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NIZZA | MAMAC | 20 settembre 2014 – 18 gennaio 2015 #italianiallestero

Intervista a PAOLA RISOLI di Francesca Di Giorgio

Il MAMAC conferma un’apertura all’arte italiana con acquisizioni importanti. Il fondo permanente accoglie una selezione di artisti dall’Arte Povera fino ai contemporanei. Paola Risoli è tra questi. La sua collaborazione con il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Nizza è iniziata nel 2013, con la partecipazione alla collettiva Bonjour Monsieur Matisse! dedicata al Maestro francese, in cui l’artista, che in Italia è rappresentata da Gagliardi Art System di Torino, ha avuto grande spazio nell’ambito di una mostra con nomi come Andy Warhol, Basquiat, Roy Lichtenstein, Tom Wesselman, Niki de Saint Phalle, Claude Viallat… In quell’occasione aveva realizzato InMatisse, un lavoro progettato in collaborazione con il direttore del museo, Gilbert Perlein, un’installazione formata da bidoni, grandi fotografie e proiezioni a parete da webcam.
Paola Risoli è tornata al MAMAC con una mostra personale, SITEMOTION, in corso fino al prossimo 18 gennaio. Ci siamo fatti raccontare dall’artista la natura profonda, intima e complessa di questo nuovo progetto…

 Paola Risoli, SITEMOTION, 2014, veduta d'installazione, MAMAC, Nice, Courtesy Gagliardi Art System, Torino

Gli spazi del MAMAC come un set cinematografico?
Con SITEMOTION ho voluto trasformare la galerie contemporaine del MAMAC in un cantiere (site) delle emozioni, del movimento (il cinema è sempre un sitemotion). 15 barili e 13 fotografie sono immersi nella penombra e illuminati da spot, per riprodurre all’interno dello spazio museale parte di quello che viene creato nei singoli barili: ombre e luci nette, effetti di riflessione, lame di luce, immagini in movimento. Ho concepito l’allestimento come un’opera in sé, contenente al suo interno altre opere.
Il cuore del lavoro è costituito dai volti catturati al cinema, che animano con il loro sguardo gli interni vissuti, costruiti in scala ridotta dentro ciascun barile (contenente un tempo gasolio, petrolio o lubrificante…). Sono i volti dei personaggi di film di Godard, Resnais, Almodovar, Wenders, Neshat, i cui occhi assurgono a paradigma di punti interrogativi sul mondo, sul reale.
Ciascun bidone è costruito, nelle tre dimensioni, con luci e materiali poveri, a partire da un’immagine mentale, e all’immagine torno con la realizzazione delle foto, di grandi dimensioni, che da esso ricavo, come fosse un set cinematografico. Ogni interno ha anche qualcosa dello scrigno, le aperture sui fianchi sono ridotte, così che per vedere bene e interamente l’interno il visitatore è costretto ad accostarvi il proprio volto, quasi entrarvi. La dimensione intima però mi è stretta, e la scavalco ponendo all’interno dei fusti delle webcam, che ne catturano l’immagine da nuovi punti di vista, per poi espanderla e proiettarla in grande, trasformata, espansa e quasi trasfigurata dall’occhio tecnologico della piccola telecamera.

THEIR LOVE detail their lovePiani visivi e sensoriali, spaziali e temporali si accostano e, a volte, si sovrappongono creando un effetto per certi versi sinestetico…
Sì, mi piace molto questo coinvolgimento su più piani, che permette una maggiore presa sulla dimensione emotiva, e che è tipico del cinema, arte per me di massimo riferimento. Nella mostra ho inserito una clip sonora di pochi minuti, con alcuni brevi frammenti delle musiche e dei parlati dei quattro film cuore del progetto, pensata per essere ascoltata mentre sul muro si proiettano le immagini catturate in tempo reale dalle webcam poste nei bidoni. Il movimento e la vibrazione dell’immagine video poi portano nella dimensione temporale. Avvicinandosi molto ai bidoni, soprattutto in alcuni, si sente ancora odore di petrolio, oli bruciati… Persistono in contemporanea la presenza fisica forte della materia grezza e la sua trasformazione alchemica, quasi la sua rarefazione, attraverso la tecnologia digitale, sia quella della piccola telecamera che quella dell’apparecchio fotografico.

La scelta di mettere al centro la rappresentazione filmica della figura femminile come si può ricollegare all’approccio molto fisico che traspare dal tuo lavoro?
Penso che il collegamento possa essere tra sensorialità e sensualità, anime della fisicità. Il mio è un lavoro in parte sanguigno, sia nei modi che nei contenuti. L’immersione nella materia, il lavorarla da vicino, nelle sue parti più piccole e grezze, da una parte, e dall’altra la scelta di arrivare ai primi piani dei volti e di indagarli ulteriormente nel dettaglio attraverso le webcam e l’obiettivo fotografico, rispondono ad un imperativo istintivo, che mi dice di andare sempre più dentro, in tutti i sensi…

Cosa credi di aver assorbito e trasformato di più dai grandi registi e coreografi che citi in SITEMOTION ?
Pina Bausch, conosciuta meglio attraverso il meraviglioso film di Wim Wenders Pina, è per me un faro nel suo raccontare forza e fragilità dell’essere umano, nel compiere uno scavo senza sconti dentro la ricchezza, la sofferenza, la bellezza e la violenza dell’essere uomini e donne. Col bidone dedicato alla coreagrafa e al regista, TO PINA&WIM, ho voluto esprimere il darsi dell’arte, la voragine su certi abissi che talvolta questo dono comporta… Da Shirin Neshat, sia come fotografa che come regista di Donne senza uomini, ricevo il prezioso esempio di sintesi e nettezza lapidaria in un certo modo di raccontare, il che vale anche per quel grande maestro che è l’Alain Resnais di Hiroshima mon amour. Dei grandi registi di riferimento, per il progetto, assorbo e cerco il raccontare attraverso l’inquadratura, nel caso di Almodovar anche attraverso il colore. In Tutto su mia madre mi pare abbia usato il colore come balsamo al dolore, non so neanche se questa sia stata una scelta conscia, o una di quelle svolte perfette che nell’arte si prendono quando si entra in un certo stato di grazia…

Paola Risoli, Sa vie (frame 3), 2012, stampa lambda su Dibond, 144x95,5 cm, Courtesy Gagliardi Art System, Torino

Nel testo di Gilbert Perlein e Laura Pippi-Détrey, in catalogo, tu stessa vieni paragonata ad una regista di un mondo microscopico ma che non tralascia mai una visione storica ben più ampia. È a questo punto che il tema della memoria si fa più evidente?
Il termine mondo microscopico mi «disordina» un po’, per dirla alla Jovanotti, mentre regista di un microcosmo – espressione usata dagli autori due righe più sotto – quasi mi lusinga: nel mio lavoro c’è senz’altro una regia e la creazione di un mondo. La dimensione storica nel riferimento a certi film è certo presente, ma in una accezione più di Storia umana, i frammenti storici ben precisi abitano in un secondo piano, e sono paradigmi della vicenda umana universale.

La complessità emotiva del tuo lavoro va di pari passo alla ricerca costante dei materiali da cui partire e con un equilibrio tra toni lievi e gravi…
Un mio lavoro nasce talvolta da un’immagine mentale che s’impone, appare fulminea e conclusa, può essere il volto di un certo personaggio, inserito in un determinato spazio, una certa lama di luce su un ambiente, la suggestione di un certo oggetto… In tal caso la sua realizzazione può essere anche molto lunga ma la traccia è chiara. Mi basta rimanere fedele alla visione… Altre volte tutto parte da una sensazione mista, da un groviglio che va dipanato, in tal caso devo trovare in esso il filo rosso da seguire per trovare la via, l’uscita. In ogni caso ogni mio lavoro nasce da un trasformare per arrivare ad un trasformare. Come primo atto nella scultura trasformo la materia, uso materiali di scarto (a partire dai bidoni) dandogli nuova vita: tutto è costruito quasi dal niente. Secondo atto: trasformo il contenuto della scultura inquadrandola con l’obiettivo fotografico, arrivando ad un’immagine che della materia grezza di partenza non ha più niente, tanto che ciò che è assolutamente finto, può sembrare vero. Terzo atto: trasformo, attraverso la ripresa della webcam, che crea un’immagine altra, oltretutto in movimento, a partire da un oggetto assolutamente fisso quale è una scultura. Quarto atto, che mi auguro si attui: punto ad una trasformazione interna in chi vede il lavoro, questo come ogni artista.

.Paola Risoli, SITEMOTION, 2014, veduta d'installazione, MAMAC, Nice, Courtesy Gagliardi Art System, Torino

A cosa stai lavorando ora?
Al momento sto lavorando alla gestazione di un progetto a lunga scadenza, che coinvolgerà più forme d’arte, la dimensione temporale, sonora, e anche la scrittura… Un progetto che passa attraverso il coinvolgimento di molti soggetti. Mi do il tempo della sua gestazione. Voglio che esso stesso sia trasformazione nel suo farsi, e non sia schiacciato sul risultato finale dell’opera che da esso nascerà. Come artista ho la fortuna di lavorare con molte persone diverse, all’interno di laboratori di varia natura. La prossima realizzazione è una cosa che voglio fare insieme ad altri, soprattutto altre donne.

Paola Risoli. SITEMOTION
a cura di Gilbert Perlein con la collaborazione di Olivier Bergesi e Laura Pippi-Détrey

MAMAC – Museo d’Arte Moderna e Contemporanea
(Galleria Contemporanea del Museo)
Place Yves Klein, Nizza (Francia)

20 settembre 2014 – 18 gennaio 2015

Info: +33 (0)4 97 13 42 01
mamac@ville-nice.fr
www.mamac-nice.org


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