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ASCOLI PICENO | PALAZZO DEI CAPITANI | FINO AL 14 GIUGNO 2024

Intervista a Niccolò Giacomazzi e Martina Macchia di Miriam Di Francesco

Dall’11 maggio al 14 giugno, il Premio Sparti si rinnova per una terza edizione che coinvolge la città di Ascoli Piceno all’insegna dell’arte contemporanea in un evento diffuso che culminerà con la proclamazione del vincitore  nella giornata del 14 giugno.
Tanti i luoghi-simbolo della città accolgono le quattro mostre legate al tema del corpo secondo diverse letture e declinazioni, tra cui Palazzo dei Capitani, sede del Premio dedicato agli artisti emergenti under 30; il Museo Civico d’Arte Moderna e Contemporanea “O. Licini” con la collettiva Sillabazione, a cura di Giuliana Benassi, con Elena Bellantoni, Tatiana Brodatch, Martin Creed, Aneta Grzeszykowska, Giuseppe Pietroniro, Calixto Ramírez, Gabriele Silli; la Frida Art Academy con Il corpo e lo spazio di Terenzio Eusebi, a cura di Zeno Rossi; il Frida Museum con la mostra Virus del vincitore del Premio Sparti 2023, Sabino de Nichilo.

Sillabazione, veduta della mostra, Galleria d’Arte Contemporanea “O. Licini”, Ascoli Piceno, a cura di Giuliana Benassi, ph Eleonora Cerri Pecorella

Tra corpi animali e corpi celesti è il titolo del Premio affidato ai giovani curatori, Niccolò Giacomazzi e Martina Macchia, chiamati a selezionare giovani artisti sul tema scelto: Dario Capello, Guglielmo D’Ugo e Luca Falessi, Ilaria De Sanctis, Greta Di Poce, Ludovica Gugliotta, Ilare, Gea Iogan, Benjamin Kamps, Mirtillo, Mozzarella Light, Ucci Ucci (Salvatore Crucitti e Gloria Zeppilli), Vittorio Zeppillo. Lungo il percorso espositivo il visitatore è costantemente pungolato; emerge forte il dialogo tra i curatori di tipo non impositivo, non lineare, pur sempre unitario e aperto al coinvolgimento del pubblico. Li ho intervistati per scoprire di più sugli artisti, comprendere il loro approccio curatoriale e la direzione della ricerca intrapresa. Il risultato è una costellazione di visioni, pluralismo e un modo di intendere la pratica curatoriale che lascia la libertà al visitatore di collegare quei punti luminosi appena accennati.

Ilare, O (Animal ou_), 2024, installazione site-specific, luce, acqua, argilla, sapone, sabbia, vetro, elementi vegetali, filo di nylon, dimensioni variabili. Foto di Eleonora Cerri Pecorella

Come nasce la vostra collaborazione con il premio in qualità di curatori? Avevate già lavorato insieme in un progetto curatoriale?
M. M. Abbiamo collaborato per la prima volta in occasione di questo progetto grazie alla lungimiranza di Giuliana Benassi che ha saputo cogliere le nostre diversità per farle interagire. A partire da approcci distinti, abbiamo trovato più punti d’incontro e la scelta di far vivere la mostra in un unico percorso organico è dipesa anche da questo.
N. G. Il primo momento di condivisione è stato durante il primo sopralluogo. Ci siamo riuniti intorno ai tavoli di Casa Frida da Zeno Rossi dove ognuno si è presentato e ha espresso delle prime, seppur embrionali, osservazioni. Credo che la linea si sia generata proprio da quell’incontro.

Da quel primo incontro in poi, quali sono stati i criteri di selezione dei giovani artisti partecipanti e quale linea visibile e invisibile li collega?
N. G. Solitamente all’interno di mostre collettive scelgo di coinvolgere artisti con cui ho avviato un percorso già da tempo (Benjamin Kamps, Mozzarella Light, Vittorio Zeppillo) insieme ad altri con cui ho iniziato da poco un dialogo (Dario Capello, Greta Di Poce, Ludovica Gugliotta). Il più delle volte questo metodo mi permette di consolidare rapporti e di scoprire nuovi campi di ricerca. Uno dei fondamenti della mia pratica risiede nel tentativo di formare un gruppo di lavoro, dove il rapporto uno a uno, artista-curatore, viene sostituito da un coinvolgimento collettivo, riflessivo ma anche concreto: ognuno diventa un ingranaggio necessario al funzionamento della macchina.
M. M. Mi sono formata e mi sto ancora formando in un contesto vivissimo dal punto di vista dell’elaborazione delle pratiche, l’Accademia di Belle Arti di Roma, dove ora sto svolgendo un dottorato di ricerca. Per questo motivo sono partita da un territorio specifico, selezionando artisti con cui ho condiviso nel tempo progettualità e visioni, come Ilaria De Sanctis, Ilare e UCCI UCCI, insieme ad alcuni giovanissimi con cui ho lavorato per la prima volta in occasione del premio: Guglielmo D’Ugo e Luca Falessi, Gea Iogan, Mirtillo.
Tra i punti di contatto c’è sicuramente il rapporto con alcune esperienze di mobilità artistica in territori specifici, come nel caso del dittico di Guglielmo D’Ugo e Luca Falessi, formalizzazione di un accadimento avvenuto durante una residenza in Ungheria, e dell’installazione site-specific di Ilare che nasce nella sua forma più concettuale a Marsiglia, sempre durante una residenza. A questo si aggiunge una sorta di esasperazione della forma corporale tesa verso l’estinzione che si ritrova nelle stampe su carta da lucido di Ilaria De Sanctis e nel doppio intervento, performativo e installativo, di UCCI UCCI. Mentre dal grande olio su tela di Gea Iogan e dall’installazione site-specific di Mirtillo, che ha lavorato all’interno di un tavolo già presente all’interno di una delle sale espositive, emerge il dialogo con una dimensione più liminale dell’animalità, intersecata a pratiche e supporti di matrice quotidiana.

Gea Iogan, Tuscania, 2024, olio su lenzuolo, 160×220 cm. Foto di Eleonora Cerri Pecorella

In questa terza edizione del Premio il corpo, da quello animale a quello celeste, è il protagonista indiscusso con un pluralismo di visioni e linguaggi. Perché per voi ha un ruolo così significativo il corpo e cosa nasconde tra le sue pieghe?
N. G. Il corpo in sé non ha una specifica rilevanza nella mia ricerca, lo reputo altresì un ottimo espediente per riflettere su certe dinamiche legate allo spazio e ad aspetti centrali del nostro presente. Infatti in questa mostra –  come scritto nel testo – il corpo non viene trattato come semplice pretesto, bensì come chiave che apre le porte a una sfera intima, sorprendente, che può svelare elementi tangibili o rimanere sospesa nell’ignoto.
M. M. A mio avviso il suo ruolo è significativo perché chiarisce i confini, ma anche gli spazi comuni, esistenti tra noi e gli altri. Ho cercato di costruire una narrazione non lineare entro cui far interagire a più livelli le opere esposte, nella ricerca di una relazione tra l’umano e il non umano, in cui è il corpo animale a prendere il sopravvento. Corpo formato da più corpi che, nella sua deriva multispecie, diventa spazio in cui risiedere per guardare verso l’altro. Ciò che nasconde è ciò che ci accomuna con le altre specie, la fragilità della vita che si sperimenta in prima istanza con il sentire corporale, da cui prendono forma attraverso le interpretazioni di ogni artista possibilità alternative di coesistenza.

“Credo sia necessario ritagliarsi uno spazio per condividere le nostre prospettive”, inizia da Martina Macchia un dialogo scritto con Niccolò Giacomazzi che sostituisce il testo critico che abitualmente accompagna la mostra. Come mai questa scelta insolita?
M. M. Fin dall’inizio abbiamo impostato la progettualità in senso dialogico, ma parallelamente il nostro è stato anche un operare singolarmente nella scelta degli artisti e nelle prospettive messe in campo. Da questo doppio sguardo è nata la volontà di mantenere una visione individuale che però viene potenziata dall’altro, con domande e riflessioni in cui si può inserire anche il lettore, all’interno di un contesto dove più voci si parlano tra loro e con l’esterno.
N. G. L’obiettivo non era quello di presentare una visione unica ma di aprire il dibattito come in un talk show. Quando si ha la possibilità e si è nel contesto giusto diventa più stimolante sperimentare una scrittura alternativa rispetto a quei testi canonici che leggono 10 persone su 100. In passato, ho avuto la fortuna di dilettarmi con fiabe, miti e sceneggiature. Magari la prossima sarà una canzone neomelodica.

Benjamin Kamps, The Cleansing, 2024, video performance, colore, suono, 15′ 48″

Sempre nel testo di sala Martina Macchia afferma come “in questa diffusione spaziale avviene la perdita del centro, di nuovo, l’instabilità periferica”. Cosa intendi per “perdita del centro” e “instabilità periferica”?
M. M. Questa riflessione nasce dallo spunto datomi da Niccolò rispetto a un’instabilità esistente tra i fenomeni celesti, che seppur lontani influenzano il nostro stare al mondo, e la nostra animalità da cui derivano impulsi profondi e irrazionali da cui l’umano non può sottrarsi. L’animalità degli animali, per cui Jacques Derrida conia il termine Animot, abita quegli interstizi che nella mostra sono stati attivati dalle opere; esiste e resiste fuori dal centro. Nella riflessione sull’abitare i margini, di cui l’animalità si riappropria, il mio primo riferimento è il valore culturale e creativo del margine negli scritti di bell hooks, citata alla fine del passaggio che hai evocato. Proprio dalla perdita del centro – quindi delle coordinate, dei punti di riferimento, del centro più umano – deriva quell’instabilità che definisco periferica in quanto superamento del paradigma antropocentrico che vede l’umano come misura di tutte le cose. La mostra è anche il tentativo di andare oltre questa scissione binaria.

Dalle premesse teoriche con cui vi siete approcciati alla costruzione del percorso espositivo, ci sono stati dei risultati inaspettati da parte degli artisti o della relazione tra le opere?
N. G. La mostra ha inaugurato con la performance di Greta Di Poce che, oltre a toccare le corde più sensibili degli spettatori, ha fatto vibrare le pareti del cortile interno del Palazzo dei Capitani con la voce e l’energia di gruppo eterogeneo di donne ascolane. L’erotismo e la libertà hanno tagliato il nastro inaugurale nel migliore dei modi. Credo che tutte le opere in mostra hanno tirato fuori quella capacità di alterare gli ambienti con una presenza tanto coraggiosa e vitale quanto esile e delicata. Le prime sale del Palazzo ci mostrano gli aspetti più terreni, animali e carnali, tra i quali menziono la video-performance di Benjamin Kamps che tramite un’azione ripetuta dallo stesso artista ha ritualizzato l’interazione tra acqua e terra, unendole in un’unica materia, e le sculture di Ludovica Gugliotta che riescono a muoversi tra drammaticità e ironia. Quando ci si sposta nelle sale al piano superiore, il buio pervade e le installazioni illuminano come costellazioni lo spazio: Vittorio Zeppillo e Dario Capello ci fanno perdere i punti di riferimento e la stabilità. Si percepisce come il nostro modo di vivere sia alterato da diversi fattori, che siano interni o esterni al nostro corpo. Infine, la mostra si conclude con l’installazione immersiva di Mozzarella Light: ci troviamo dinanzi all’orizzonte degli eventi, la superficie limite oltre la quale nessun evento può influenzare un osservatore esterno. Al di là di esso, infatti, neanche la luce è in grado di sfuggire.

Greta Di Poce, Mio corpo, Avido sole, 2024, Workshop sul tema dell’erotico e il canto, Performance 20’

M. M. I dialoghi più inaspettati sono stati sicuramente quelli nati tra alcuni artisti scelti da Niccolò e altri selezionati da me, come l’utilizzo dell’acqua e della luce nelle installazioni di Ilare e Mozzarella Light o la linea di congiunzione tra sonno e mortalità che unisce i lavori di Ludovica Gugliotta e Gea Iogan. Più in generale, le relazioni durante il percorso nascono e si disfano di continuo, e a collegare le opere ci sono diverse necessità e urgenze. Tra le formalizzazioni più coraggiose vorrei citare Mirtillo, artista più giovane in mostra. Dopo l’esperienza a RAMO 8.0, residenza organizzata da Angelo Bucciacchio e Giuseppe Pietroniro e curata da Giuliana Benassi, che è stata anche l’occasione della nostra conoscenza, ha sviluppato una serie di pratiche legate alla raccolta di materiali organici e corporei in rapporto con una spazialità sospesa. In questo senso il premio è stato il primo vero momento di germinazione per delle intuizioni che, come quelle degli altri artisti coinvolti, sono in evoluzione.

Mozzarella Light, Mare di lacrime. Foto Eleonora Cerri Pecorella

PREMIO SPARTI – III edizione

11 maggio – 14 giugno 2024

Ascoli Piceno

TRA CORPI ANIMALI E CORPI CELESTI

Dario Capello, Guglielmo D’Ugo e Luca Falessi, Ilaria De Sanctis, Greta Di Poce, Ludovica Gugliotta, Ilare, Gea Iogan, Benjamin Kamps, Mirtillo, Mozzarella Light, Ucci Ucci (Salvatore Crucitti e Gloria Zeppilli), Vittorio Zeppillo.
a cura di Niccolò Giacomazzi e Martina Macchia
Palazzo dei Capitani

SILLABAZIONE

Elena Bellantoni, Tatiana Brodatch, Martin Creed, Aneta Grzeszykowska, Giuseppe Pietroniro, Calixto Ramírez, Gabriele Silli
a cura di Giuliana Benassi
Museo Civico d’Arte Moderna e Contemporanea “O. Licini”

IL CORPO E LO SPAZIO
Terenzio Eusebi
a cura di Zeno Rossi
Frida Art Academy

VIRUS
Sabino de Nichilo
Vincitore Premio Sparti 2023
Frida Museum

Orari mostre
Museo Civico di Arte Moderna e Contemporanea “O. Licini”
giovedì 15-19 | venerdì, sabato, domenica, festivi e prefestivi 10-13; 15-19 | martedì e mercoledì su
prenotazione allo 0736 298213 | lunedì chiuso

Palazzo dei Capitani | Frida Academy | Frida Museum
tutti i giorni, 10-13 / 17-20
Frida Art Academy | +39 0736 298960

Info: info@premiosparti.it
+39 0736 298960
https://premiosparti.it/

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