposte al primo piano The Wheather Was Mild on the Day of My Departure]) che, oltre a suggerire un approccio di segno opposto rispetto alla attuale, vigente idea di produttività, genera una nuova, possibile immagine del mondo. Memoria personale e memoria collettiva coesistono così insieme a una stratificazione di gesti quotidiani trasmessi per “riportare sulla retta via” donne altrimenti perdute (?) attivando una dialettica tra ciò che è umano e ciò che non lo è, ciò che è maschile e ciò che è femminile (o figurativo e/o astratto) e ciò che non può rientrare in nessuna di queste due categorie.

Di particolare rilevanza sono le sue strutture, le sue case, il luogo reale-irreale che vive negli spazi della galleria. Come nelle sue immagini, anche qui la presenza umana è assente. Cosa evoca per lei tale assenza esplicita?
Le sculture U.s.a.i.s.o. (acronimo di Uno sull’altro in senso orario), che realizzo a partire dal 1996 e che continuo a realizzare, sono frutto sostanzialmente delle stratificazioni di gesti ripetuti che alla fine, soltanto allora, generano un’immagine (la giornata?). Ma anche un processo che può potenzialmente continuare (l’insieme di giorni, settimane, mesi, anni, …). Sono contemporaneamente una riflessione sulla scultura e sul tempo. Le aperture di queste sculture-architetture sono orientate, dal basso verso l’alto, in senso orario. Dunque un’idea di sviluppo del tempo, in questo caso, verticale. Strati di cartone ondulato, posti uno sull’altro, poi riprodotti con la tecnica del calco, in equivalenti in gesso. Anche loro uno sull’altro. Niente incollato, tutto libero e semplicemente sovrapposto. È chiaro che è presente l’architettura ma direi che ciò che è più presente è proprio l’uomo, con il suo agire, nel tempo. Così come l’essere umano, insieme a tutto il resto (animali, piante, paesaggio, …) è presente direi in tutte le opere, perché rappresentato direttamente (se vogliamo per forza ricondurci al problema dell’inizio del secolo scorso e cioè astrazione vs figurazione, ormai direi definitivamente superato) o perché ad essere rappresentato è il suo intorno, e penso ai tessuti, indossati dai santi nel Rinascimento che addirittura riuscivano ad essere se non più importanti, perlomeno equivalenti dei volti, in termini di apprezzamento e/o valutazione.

BUILDING – Installation view – Paolo Parisi. The Weather was Mild on the Day of my Departure. Photo Leonardo Morfini. Courtesy BUILDING, Milano

Le sue scelte cromatiche, le sue strutture, i tendaggi, i video e le fotografie generano un forte senso di relazione con atmosfere sottintese, presenti ma mai gridate. Come si pongono le sue opere in relazione allo spazio e al contesto in cui sono inserite e che dialoghi e visioni instaurano?
Sulla seconda parte della domanda mi piacerebbe ascoltare chi guarda, chi le frequenta… In generale il mio lavoro ha sempre avuto una connotazione spaziale. Credo infatti, e l’ho già detto in altre occasioni, che dal momento in cui la pittura si è emancipata dal suo stesso isolamento e che dalla parete ci ha raggiunti nello spazio, credo che sia possibile per noi, venuti dopo, permetterci qualsiasi forma di ridefinizione. Soprattutto, per quanto mi riguarda, in termini di non isolamento. E qui, sulla coesistenza e condivisione, e soprattutto sulla fisicità e sull’urgenza del nostro essere qui ed ora giungiamo a quello che per me è il nocciolo della questione. Oggi, forse meglio che in ogni altro periodo storico, la pittura può riconquistare il suo terreno originario: la ridefinizione dello spazio fisico della nostra esperienza. Spazio che, da quello che vediamo, diventerà sempre più domestico e meno pubblico (lo spazio pubblico oggi è sul web). Ma torniamo all’origine come in un loop: erano spazi privati o pubblici quelli delle grotte di Lascaux?
Sul sottinteso non saprei. È probabile che tra Bernini e Borromini si possa parlare di una maggiore spettacolarità rispetto a una maggiore spiritualità. Ma forse sono luoghi comuni… a noi contemporanei sono arrivati entrambi, e questo è l’importante soprattutto se pensiamo che molto altro è sparito. E chi gridava, in un paese che ha rappresentato (e forse lo rappresenta ancora) il modello planetario del mondo attuale, è stato appena mandato a casa. Come dire: c’è speranza…

Paolo Parisi. The Weather was Mild on the Day of my Departure
a cura di Lorenzo Bruni

19 gennaio – 6 marzo 2021

BUILDING
via Monte di Pietà 23, Milano

Orari: da martedì a sabato 10.00-19.00

Info: www.building-gallery.com

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