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NAPOLI | Museo MADRE | Fino al 31 maggio 2023

di BEATRICE SALVATORE

Animato sempre dall’entusiasmo di un bambino, e da un’acuta e sottile ironia che pervadeva anche le sue opere, parlava scegliendo le parole e guardando dritto l’interlocutore dai suoi occhi di un azzurro profondo e ogni tanto si fermava a sorridere; Ugo Marano, nato a Capriglia di Pellezzano (SA) il 9 febbraio del 1943 e scomparso nel 2011 nella sua Cetara, amava definirsi artista radical concettuale utopico, per il suo atteggiamento aristocratico e di artista immaginifico e “creatore”.

Ugo Marano, Signore sedie, 1979-1982, 80 sedioline e strutture in terracotta, installazione, misure variabili. Collezione Eredi Marano

Il museo Madre dedica all’artista che ha coltivato sempre l’utopia come centro della sua ricerca, un’ampia e completa retrospettiva, a cura di Antonello Tolve e Stefania Zuliani (ricordiamo un’altra retrospettiva al Museo Frac di Baronissi, nel 2014, curata da Massimo Bignardi), che si articola non secondo un ordine cronologico o per tipologia di media o di materiali, ma seguendo la dimensione più poetica di una vita, più che di una ricerca, che ha abitato e abita stanze, in cui incontriamo di volta in volta il pensiero e l’idea di Casa, Corpo, Tempo, Arte, Scrittura, Natura, Legame. Sono questi i temi, gli spazi ideali, attorno a cui ruota il lavoro di Ugo Marano, puro, semplice ma allo stesso tempo complesso, multiforme: l’artista realizzava prima di tutto un’idea prima che un’opera e lo faceva attraversando diversi materiali e differenti oggetti che lo hanno “seguito” in tutto il suo percorso a partire dall’“arte regina”, la ceramica, passando per veri e propri oggetti di design come le sedie, centrali nella sua opera e che nelle sue mani diventano simboli, fulcri, presenze vere e proprie, punti di meditazione e di incontro.

Ugo Marano. Le stanze dell’utopia, veduta della mostra, courtesy Museo Madre

In mostra sono presenti oltre quaranta opere che raccontano la poliedrica attività di Ugo Marano ma soprattutto tracciano in un’atmosfera direi intimista e raccolta (quasi “privata”), il delicato pensiero e la vita di un artista anche inquieto, dallo sguardo mobilissimo, sempre alla ricerca di un equilibrio e di un’armonia che possa includere forza e fragilità: ne è un esempio visivo la bella installazione centrale, in cui nello spazio bianco campeggiano sedici grandi vasi in ceramica, quasi forme umane, presenze ieratiche che rimandano al mito e alla tradizione delle decorazioni dei vasi attici.

Ugo Marano. Le stanze dell’utopia, veduta della mostra, courtesy Museo Madre

I vasi di Ugo Marano, le forme allungate e panciute, con aperture ampie e basi sottili che sembrano sfidare la stabilità, sono il corpo. Corpo creato dalle mani, dalla terra e dall’acqua, plasmato dalla polvere. Marano è creatore e allo stesso tempo è egli stesso corpo-vaso: guardando le sue opere, tutte, dai disegni alle ceramiche, alle installazioni, fino alle performance e alla scrittura in cui poeticamente esprime la sua concezione dell’arte, lentamente si ha la sensazione che non ci sia più il limite tra artista e opera, resta il mistero vibrante se Ugo Marano ci mostri se stesso, il suo essere quotidiano con tutta la forza della sua personalità carismatica, rendendosi centro vivente dell’opera o, al contrario, letteralmente scompaia dietro la creazione, facendosi strumento senza ego e puro tramite, senza soluzione di continuità, in un continuo dialogo tra mani, pensiero, oggetto e pubblico. Questa è la grande invenzione (nel senso di “trovare”) dell’artista, e forse la sua utopia, realizzare una sorta di opera d’arte totale in cui, l’artista è tutt’uno con la sua creazione e la sfera del privato si confonde con il pubblico, senza più confini, restando solo nella ricerca affamata di un’armonia corale in cui il dialogo, l’incontro e la relazione come forma possibile ed unica di comunicazione, sono i temi centrali della sua opera: la serie delle sedie ad esempio sono l’immagine/simbolo di un’accoglienza, un invito al raccoglimento e alla meditazione e il simbolo della grande utopia di trasformare lo spazio intorno a sé in luoghi “felici”, come nella poetica Sedia del pensiero (1986), “architettura visiva” dall’equilibrio quasi impossibile che rimanda alla (nostra) fragilità e allo stesso tempo alla ricerca della stabilità o nella potente sedia-installazione Papà non c’è (1987) realizzata in legno, ferro, sabbia e ceramica, in cui su una sedia/scultura dalle forme antropomorfe stilizzate, che richiama le sculture arcaiche di guerrieri, sono appoggiati una semplice bottiglia trasparente ed un bicchiere come misteriose presenze/assenze e sul cui schienale sono impresse frasi, serie di numeri, piccoli disegni, come appunti di un diario.

Ugo Marano, Papà non c’è, 1987, installazione, legno, ferro, sabbia e vasi in ceramica | wood, iron, sand, ceramic vases, 200x420x54cm. Collezione Eredi Marano

In mostra, tra gli oggetti, i tavoli o i piatti di ceramica che spesso compongono un’unica serie (come in Onde, piatti smaltati con un semplice fondo blu che Marano “increspa” con un lieve e morbido movimento del pennello), in una teca anche piccole pubblicazioni di pensieri e versi che l’artista amava scrivere a macchina e rilegare artigianalmente, sono il segno più intimistico di una ricerca totale e del suo amore per la parola e la scrittura. Il racconto si snoda anche attraverso fotografie e video di archivio dell’artista, che lo ritraggono come performer o durante la produzione di sue opere.

Ugo Marano, Le stanze dell’utopia, Libri d’artista | Artist’s Book, 1976-2010

Ugo Marano. Le Stanze dell’Utopia
a cura di Antonello Tolve e Stefania Zuliani

Fino al 31 maggio 2023

Museo Madre Napoli
Via Luigi Settembrini 79, Napoli

Orari: da mercoledì a sabato 10.00 – 19.30 | domenica 10.00 – 20.00
lunedì 10.00 – 19.30. Chiuso martedì

Info: info@madrenapoli.it
https://www.madrenapoli.it/

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