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TORINO | OGR – Officine Grandi Riparazioni | 2 febbraio – 17 marzo 2018

Intervista a LUCA CERIZZA di Elena Inchingolo

Un ritratto di Tino Sehgal alle OGR, Torino. Foto: Marco De Scalzi

Un ritratto di Tino Sehgal alle OGR, Torino. Foto: Marco De Scalzi

Luca Cerizza (Milano, 1969), critico e curatore indipendente e responsabile del CRRI del Castello di Rivoli, Museo d’Arte Contemporanea, e Tino Sehgal (Londra, 1976), affermato artista di fama internazionale, si ritrovano a collaborare insieme, questa volta per una mostra personale, nei suggestivi e grandiosi spazi d’archeologia industriale delle OGR – Officine Grandi Riparazioni di Torino.

Per le OGR l’artista ha pensato ad una complessa coreografia con la partecipazione di cinquanta interpreti e immaginata come un unico grande movimento in continua trasformazione durante il corso di ciascuna settimana di esposizione: un modo per “valorizzare l’interazione energetica tra individui” attraverso un “rituale democratico” di trasmissione dell’arte.

 

Incontriamo Luca Cerizza e gli rivolgiamo alcune domande su questa esperienza, qualche giorno prima dell’inaugurazione del 2 febbraio…

Tino Sehgal è l’artista anglo-tedesco che, nel creare situazioni costruite, attraverso l’uso del linguaggio, del movimento e dell’interazione tra individui, ha posto al centro della sua indagine la componente sociale e umana dell’arte. L’opera è effimera, presente esclusivamente nella memoria del pubblico. Come nasce l’idea del progetto These Associations nell’ambito dello spazio di archeologia industriale delle OGR? E come verrà, di volta in volta, restituita al visitatore?
Beh, proprio perché il suo lavoro vive nella dimensione esperienziale, “live”, non vorrei, né forse potrei, svelarti cosa succederà a Torino. In parte non lo so neanche io e sono felice di farmi sorprendere. Il lavoro che citi è molto funzionale allo spazio del Binario 1 delle OGR, ma è in verità già stato presentato in altri spazi espositivi e ogni volta è stato adattato al nuovo contesto. Inoltre, quello specifico lavoro si basa su un’interazione continua e serrata con il pubblico cui è chiesto di conversare con gli interpreti. Solo loro alla fine sapranno di cosa consiste veramente il lavoro. Vieni a scoprire di persona cosa succederà, anche a te, come partecipante…

Tino Sehgal, uno scatoo durante una performance

Tino Sehgal, uno scatto durante una performance

“[…] Essere una coscienza o piuttosto essere un’esperienza significa comunicare interiormente con il mondo, con il corpo e con gli altri, essere con essi anziché accanto ad essi […]” sosteneva Merleu-Ponty nel 1945 all’interno del suo celebre saggio Fenomenologia della Percezione. Ritieni che Tino Sehgal, con la sua ricerca possa, in qualche modo interpretare questo concetto?
Bella citazione. Sì, sicuramente nel suo lavoro c’è una componente “relazionale”, che incoraggia un dialogo tra opera e utente, cioè a dire tra diversi individui.
È curioso che citi Merleau-Ponty, così importante per certa arte degli anni ’90 nella quale credo affondi l’origine del lavoro di Sehgal. La sua ricerca, però, si confronta dialetticamente con un paesaggio tecnologico, sociale e politico che è tipico della modernità digitale, ormai profondamente diversa da quella in cui viveva il filosofo francese.
Quindi sì, la sua opera comunica con gli altri, ma anche simulando o citando dei meccanismi di domanda-risposta tra individui e macchina che sono tipici della nostra realtà odierna. D’altronde lui stesso ha detto che il suo lavoro funziona come un algoritmo…

Disegno di Diego Perrone ispirato all'opera "KIss" di Tino Sehgal

Disegno di Diego Perrone ispirato all’opera “KIss” di Tino Sehgal

Sehgal, per la natura del suo lavoro, normalmente non ammette la realizzazione di video, fotografie, pubblicazioni che possano testimoniare il momento dell’atto performativo prodotto. Se ci sarà, come avete pensato il catalogo della mostra?
Sì, è vero. Agli esordi vietava addirittura che la mostra fosse fotografata. Per farti un esempio della nostra prima esperienza di lavoro insieme, nel 2004 da Massimo Minini a Brescia, non credo ci sia nulla che documenti la sua “azione”. Forse proprio perché interpretavo anche io la sua azione, non ho poi mai provato a recuperare eventuali immagini “pirata”…
Negli ultimi anni, vista la diffusione degli smartphone ormai sempre più tollerati dalle istituzioni, e la scala delle sue mostre, Sehgal accetta che una certa documentazione non professionale avvenga e sia diffusa attraverso i social network, ma certo non la incoraggia. Diciamo che, insieme ad altre e varie forme di documentazione “secondaria” (disegni, testimonianze, racconti, descrizioni scritti e orali, ecc…) queste immagini fanno parte del “rumore di fondo visivo” che il suo lavoro genera e che è, semplicemente, un’altra forma di documentazione.
Come hai sottolineato, la questione non ha a che fare solo con la produzione di documentazione visiva. Tino non desidera produrre ex-novo del materiale legato al suo nome: dai poster al comunicato stampa, dalla brochure ad una raccolta di testi sul suo lavoro.
Venendo a Torino, OGR ci dava la possibilità di produrre un catalogo. Opportunità interessante per me che amo (ancora) i libri. Mi sarebbe piaciuto pubblicare una raccolta di testi critici sulla sua ricerca, un po’ sulla scorta di quello che avevo provato a fare in occasione della mostra del 2004, dove però il suo lavoro era all’interno di un’esposizione collettiva.
Quello che verrà pubblicato è, invece, un ottavo all’interno dell’inserto Alias del quotidiano Il Manifesto. Insomma un alias di Alias, dove abbiamo raccolto interviste, testi, informazioni e immagini (autorizzate!) relative al suo lavoro da parte di Hans Ulrich Obrist, Jörg Heiser, Diego Perrone, Wolfgang Tillmans e del sottoscritto. Seppur si parli di sole otto pagine, potrebbe essere la più ampia produzione cartacea legata al suo operato. Queste pagine sostituiranno non solo il catalogo ma anche il comunicato stampa e funzioneranno come un approfondimento della sua indagine artistica sia per i lettori de Il Manifesto, sia per i visitatori delle OGR.

Disegno di Diego Perrone ispirato all'opera Kiss di Tino Sehgal

Disegno di Diego Perrone ispirato all’opera Kiss di Tino Sehgal

Come responsabile del CRRI del Castello di Rivoli, nuovo dipartimento del Museo d’Arte Contemporanea, che si rivolge alla ricerca, raccolta e valorizzazione dei materiali d’archivio di artisti, curatori, critici, galleristi e collezionisti italiani, che cosa ti affascina del lavoro di Tino Sehgal, dedicato alla nozione di effimero? Esiste nel suo lavoro una dimensione storica connessa alla contemporaneità?
Per mia natura e cultura sono forse più affascinato dall’effimero o da opere d’arte che mettono in questione il loro statuto. Ma c’è meno contraddizione di quello che sembri: per me lavorare sugli archivi è anche un modo per dare sempre nuova vita all’opera e a ciò che le sta intorno, a non metterla mai definitivamente sul piedistallo…
Venendo a Sehgal, per quanto paradossale possa apparire, è sicuramente interessante ragionare sulla questione dell’archivio rispetto al suo lavoro.
È interessante chiedersi in cosa consista o consisterà l’archivio di Sehgal. Non so se Tino conservi da qualche parte appunti sulle sue coreografie, ma sicuramente il suo lavoro vive e vivrà attraverso idee che si trasmetteranno di corpo in corpo. Come lui stesso ha sottolineato in un’intervista recente, l’idea è il materiale più resistente, più forte (almeno speriamo!) di qualunque atto di vandalismo.
Anche se, come dicevamo, c’è una crescente produzione di documentazione “secondaria” del suo lavoro, un suo archivio potrebbe consistere anche nelle testimonianze degli interpreti delle sue opere e del pubblico che vi ha assistito e partecipato. Quindi un archivio orale, della memoria, e anche una memoria che s’iscrive e si trasmette nel corpo.
D’altro canto sì, c’è una componente storica nel lavoro di Sehgal legata ad un possibile dialogo con una tradizione concettuale e di danza moderna. Forse le uniche opere direttamente legate ad una dimensione d’archivio, che mi vengono in mente, sono Goodbye 20th Century (2000), in cui Tino interpretava, nudo e da solo su un palcoscenico, una serie di movimenti e gesti estrapolati da famose coreografie di danza del Novecento, e Kiss (2003) che, seppur in modo molto indiretto, rappresenta una sintesi di alcuni baci della storia dell’arte, da Rodin a Koons.

Disegno di Diego Perrone ispirato all'opera di Tino Sehgal

Disegno di Diego Perrone ispirato all’opera di Tino Sehgal

Hai collaborato per la prima volta con Tino Sehgal nel 2004, in occasione della mostra Don’t Expect Anything, presso la Galleria Massimo Minini di Brescia. Conosci bene il suo lavoro. Qual è, tra quelle riproposte alle OGR in una grande coreografia, l’opera di Sehgal che ritieni più vicina al sentire dell’artista?
Questa è una domanda per Tino. Ma non credo che lui veda il suo lavoro in termini così, permettimi, “romantici”. E poi l’idea stessa di “opera” è per lui un concetto sempre più sfilacciato e poco centrale nella sua pratica, nella quale assumono più importanza le ampie coreografie che inglobano altre opere. Come sarà anche a Torino.

Sehgal è affascinato dai corpi in movimento, dai comportamenti e dalle voci che si alternano in una dimensione spazio-temporale. È evidente nella sua ricerca una volontà di “polverizzazione dell’oggetto”. Come definiresti, in tre parole, il suo fare arte?
Suo fare arte.

Tino Sehgal
a cura di Luca Cerizza

2 febbraio – 17 marzo 2018

OGR
Corso Castelfidardo 22, Torino

Info: info@ogrtorino.it
www.ogrtorino.it

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