ROMA | MAGAZZINO | FINO AL 7 LUGLIO 2021
di ANTONELLO TOLVE
La nuova personale di Daniele Puppi organizzata da Magazzino si apre da via dei Prefetti con un arguto punto di vista che – già prima di varcare il portone del cortile – risucchia immediatamente lo spettatore per attrarlo, attirarlo verso uno scenario scandito da potenti cortocircuiti visivi dove è il tessuto audio a plasmare l’immagine e a renderla parte di un racconto sospeso, alterato, ossessivo, rimodulato secondo stilemi frequenziali di taglio e determinato dall’onda larga del collage elettronico a cui fa da spalla una ulteriorità che sovrappone diverse sollecitazioni culturali.
Menocchio (2021), la prima opera che percepiamo appunto prima di entrare a pieno titolo nell’ampio dispositivo offerto dall’artista con Ventiventuno (questo viatico è stato scelto per indicare il biennio terribile che ha toccato un po’ tutti), è una elegante installazione colonnimorfe: qui se nel titolo c’è il richiamo lampante al mugnaio Domenico Scandella accusato d’eresia e giustiziato a Pordenone sul finire del 1599 per empietà («quando l’homo more è come una bestia, come una mosca; morto l’homo muor l’anima et ogni cosa»), nella sua struttura formale un televisore Mivar 20P2 riproduce in loop la corsa del bizzarro leone codardo – non dimentichiamo quella frase che il personaggio impacciato pronuncia quando si confida ai suoi amici («ma davanti al pericolo il cuore mi batte forte e questo mi rende infelice») e che richiama in causa il nostro pulsante presente – estrapolata dal musical The Wizard of Oz (1939) diretto di Victor Fleming, impareggiabile interpretazione del romanzo di L. Frank Baum (The Wonderful Wizard of Oz, 1900), mentre una tromba esponenziale altoparlante RCF collocata sulla colonna portante ad altezza stomaco sollecita il pubblico a una percezione polidirezionale, audio prima ancora che video. «Se il cinema dell’attrazione si basa sull’impulso e sull’entusiasmo, il lavoro di Puppi ci porta a un livello superiore: invece dell’atto del guardare, Puppi incoraggia il pubblico all’atto del sentire attraverso il corpo», nota giustamente Valentino Catricalà (curatore della mostra) nel suo testo introduttivo.
Più intima e sublime è l’imponente videoinstallazione (Notturno, 2020) che troviamo nella seconda sala dove ad accoglierci è un empifero paesaggio di periferia metropolitana che volge al notturno e ci avvolge letteralmente in una morsa romantica, in un allungamento contemplativo dove è ancora una volta la plasticità del livello sonoro a evidenziare e caratterizzare e assecondare l’immagine. Non dimentichiamo che Puppi è un campione, è una garanzia: anche in questo suo progetto non ci sono sbavature, piuttosto lucide asciuttezze: tra l’altro al fine di ottenere una determinata rispondenza in frequenza, l’artista crea processi di controreazione che colpiscono lo spettatore e lo pongono al centro dello spazio espositivo, del tempo assorbente, dell’evento ripetuto, esteticamente (linguisticamente) coatto.
Negli spazi della hall è presente Fantastic Voyage (2021) dove l’artista recupera un lacerto dell’omonimo film (1966) di Richard Fleischer – la scena dell’esperimento più precisamente – per rimontarlo però azzerando la linearità narrativa e organizzando una lettura quasi da libro, rimarcata, mi pare, dall’impianto verticale di due monitor verticali posti come un dittico, quasi ad indicare la disposizione dell’impaginazione e una certa circolarità, una certa geometrica.
A chiudere questo itinerario è, in ufficio, Master Blaster (2020), lavoro nella formalizzazione apparentemente simile a Menocchio (2021), ma a ben vedere decisamente distante perché da una angolazione di colpo sonoro la lettura sale dal basso, si aggrappa alle caviglie e si arrampica fino agli occhi per portarci in una costante inversione di immagini – Puppi in questo caso riprende La palla n° 13 (1924) di Buster Keaton – il cui schema bidirezionale, assecondato da un flusso sonoro di ordine metronomico – sembra portarci a giocare (mi si lasci passare il paragone) una partita a ping pong.
Tutto è regolato da un poetico assunto estraniante in questo potente percorso modulato da Daniele Puppi: e si ha come l’impressione di essere di fronte a una grande area di interventi che gratta e rosicchia la pelle della realtà o quella della cultura cinematografica per farci vivere una corsa frenata, un etimologico paradosso (παράδοξος, para ten doxan), una pausa pungente, una dilatata diastemia, un montaliano immoto andare che rimuove la parola fine dal finale.
Daniele Puppi. VENTIVENTUNO
a cura di Valentino Catricalà
14 maggio – 7 luglio 2021
Magazzino
Via dei Prefetti, Roma
Info: +39 06 6875951
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