MILANO | Galleria Fumagalli | 17 gennaio – 18 aprile 2020
Intervista a STEFANO SCHEDA di Matteo Galbiati
La nudità non è mai stata estranea all’opera d’arte, anzi, nell’antichità era proprio il canone estetico di una bellezza assoluta e senza tempo, modello di valore anche per le virtù morali. Nei secoli, fino ad arrivare alle esperienze e ricerche contemporanee, la presenza del nudo ha assolto sempre a questa esigenza di racconto dell’eroicità sfaccettata dell’universo delle vicende umane, rimandando solo all’occhio di chi guarda, e alla sua coscienza, il grado di diversa comprensione che tocca estasi artistico-intellettuale, mito, trascendenza, erotismo, pruderie e curiosità voyeuristiche. Stefano Scheda (1957), per la sua prima personale alla Galleria Fumagalli di Milano, ha voluto concentrarsi proprio sul tema del nudo nella contemporaneità, tra esigenze artistiche e diffusione dei social network. Lo abbiamo intervistato per approfondire con lui gli elementi chiave di questo importante progetto:
Iniziamo subito da una domanda retorica: come mai hai voluto affrontare proprio il nudo?
Il mio lavoro è stato spesso caratterizzato dall’uso del nudo, come anche in questa mostra, utilizzato non in chiave erotica e voyeuristica, né tantomeno estetica. Eppure, nonostante esso contenga elementi “altri”, a volte l’osservatore può fermarsi a una lettura più superficiale del modello rappresentato. Anche se il nudo oggi sembra non scandalizzare più, conserva comunque sempre nel tempo la sua prerogativa che lo contraddistingue, mantenendo attiva in noi spettatori quella funzione impattante di suscitare attenzione e mettere in evidenza, per contrasto, parti di mondo che sarebbero altrimenti insignificanti. Il nudo resta sempre anche un elemento spiazzante, conserva qualcosa di irritante, forse perché rimanda al sé, ma è anche sempre un classico, non segue la moda del vestire, come la cravatta Regimental.
Il titolo Nudo, mani in alto! Naked, hands up! è quindi una manifestazione d’intenti…
In realtà è un titolo aperto, ma vuole anche essere una richiesta d’attenzione, richiamando a una sorta di agguato rispetto al rapporto fra gli spettatori e il nudo. Ci sono comunque delle “mani in alto”: in Same Same But Different i due ragazzi sulla riva del mare, uno bianco e uno nero, posti uno di fronte all’altro, alzano la mano; in Figura 1 l’uomo, sospeso nel vuoto alza la mani. Nelle altre opere, l’installazione Terramare e il video Meteo 2004, si sente il richiamo dell’imperativo Mani in alto, è presente l’agguato, e sottesa (forse ancor più) la paura su cui, come ci insegna Bauman, la nostra società è fondata. C’è anche però un forte richiamo, una messa in guardia rispetto alla censura che paradossalmente, in questi tempi, riporta l’uso e la visione del nudo nell’opera d’arte a un’epoca ancor più rigida di quella della controriforma, tutto ciò nonostante l’attuale abuso del nudo in molte altre forme, anche pornografiche. Anche queste stesse mie opere esposte in mostra sono state censurate da tutti i social, per via di un “pisello moscio”, tutto ciò apparentemente per una regola matematica utilizzata dai social che svuota il plusvalore concettuale dell’opera. Infine, la nudità svela, rende tutto palese. Il rapporto fra nudo e vestito è sempre stato una mia ossessione, la nudità in sé stessa non esiste, è il vestito che fa apparire nudi. Ognuno poi è libero di trovare una sua risposta, queste “figure” sono in qualche modo evocative e iconiche e anche per questo la mostra nel suo complesso non offre certezze, insinua piuttosto dei dubbi.
Nella tua ricerca resta sempre centrale il corpo come soggetto interagente con le realtà che lo circondano: ambiente, architettura, … Quali sono le esplorazioni che hai attuato nel tempo su questo tema-soggetto?
Tutte le mie opere, pur avendo come media la fotografia e il video, nascono comunque sempre da una messa in scena o da una performance (a volte istituzionale, a volte occasionale per chi si trova in sito o solo per l’artista) comunque sempre “Fuoridentro il Corpo”: il corpo che abito e i suoi sconfinamenti, dal mio corpo al corpo degli altri, il corpo non riconoscibile, il corpo svelato, il corpo riflesso-presente/assente, il corpo contaminato/ibridato, il corpo impossibile, il corpo traslato nell’animale e altro ancora. Dalla mia prima ricerca artistica incentrata sul rapporto corpo/architettura sono passato in seguito a indagare maggiormente le questioni di carattere sociale: l’immigrazione, il razzismo (Di-visione, 2007/2010), la paura e le minacce (Meteo 2004), l’identità nazionale e la condizione femminile (Le sfoglie di Garibaldi, 2011) e il trasversale gender (Roll n’Roll, 2009). Anche la serie Fuoridentro, per il tramite del motivo ricorrente dello specchio, include lo spettatore e il corpo riflesso, come parte in causa del gioco provocatorio e irritante di questa produzione a interrogazione della soglia come apertura-chiusura bifronte e contemporanea dello sguardo. Anche nella performance relazionale T(r)ATTO, il corpo era protagonista, al buio, riprendendo idealmente la performance Looking for the body of the Artist, da me realizzata alla Galleria Martina Detterer di Francoforte (l’artista nudo, dentro una stanza al buio, diveniva, per il visitatore/esploratore, invisibile ma toccabile).
Come hai curato questa esposizione? Quali opere hai privilegiato e che tipo di allestimento/intervento (penso, ad esempio, alla scelta dell’uso della penombra) hai voluto? Che visione dai, in questo modo, del corpo e della corporeità?
Lo spazio della galleria fin da subito mi è apparso suggestivo e ancor più quando la gallerista mi ha raccontato che, prima di essere luogo per l’arte, era una casa abitata da giovani studenti. Per un artista il luogo del delitto è già un primo input di coinvolgimento esistenziale per collocare il proprio lavoro in maniera dialettica fra le sue strutture costitutive. La mostra è stata concepita velocemente e pensata per essere un ambiente semi buio dove dalla penombra alcuni bagliori di luce facessero emergere, come per nascita naturale due foto, una di fronte all’altra, un video a loop e una scultura a terra. In mostra ci sono lavori storici che dialogano con altri più recenti, in un filo comune, in una sorta di rappresentazione sempre doppia com’è la vita, creando un profondo senso di ambiguità e spaesamento, con anche una connotazione sociopolitica: la video installazione Meteo 2004, già presentata allo ZKM di Karlsruhe, mostra corpi nudi di uomini e donne nella luce pulsante, accecando lo spettatore, creando un effetto irritante e psichedelico, amplificato dalla colonna sonora che rende ancor più evidente il senso di spaesamento, tra bollettino di guerra e meteorologia. L’opera Same Same But Different rappresenta due uomini nudi, uno bianco e uno nero che si fronteggiano, come due dioscuri con una mano alzata, restano sulla soglia e non si comprende se i loro gesti siano gesti di pace, una sorta di riconoscimento, oppure una sfida. L’uomo nell’opera Figura 1 è ambiguo nella sua sospensione tra cielo e terra, caduta e ascesa, con le sue grandi mani che sembrano cercare un appiglio. L’installazione Terramare è un oggetto destrutturato nei suoi due elementi costitutivi, copertone/gommone. La camera d’aria messa in orizzontale come un gommone, trasporto via mare, il copertone in verticale mezzo di trasporto sulla terra. Il senso è quello di una scultura naufragio ancorata sul bagnasciuga, il gommone ha raggiunto la meta ma il copertone deve ancora iniziare il suo viaggio via terra. La mostra non vuole essere mera contemplazione, ma lo spunto per una auto riflessione, da parte del visitatore.
La mostra si avvale dei contributi della critica e storica dell’arte Angela Madesani, del filosofo e psicoanalista Matteo Bonazzi, della gallerista Annamaria Maggi: come hai interagito con loro e le loro diverse visioni del tema? Che chiavi di lettura si hanno? Quali analisi determinano?
Con Angela Madesani ho un rapporto di stima e fiducia, da tanti anni ormai è una delle mie figure di riferimento sia dal punto di vista artistico che umano, che poi le due cose sono integrate. Angela ha anche compensato in qualche modo il vuoto che mi ha creato la “perdita” di Peter Weiermair che era per me un riferimento essenziale di supporto, capace di cogliere sempre in anticipo quello che stavo progettando, appoggiandolo e promuovendolo in una maniera incondizionata: grande assente col suo ruolo carismatico di personalità e cultura internazionale. Matteo Bonazzi è stato, invece, una piacevole scoperta grazie alla gallerista Annamaria Maggi che lo ha coinvolto in occasione di questa mostra e in particolare sulla performance Inerte/Inerme. Ha ideato un questionario distribuito durante la performance a cui ha fatto seguito un approfondimento teorico. Ci siamo interfacciati per una lettura sinergica, ma soprattutto in chiave psicanalitica sul tema del nudo. Mi ha fatto molto piacere che Annamaria abbia voluto darmi questa possibilità mettendo in luce anche l’aspetto psicanalitico non secondario nel mio lavoro. È la mia prima personale alla Galleria Fumagalli e la considero un’esperienza estremamente positiva e arricchente, nonostante, purtroppo, il momento non favorevole determinato dal Coronavirus, in particolare grazie alla sensibilità raffinata e attenta della Gallerista che mi ha accompagnato con intelligenza supportandomi e sopportandomi. Ovviamente conoscevo già la Galleria Fumagalli per il bel lavoro che ha svolto nel tempo ma è stato soltanto in occasione della mostra alla Fondazione Ghisla di Locarno, alla quale partecipavo con una mia opera, che ho conosciuto Annamaria co-curatrice dell’esposizione assieme ad Angela Madesani, e suo marito. Così è nata la possibilità di questa collaborazione.
Hai previsto momenti due momenti performativi: come li hai pensati? Cosa prevedono?
Ho già detto quale importanza rivesta la performance nel mio lavoro. Anche per questa mostra, assieme alla gallerista, ne avevamo previsto due, inedite: Inerte/Inerme, che si è svolta con successo e grande partecipazione di pubblico il 16 gennaio durante l’inaugurazione e Scuola Libera del Nudo programmata, invece, per il 14 marzo e che, a causa dell’emergenza Coronavirus, non si è potuta realizzare. L’azione Inerte/Inerme ha visto alcuni performer spogliarsi e lasciarsi cadere nudi sul pavimento della galleria suscitando nel pubblico stupore e meraviglia. Questo gesto inatteso ha provocato e stimolato in alcuni visitatori il desiderio di sdraiarsi anch’essi a terra nudi. Un’interruzione delle funzioni produttive, uno stacco, un abbandono indisciplinato rispetto alla regola dello stare in società come si deve, specie durante un vernissage. Si può vedere in questo blackout il prevalere di una fragilità che non ha più difese, come accade in maniera molto più drammatica alle persone più fragili, e si è potuto immaginare il pavimento della galleria come quello di una nave. Scuola Libera del Nudo, inedita al pubblico, è stata realizzata in precedenza, come prova generale, esclusivamente nell’aula di Anatomia Artistica dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, assieme agli studenti del mio corso “Strategia dell’Invenzione”, coinvolti anche nel festival da me fondato e diretto, Marradi Campana Infesta. Con questa seconda performance continuava la mia riflessione sul tema della censura. Voleva essere la trasposizione in Galleria Fumagalli di una scuola del nudo, ponendo però, al centro, una modella interamente coperta da un tessuto nero, che lasciasse scoperti soltanto gli occhi, con attorno un gruppo di persone nude, anche spontanei visitatori partecipanti, che la ritraggono. È un’operazione decisamente provocatoria, in cui si invertono i ruoli.
Alla fine cosa vuoi che resti al pubblico? Quale messaggio, suggestione, riflessione, … pensi possa dedurre e recepire?
Come è emerso da questa nostra conversazione, la mostra è un’opera aperta che lascia quindi al pubblico la sua personale interpretazione, anche al di là delle mie tracce di lettura. Mi piacerebbe contaminare il pubblico con le mie ossessioni ma ancor più mi sarebbe piaciuto che il pubblico contaminasse me con le sue. Questo è accaduto solo parzialmente, causa l’ordinanza di chiusura per emergenza sanitaria, e quindi per la prima volta mi trovo con una mostra e delle opere sul corpo che sono fruibili solo virtualmente: una mostra sul corpo è diventata senza corpo. Unico visitatore protagonista è il virus invisibile. Per questo ho deciso di provare una nuova modalità performativa creando delle pillole con la mia sola voce al buio che riflette fra la galleria e la mia officina notturna. Queste pillole Schediane sono pubblicate via via suoi profili Instagram e Facebook della Galleria Fumagalli. Vorrei che il pubblico o anche chi si imbatte casualmente in queste mie brevi riflessioni mi raggiungesse in questo spazio di sola parola.
Stefano Scheda. Nudo, mani in alto! Naked, hands up!
a cura di Angela Madesani
catalogo con testi di Angela Madesani (storica dell’arte e curatrice), Matteo Bonazzi (filosofo e psicoanalista), Annamaria Maggi (gallerista)
Link al video in cui l’artista si racconta su Instagram
Fino al 3 aprile è disponibile per il pubblico lo streaming della performance tenutasi in occasione dell’opening, facendo richiesta alla galleria di link e password di accesso
17 gennaio – 18 aprile 2020
Galleria Fumagalli
Via Bonaventura Cavalieri 6, Milano
In ottemperanza ai decreti limitativi imposti dal governo italiano, la Galleria Fumagalli è temporaneamente chiusa al pubblico. L’attività continua, per qualsiasi informazione e richiesta contattare: galleriafumagalli.com
Info: +39 02 36799285
info@galleriafumagalli.com
www.galleriafumagalli.com