INTERVISTA A CLAUDIO SEGHI ROSPIGLIOSI DI LEONARDO REGANO
Villa Rospigliosi, un’antica dimora nobiliare immersa nell’incanto della campagna toscana appena fuori Prato, è lo scenario che accoglie ChorAsis, un progetto di produzione e promozione dell’arte contemporanea radicale e improntato ad un sostegno attivo degli artisti del territorio. Ad avviarlo è stato Claudio Seghi Rospigliosi, collezionista e protagonista del terzo incontro di #ClouseUp. Il progetto, che si avvale della collaborazione curatoriale di Riccardo Farinelli, si compie in una relazione perfetta tra lo spazio ospitante e l’artista, con una proposta prevalentemente site-specific che consolida l’intenzione di innestare un dialogo concreto e aperto verso le nuove forme di espressione artistica.
Ci incontriamo oggi in occasione del progetto ChorAsis, che in questa edizione ha come protagonista Serena Fineschi. Prima di questo impegno nella promozione del contemporaneo, la tua ricerca collezionista come ha preso avvio?
Ho iniziato a comprare opere d’arte abbastanza giovane, era il 1996. Sono passato attraverso scelte dettate da gusti e stili molto diversi tra loro, in linea con la crescita e l’evoluzione del mio gusto personale. All’inizio ero interessato al figurativo e ho comprato lavori di Aldo Riso, Antonio Possenti e Sergio Scatizzi, concedendomi anche incursioni nella fotografia. La mia collezione ha seguito una ricerca personale del tutto improntata al rapporto diretto con l’opera d’arte, alle sensazioni che questa è in grado di darmi. E poi c’è l’Antico, che è però una ricerca più legata alla mia famiglia. Dal confronto con questi due mondi, ho scoperto il piacere di far dialogare le cose, creando relazioni nuove e inaspettate. In casa, per esempio, ho accostato una copia coeva da Guercino accanto a due sculture di Massimiliano Turco.
L’incontro con Riccardo è avvenuto successivamente e ha aperto la strada per un nuovo capitolo del mio rapporto con l’arte. Ho maturato un gusto più legato al concettuale che oggi porta la mia attenzione verso artisti come Giovanni Termini o Serena Fineschi. Il progetto ChorAsis unisce non solo la voglia di conoscere l’arte e le nuove tendenze del contemporaneo ma asseconda un’esigenza di divulgazione e di rieducazione allo sguardo – mantenendo sempre la massima modestia nell’usare questo termine. Forse l’aspetto comunicativo e di promozione è quello che oggi prevale per me, mettendo il processo collezionistico in sé e per sé in secondo piano.
Le opere che insieme a Riccardo Farinelli presentate in queste occasioni di incontro entrano poi a far parte della tua collezione?
No, in realtà. O meglio non tutte. Io non sono un accumulatore; anzi, le troppe cose tendono ad appesantirmi. Mi piace l’idea della produzione e della compartecipazione al processo creativo, di aprire gli spazi della mia Villa e del suo giardino. Se poi l’opera “scompare” dopo l’evento, questo non ha importanza.
Quindi più che di collezionismo sarebbe più corretto se parlassimo di mecenatismo nel tuo caso?Probabilmente sì. Non ho interesse per il mercato. La scelta mia e di Riccardo ricade su chi è in grado di presentare un lavoro che davvero valorizzi il luogo. Conosco personalmente tutti gli artisti invitati a esporre, con alcuni stringo un vero e proprio rapporto di amicizia, come è successo con Serena Fineschi.
Se il mercato passa in secondo piano, possiamo dire che nella tua collezione un’attenzione particolare è riservata agli artisti del territorio toscano?
Sì, assolutamente. Preferisco sostenere giovani che lavorano sulla scena locale.
Quale risposta hai ricevuto a questo tuo appello alla bellezza, se mi passi il termine, a questo tuo confronto ricercato con il territorio?
Quando ho conosciuto Riccardo Farinelli non solo l’ho ammirato per il suo lavoro di curatore ma anche per le sue grandi doti di comunicatore ed educatore. Per questo abbiamo scelto di continuare su questa strada accompagnando ogni intervento con specifici workshop tenuti da Riccardo o dall’artista nei quali offriamo al pubblico un’occasione per avvicinarsi concretamente al progetto proposto.
Insieme, portiamo avanti anche un progetto editoriale; pubblichiamo infatti cataloghi che curiamo in prima persona e che completano la proposta che quotidianamente offriamo al visitatore.
Continuando a parlare di ChorAsis, hai mai pensato ad aprire la tua Villa per un programma di residenze?
Sì, è un progetto in itinere. L’idea con Riccardo è quella di ampliare il progetto, riutilizzando gran parte delle rimesse agricole di pertinenza della Villa e mettendole a disposizione degli artisti.
E a proposito di territorio, qual è il rapporto che il progetto ChorAsis ha instaurato con le Istituzioni presenti?
Con l’amministrazione comunale di Prato spero di aver instaurato un percorso che ci porti a parlare di cultura e spero che il dialogo si faccia sempre più fluido. Proprio in questa ottica, questo luglio, sempre qui a casa, organizziamo eventi di concertistica in collaborazione con il Comune, spero sia l’inizio virtuoso per una buona collaborazione. C’è poi il Centro Pecci che difficilmente include nella sua programmazione un dialogo con le realtà locali, gli artisti e le gallerie. Penso ad autori come appunto Massimiliano Turco o Emanuele Becheri che meriterebbero più attenzione. Ricordo solo la Direzione di Marco Bazzini come l’unica che ha voluto creare questo confronto con Prato e i suoi artisti.
Invece con Firenze, quali prospettive ci sono per un confronto?
Se mi chiedi di Firenze, posso dirti che credo si stia facendo un ottimo lavoro di promozione del contemporaneo e, in particolar modo, mi riferisco al progetto di Palazzo Strozzi. Per esempio, ho amato moltissimo la scelta di portare Ai Weiwei in città. È un artista che apprezzo tanto e di cui ho anche comprato un lavoro. Per me è uno dei più grandi oggi, un grande comunicatore. Ma c’è un limite importante per questa realtà che è quello legato alla natura stessa degli eventi proposti, che sono secondo me pensati per un turismo mordi e fuggi e non intervengono in maniera strutturale nella realtà cittadina. Oppure, sempre parlando di Firenze, penso a Piazza della Signoria. Se fossi uno scultore ci penserei bene prima di confrontarmi in maniera così aperta con l’eredità del passato. Riconosco però che ci sono interventi che hanno creato un dialogo vincente con il luogo – uno tra tutti quello di Jan Fabre con il suo Uomo che misura le nuvole. Per fortuna si tratta sempre di interventi transitori e fino a quando restano tali va bene ogni forma di sperimentazione.
Allargando il nostro discorso all’Italia, la scena artistica attuale dove sta andando e quali nomi reputi interessanti?
Non sono in grado di farti un elenco ma posso dirti che, per farti dei nomi tra quelli non ancora esposti, c’è il duo Antonello Ghezzi che apprezzo molto. Sono artisti impegnati ma anche leggeri, leggo in loro un divertimento che mi attira tantissimo. E poi ancora c’è Luca Matti, con la sua pittura che si lancia nella terza dimensione.
CloseUp è un appuntamento mensile con il collezionismo, a cura di Leonardo Regano, realizzato in collaborazione con Art Defender.
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