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MODENA | GALLERIA ANTONIO VEROLINO | 11 MARZO – 9 APRILE 2022

La Galleria Antonio Verolino presenta Verde Brillante. O delle possibilità interpretative del divenire forma, mostra collettiva a cura di Leonardo Regano che riunisce il lavoro di nove artisti, differenti per età e per linguaggi espressivi ma uniti dalla scelta del tema della rappresentazione dell’albero nella loro ricerca.

Il titolo della mostra, tratto dall’omonimo saggio del botanico Stefano Mancuso, connette idealmente la complessità del regno vegetale alle differenti potenzialità dell’atto artistico, presentando un’indagine che si fonda sul dialogo tra scultura, pittura, disegno e fotografia.

«Sembra quasi una provocazione la scelta di usare un titolo come Verde Brillante per una mostra in cui presto ci si accorge che i riferimenti al verde – inteso come colore – sono minimi. L’ingresso della Galleria Antonio Verolino non poteva che essere più radicale in tal senso, con il rigoroso bianco e nero che accumuna tutte le opere allestite nella prima sala. Credo quindi sia il caso di introdurre questo progetto partendo proprio da alcune considerazioni sul significato del suo titolo. Lo dichiaro subito, la mia è una suggestione nata leggendo l’omonimo testo di Stefano Mancuso, scritto in collaborazione con Alessandra Viola. Possono le piante considerarsi creature intelligenti? Partendo da questo assunto, una serie di argomentazioni danno prova di un mondo vegetale sorprendente e pressoché sconosciuto, perorando l’idea di una complessità della realtà botanica che è oggi sempre più al centro del dibattito scientifico, dopo aver vissuto al suo margine per secoli» scrive Leonardo Regano nel testo critico che accompagna la mostra.

Articolata come un racconto sulle diverse possibilità espressive della “forma-albero”, la mostra ha come incipit otto tavole serigrafiche realizzate da Cesare Leonardi (Modena, 1935 – Baggiovara, 2021), tutte tratte da “L’Architettura degli Alberi”, testo scritto in collaborazione con Franca Stagi (Modena, 1937 – 2008) e pubblicato nel 1982. Nei suoi studi, Leonardi elabora più di 500 immagini in scala 1:100 di 212 specie arboree differenti prese a modello dal celebre architetto modenese per modulare le sue progettazioni urbanistiche e di design.

Verde Brillante. O delle possibilità interpretative del divenire forma, installation view, Galleria Antonio Verolino, Modena. Ph Mattia Santini

Giulia Dall’Olio (Bologna, 1983) propone un ciclo di disegni ispirato proprio al lavoro di Cesare Leonardi. Per l’artista bolognese la forma-albero è da sempre elemento imprescindibile di ricerca; floride e rigogliose, le sue piante subiscono un processo di deformazione e alterazione per l’inserimento di elementi di disturbo visivo (cancellature, colature di colore, tagli e incisioni del supporto) come atto di denuncia degli effetti dell’azione antropica sul paesaggio naturale. Gli alberi di Dall’Olio raccontano del loro delicato equilibrio per la sopravvivenza, tra violazioni e rinascite del dato vegetale.

Giulia Dall’Olio, g 19][198 d, 2020, carboncino e pastello su carta, cm 200×150

In stretto dialogo con i disegni di Giulio Dall’Olio e le serigrafie di Cesare Leonardi, le opere fotografiche di Paola De Pietri (Reggio Emilia, 1960) raccontano il paesaggio emiliano, quella sua peculiare natura di territorio fortemente antropizzato, in cui il confine tra naturale e artificiale è labile e confuso. In Questa Pianura, alberi e case coloniche, isolati e messi in evidenza nel contesto rurale, incarnano per De Pietri il simbolo di una vita che scorre sul territorio, frammenti di un racconto che unisce riferimenti all’elemento vegetale con gli aspetti sociali, economici e produttivi della zona emiliana.

Paola De Pietri, Senza Titolo, dalla serie Questa Pianura (2014-2017), 2016, stampa digitale ai pigmenti su carta cotone, cm 109,5×91,5, ed.3+1a.p._2

L’opera di Paolo Ventura (Milano, 1968), di contro, porta l’attenzione su una veduta tipicamente urbana: l’albero della sua Milano, proprio come quello di De Pietri, è presentato spoglio, ridotto quasi a un semplice elemento decorativo lineare; ma là dove la fotografa emiliana sceglie di isolare l’elemento vegetale, Ventura invece lo esalta per la via opposta, comprimendolo e schiacciandolo tra le tipiche architetture, grigie e severe, del capoluogo lombardo. Con l’opera in mostra, Ventura continua l’omonima serie di lavori dedicati a Milano, realizzati sull’onda emotiva della crisi pandemica che ha aperto nuovi interrogativi sul ruolo e sul futuro della città. Gli interventi pittorici sul supporto fotografico enfatizzano l’atmosfera sognante di un mondo che è invece privo di fantasia e brutale nella sua concretezza. Ogni segno di vita è escluso da questa immagine: non resta che l’albero o, meglio, il suo tronco e i suoi rami che diventano un elemento grafico, un segno che si interfaccia con la dura geometria dei palazzi.

Paolo Ventura, Milano, 2022, collage fotografico e pittura, cm 100×70

Le linee dritte di questi alberi urbani ricordano quelle del fitto pioppeto riprodotto in Ciao. vado Ettore#1#2#3, lavoro di Jacopo Valentini (Modena, 1990). Anche in questo caso, la fotografia è interprete del fascino di un paesaggio rurale che si confronta con la realtà industriale: il pioppeto è un’invenzione umana, una piantagione destinata allo sfruttamento per la produzione del legno. Le forme dei tronchi disegnano lo spazio come un’ideale architettura, una cattedrale vegetale destinata ogni volta a mutare e rigenerarsi, in un circolo di utilizzo potenzialmente infinito.

Jacopo Valentini, ciao.vado..Ettore #1#2#3, 2018, trittico Pioppeto Artificiale, stampa a getto d’inchiostro, cm 110×76

La natura che dipinge Andrea Chiesi (Modena, 1966) è invece una forza pioniera, dominante e libera dalla sopraffazione umana. Il respiro della terra è un intreccio fitto di rami da cui trapelano rade porzioni di cielo. Il pittore si guarda attorno, anche lui attratto dalle forme-albero della pianura emiliana, una terra che ha da sempre nutrito l’immaginazione degli artisti; ma guarda anche al cinema, lasciandosi ispirare da una suggestione visiva tratta dal film “Dura Lex” (1926) del regista russo Lev Kulešov. Ambientato nel Klondike dell’età della corsa all’oro, la natura descritta da Kulešov è aspra e spietata. Ha in sé un sentore di forza e terrore che torna anche nella pittura di Chiesi: il suo albero è enfatizzato quasi come un idolo, riportato alla sua sacralità ancestrale. Nella linearità di quei rami torna alla mente il riferimento alla grande tradizione dell’arte occidentale, i tormentati grafismi di Gauguin e di Van Gogh, così come le linee di Mondrian fino al riferimento alla grafica del fumetto underground.

Andrea Chiesi, Il respiro della terra, 2021, inchiostro su carta, cm 50×70

Con Phosphoros Nicolò Cecchella (Reggio Emilia, 1985), attraverso la forma-albero, propone una riflessione sulla materialità della fotografia, sul suo essere essenzialmente una scrittura di luce su un supporto reso sensibile ad essa. Le garze imbevute della sostanza chimica fasciano i rami e, nel tempo, andranno a diventare il punto di riferimento per misurare la crescita del vegetale. Nel buio del paesaggio notturno, il verde brillante delle fasciature mette in risalto ogni movimento fatto dalla pianta durante la sua evoluzione, ne evidenza la sua continua ricerca dei raggi solari per la sopravvivenza. In analogia con la tecnica fotografica, l’albero viene letto come la traccia vivente e scultorea delle variazioni della luminosità. La seconda opera di Cecchella presente in mostra, Traccia/Albero 01, è l’impronta di un particolare della corteccia: la fusione mette in risalto l’apparato dei canali linfatici, sostituendo alla linfa vitale il metallo.

Nicolò Cecchella, Phosphoros – Alberi 1 e Alberi 2, 2016_2022, stampa digitale a pigmenti su carta cotone, cm 150×100. Verde Brillante. O delle possibilità interpretative del divenire forma, installation view, Galleria Antonio Verolino, Modena. Ph Mattia Santini

Anche la forma-albero scelta da Arthur Duff (Wiesbaden, 1973) è resa scultorea, pietrificata per un processo naturale di fossilizzazione durato milioni di anni. (Endings) è un lavoro inedito che l’artista americano ha prodotto in occasione della mostra e riunisce in sé la complessità della ricerca di Duff, che si confronta sulle potenzialità espressive di elementi ricorrenti come il neon, la parola scritta o le corde intrecciate. (Endings) è una riflessione intima sul senso del tempo, che viene presentato nella sua accezione geologica – il fossile – ma anche umana: la pietra è simile a quelle che l’artista raccoglieva nei suoi giochi infanzia, trascorsa nello Utah. Alla sua rigidità si oppone l’aleatorietà della corda, un’anti-forma, che resta curva e aperta a nuove e possibili combinazioni. La scritta a neon, lasciata tra parentesi, pone l’interrogativo di un tempo che non si conclude mai realmente ma sembra quasi tornare ciclicamente, seppur sotto forme sempre nuove.

Arthur Duff, Endings, 2022 tubo al neon, corda in poliestere d.mm.40. Verde Brillante. O delle possibilità interpretative del divenire forma, installation view, Galleria Antonio Verolino, Modena. Ph Mattia Santini

Zeno Bertozzi (Castel San Pietro Terme, Bo, 1994) ragiona anche lui sull’idea di tempo, legandolo nella sua opera al processo di trasformazione della materia. Il gesso, punzonato con una gestualità reiterata e costante, si rende simile al tronco di un albero segnato al suo interno dalle tracce degli anelli di accrescimento. Le irregolarità dei cerchi diventano metafora dell’esistenza umana e dei suoi continui cambiamenti. In Ritmo Bertozzi si abbandona a un’azione calma e continua, ripetuta con pazienza e precisione, quasi ossessiva nel suo sviluppo.

Zeno Bertozzi, Ritmo, 2021 gesso diam. cm. 54

Verde Brillante. O delle possibilità interpretative del divenire forma
Artisti: Zeno Bertozzi, Nicolò Cecchella, Giulia Dall’Olio, Paola De Pietri, Arthur Duff, Cesare Leonardi & Franca Stagi, Jacopo Valentini, Paolo Ventura

a cura di Leonardo Regano

11 marzo – 9 aprile 2022

Galleria Antonio Verolino
via Carlo Luigi Farini 70, Modena

Info: www.galleriaantonioverolino.com

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