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SALÒ (BS) | MuSA e Civica Raccolta del Disegno di Salò | 4-11 ottobre 2020

Intervista a GIULIA SPERNAZZA di Serena Filippini

Dal 4 all’11 ottobre, all’interno dell’evento Carte in chiostro organizzato dal MuSA e dalla Civica Raccolta del Disegno di Salò e curato da Anna Lisa Ghirardi, si è svolta la residenza d’artista di Giulia Spernazza (Roma, 1979), vincitrice al concorso Arteam Cup 2019 del Premio Speciale Residenza Civica Raccolta del Disegno di Salò.
La residenza è stata arricchita da una mostra personale dell’artista all’interno degli spazi del MuSA dal titolo Strati d’animo e da alcuni laboratori aperti al pubblico, dove l’artista ha coinvolto i partecipanti in un unico grande processo creativo collettivo.
Conclusa questa esperienza abbiamo incontrato l’artista per farci raccontare le sue riflessioni e per scoprire qualcosa in più sul suo lavoro:

Giulia Spernazza, Pensieri solidi, 2020, carta giapponese e cera, 40×40 cm
Credits Manuela Giusto

La tua vittoria al concorso Arteam Cup 2019 del Premio Speciale Residenza Civica Raccolta del Disegno di Salò ti ha dato l’opportunità di vivere l’esperienza di una residenza a Salò e di una mostra personale al MuSA. Come è stato lavorare in stretto dialogo con due istituzioni di notevole importanza come la Civica Raccolta del Disegno e il MuSA? Come si sono inseriti la tua poetica e il tuo lavoro all’interno di questi spazi?
Il premio vinto con Arteam Cup mi ha dato l’opportunità di vivere gli spazi del museo per una settimana; è stata la mia prima residenza e un’esperienza nuova sotto molti punti di vista. Esporre in una prestigiosa location come il MuSA, nello spazio della importante collezione della Civica Raccolta del Disegno di Salò, rappresenta una tappa importante del mio percorso artistico. Realizzare i workshop e lavorare all’installazione mi ha consentito di entrare in contatto con il museo al di là dei fini espositivi e con alcune persone del luogo. Altro aspetto importante è stato vedere i miei lavori allestiti per la mostra Strati d’animo, dialogare con la splendida vista sul Lago di Garda, vista che rende la sala della Civica Raccolta un luogo magico. Ho un rapporto molto intimo con l’acqua, soprattutto con il mare dove sono nata e vivo, essa influenza da sempre la mia ricerca nel desiderio costante di raggiungere quella trasparenza e quell’atmosfera per me mistica. 

La mostra allestita negli spazi del MuSA prende il titolo Strati d’animo, gioco di parole efficace se si pensa ad uno temi su cui si fonda il tuo lavoro, ovvero l’idea di stratificazione letta in un’ottica di esperienze e vissuti personali che, stratificandosi, danno vita ai singoli capitoli della nostra storia. Ci parli più nel dettaglio di questa mostra?
Le opere sono state realizzate ad hoc per la mostra e ho scelto, su suggerimento della curatrice Anna Lisa Ghirardi, di fondere la ricerca degli ultimi due anni con quella sul segno, prerogativa della Civica Raccolta del Disegno di Salò. Si sono quindi creati due gruppi di opere, uno in cui la carta non è utilizzata come supporto ma come materia, direi scultorea, e l’altro, composto da lavori bidimensionali, in cui il segno diviene traccia. Il filo conduttore che li lega è proprio il concetto di stratificazione. 

Giulia Spernazza, workshop “Strati d’animo”, MuSA, Salò (BS) Credits Pino Mongiello

Pensando a questo concetto che, se fatto riferire al nostro vissuto e alle nostre esperienze, appare come qualcosa di astratto e non fisicamente percepibile, come sei riuscita e con quali materiali a renderlo visibile nelle tue opere?
Trascendere la forma utilizzando la materia è l’elemento centrale della mia ricerca. Rendere visibile il percorso introspettivo che è alla radice delle mie opere è il processo più affascinante e delicato che intraprendo quando lavoro. La stratificazione non è solo il simbolo delle esperienze, ma vere e proprie fasi di evoluzione che proprio quelle esperienze hanno innescato. Queste possono essere riferite a dei fatti accaduti che hanno segnato la nostra vita, ma anche dei salti di consapevolezza, di scoperta dentro di sé, dei cambi interiori. L’utilizzo della carta giapponese imbevuta di cera, iniziato sperimentando circa due anni fa, mi consente di ottenere delle forme scultoree che appaiano semitrasparenti e che mi consentono, procedendo per strati, di far percepire i passaggi sottostanti.
La mia formazione accademica, che ha visto il mio amore per la pittura tonale e anche per la scultura, è sfociata nel desiderio di unire questi due linguaggi attraverso l’utilizzo di materiali come la carta e il tessuto che, dopo essere stati imbevuti di cera, riesco a modellare ottenendo forme tridimensionali leggere e trasparenti.
Rendere materico il mio desiderio di verità, inteso come percorso verso la parte più autentica che è in ognuno di noi, riflettendoci, esprime due processi antitetici: un viaggio che inizia andando in profondità per poi tradursi in alcuni casi nel suo esatto opposto, l’emergere della materia dal fondo.
Anche nelle opere incentrate sul segno, la matita è presente in diversi strati sottostanti che si intravedono appena, ma che esistono. Sono tracce di qualcosa che è stato, che siamo stati, esseri in continua evoluzione.

Giulia Spernazza, Stratificazioni, 2020, carta giapponese e cera, 40×40 cm (dettaglio) Credits Manuela Giusto

Un altro tema che emerge dalla tua poetica è il vivo desiderio di riunione e di riconciliazione dell’uomo con la natura. Nell’ultimo periodo, soprattutto durante il lockdown, quando molte specie animali e vegetali hanno cominciato a popolare i centri abitati e le città là dove non si erano mai viste prima, è cambiato il tuo modo di vedere il rapporto uomo-natura? Quali riflessioni hai elaborato sul fatto che, venendo meno la presenza umana, la natura ha occupato anche gli spazi urbani tornando a farli suoi?
Penso che l’esterno, il nostro modo di rapportarci alla natura ma anche agli altri esseri umani, non siano altro che il nostro specchio. L’insensibilità dell’uomo nei confronti delle creature animali e vegetali è la stessa che spesso si riscontra tra uomo e uomo e anche, di conseguenza, dell’allontanamento da noi stessi. Sentirsi separati dalla natura significa sentirsi separati dal flusso vitale; credo profondamente che esista una connessione tra ogni essere vivente e disconnettersi crea molta sofferenza, una scissione anche al nostro interno. Io non credo che si possa vivere serenamente non rispettando il mondo naturale e le creature che lo abitano, non provando compassione, innanzitutto nei confronti di noi stessi, delle nostre parti più oscure. L’esperienza difficile del lockdown ha portato alla luce molte fragilità sopite “grazie” al nostro modo di vivere.

Oltre alla mostra, la residenza ha previsto anche dei laboratori nei quali il pubblico è stato coinvolto direttamente in un processo creativo collettivo. Ci racconti qualcosa in più? Come sono state pensate le attività e come ha reagito il pubblico?
L’aspetto legato ai laboratori finalizzati alla realizzazione dell’installazione site specific Strati d’animo connessi, credo sia stato quello più interessante.
Ho pensato di coinvolgere il pubblico (casualmente tutto femminile) in un progetto comune, esponendo l’idea iniziale di sospendere delle strisce di carta giapponese creando tra loro un dialogo e, dopo aver dato misure approssimative, mettendo a disposizione i diversi materiali che utilizzo nella mia ricerca, lasciando le persone il più possibile libere di esprimersi. Ognuna ha realizzato i propri strati d’animo intervenendo sulla carta secondo la propria sensibilità e i risultati sono stati molto interessanti. In maniera progressiva ho iniziato a sospendere i lavori collocandoli nello spazio e la sfida è stata per me quella di non intervenire durante il loro processo creativo, pur avendo in mente l’immagine di come avrei voluto che fosse il risultato finale. Esso è passato lentamente quasi in secondo piano, mentre lo scambio, l’espressività e il lavorare tutte insieme per un progetto comune hanno acquisito più importanza dell’opera stessa che andando avanti cambiava… Accettare questo, per un’artista perfezionista come me, è una cosa molto difficile.
Ci sono stati dei lavori che inizialmente mi hanno destabilizzata perché lontani dal mio naturale procedere e proprio per questo mi hanno aperto a possibilità a cui non avrei pensato, altri invece molto affini al mio lavoro, pur non dando indicazioni o direttive precise. Credo che questo sia stato possibile grazie all’energia che si è venuta a creare tra di noi.

Giulia Spernazza, workshop “Strati d’animo”, MuSA, Salò (BS) Credits Pino Mongiello

Seguendo questo discorso della condivisione del processo creativo con le persone, generalmente assume una qualche importanza per la realizzazione dei tuoi lavori il confronto con gli altri? Credi che anche le conoscenze che si fanno e le persone che si incontrano rientrino in quella stratificazione di esperienze della vita di cui parlavamo prima?
In realtà questa è la mia prima esperienza di un’opera partecipativa, e proprio per questo credo sia stata un’esperienza importante per il mio percorso. Ho sentito l’esigenza di condividerlo in modo diverso, non dal punto di vista dello spettatore che fruendo delle opere arriva a pormi eventuali interrogativi, ma coinvolgendo le persone attivamente e aprendomi ad uno scambio.
Lavoro solitamente in solitudine, la mia ricerca nasce da un ascolto profondo che tendo a spogliare di riferimenti puramente soggettivi, proprio per non cadere nell’autoreferenzialità, perché diventi espressione di un viaggio verso l’essenzialità che può riguardare chiunque. Credo che ogni esperienza accada quando si è pronti a viverla e a ricevere quello che porta con sé e l’essermi aperta a questo nuovo approccio nei confronti della mia arte è sicuramente un cambiamento e quindi un nuovo strato che andrò ad aggiungere.

Al termine di questa preziosa esperienza di residenza e di mostra, nonostante il periodo incerto che ci impone di non fare troppi programmi, hai qualche progetto per il futuro?
Le circostanze non sono favorevoli ad averne, purtroppo, ma continuerò a collaborare con le gallerie con cui espongo da anni e a lavorare nello spazio in cui sono entrata da circa un anno a Fondamenta gallery (Roma) dove insieme a Margherita Giordano, Chiara Amici e Giovanni Longo abbiamo creato il collettivo Basement. In questo periodo credo sia importante uscire, per quanto sia possibile, dall’isolamento, e lavorare in un collettivo mi dà la possibilità di confrontarmi con artisti che stimo e con cui ho stabilito un bellissimo rapporto umano.

Info: www.arteam.eu
www.giulia-spernazza.it
www.museodisalo.it

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