SARDEGNA | Montecristo Project
Intervista ad ENRICO PIRAS e ALESSANDRO SAU di Tommaso Evangelista
Montecristo Project è uno spazio espositivo in un’isola deserta al largo delle coste della Sardegna. Questo luogo nasce come evoluzione di Occhio Riflesso, progetto di Enrico Piras ed Alessandro Sau, iniziato nel 2013. Lo spazio è stato appositamente progettato per ospitare le opere di Salvatore Moro (1933-2007), il primo artista presentato sull’isola. Il progetto prende il nome dall’omonimo romanzo di Dumas: dell’isola rimane infatti segreta l’ubicazione, ed in essa vengono custodite di volta in volta le opere degli artisti invitati. L’isola e le mostre sono visitabili in precisi periodi dell’anno, su invito, e con la stessa imbarcazione utilizzata dagli ideatori per la realizzazione del progetto. Abbiamo fatto alcune domande agli ideatori e curatori.
Colpisce della vostra idea curatoriale il lavoro sul contesto, un vero e proprio prendersi cura del luogo e rileggerlo con chiavi di lettura nuove, dinamiche, relazionali, antropologiche. Come è nato il progetto?
Montecristo Project nasce da Occhio Riflesso, progetto iniziato nel 2013 nel quale erano le nostre opere a venire esposte in contesti paesaggistici particolari, secondo un legame diretto con lo spazio che veniva scelto per ospitare l’opera. In questa nuova fase del progetto il nostro lavoro assume un ruolo differente, un tentativo di ridefinire la pratica curatoriale. La scelta dello spazio è caduta necessariamente su una dimensione che avesse un’autonomia e una distanza di carattere sia storico che geografico. La stessa esistenza del luogo infatti è legata alla presenza delle opere degli artisti che vi vengono presentati e che dopo la fase di documentazione rimangono custoditi dall’isola. Nel nostro progetto sono le opere che permettono al luogo di esistere, mentre solitamente nel contesto del sistema dell’arte accade il contrario: sono le pareti fisiche (e non) della galleria o del museo a legittimare l’opera e a permetterne l’esistenza in quanto arte.
Un’isola comunica, un pezzo di terra piccolo e disabitato probabilmente ha smarrito o fermato la sua narrazione: il ruolo dell’artista allora è quello di uno scavo nel contesto alla ricerca delle radici. In fin dei conti il vostro è il tentativo di far ripartire la storia di un luogo e ciò è fortemente stimolante.
Le isole hanno sempre qualcosa di particolare: la nostra può essere definita, così come ha fatto Paolo Chiasera, come una Psicoistituzione (Psychoinstitution): esiste, ma siamo noi a definirne la storia, a raccontarla, mapparla in termini narrativi e fotografici. In questo senso è un luogo la cui esistenza può essere costruita così come gli spazi che qui ospitano le opere. Le radici del fare artistico così sono riportate su un contesto che viene esso stesso costruito e narrato in funzione delle opere e della loro esposizione. Il carattere narrativo, magico e immaginifico del progetto è un elemento fondamentale e il nostro lavoro artistico consiste anche in questa narrazione dell’isola, nella sua definizione e idealizzazione in funzione degli artisti che ospita. Gli elementi che compongono il progetto, l’isola stessa, la barca, la torre che ospita gli spazi costruiti per le varie mostre, sono ispirati dall’opera di autori, artisti e filosofi che ispirano la nostra ricerca.
“Non nasce teatro laddove la vita è piena, dove si è soddisfatti, il teatro nasce dove ci sono delle ferite, dove ci sono dei vuoti” scriveva Jacques Copeau. Il vostro anche è il tentativo di curare delle ferite e mettere in atto un piccolo teatro del mondo forse perché oggi più che mai il mondo ha bisogno di tornare ad ascoltare qualcosa di minimo, di delicato, ha bisogno di dettagli. Vedo il vostro progetto proprio come una ricerca lirica dei dettagli o sbaglio?
Negli ultimi tre anni ci siamo posti in maniera totalmente diversa nei confronti del lavoro artistico rispetto alle nostre esperienze precedenti: non ci mettiamo scadenze che non siano legate alle esigenze stesse dei lavori, abbiamo uno spazio nostro, delle idee e la possibilità di metterle in atto come e quando vogliamo, portando avanti anche un’attività di teorizzazione delle nostre idee. Credo che più che di ferite da curare si possa parlare di creare un modo di lavorare e di vivere l’arte molto personale e libero che vive solo della nostra voglia di fare per il gusto di fare, senza finanziamenti esterni e senza lavori su commissione. Per questo ha senso costruire questo teatro, per dare corpo e immagine a idee ed elementi che vogliamo fortemente realizzare.
L’invito ad artisti outsider rientra in quest’idea stratificata e complessa di narrazione, di ricerca e scavo, come anche la segretezza dell’isola. Come nascono queste due scelte?
Per il progetto ci siamo serviti di un riferimento al Conte di Montecristo e all’isola che custodisce il suo tesoro in segreto, per poter avere un parallelo rispetto alla nostra idea e necessità di segretezza delle opere, che a loro volta vengono custodite sulla nostra isola. Il nostro interesse non è rivolto agli outsider in senso stretto, in realtà i prossimi artisti che presenteremo non hanno questa connotazione, ma sono artisti che portano avanti ricerche autonome e indipendenti, per noi di grande qualità. Ci proponiamo di collaborare con loro alla creazione di nuove mostre: lavorare per loro e con loro come artisti, costruendo insieme dei percorsi e delle modalità di presentazione delle opere che vadano a definire in maniera diversa il lavoro curatoriale e quello artistico.
L’ultima domanda volevo farla sui progetti e sviluppi futuri, su nuovi artisti invitati e la presenza o meno di nuovi curatori. Anche sulla modalità della fruizione sia in loco (l’arrivo stesso sull’isola da parte del visitatore è legato alla segretezza) sia in altri contesti istituzionali.
Montecristo Project prevede, anche per la complessità della realizzazione e ideazione di ogni mostra, una programmazione di due mostre annuali sull’isola, a cui si aggiungono tutte le attività che svolgiamo come artisti, scrittori e curatori (seppur questa definizione ci sta molto stretta) in contesti anche esterni all’isola. La prossima mostra, prevista per luglio, sarà dedicata a Tonino Casula, straordinario artista con cui abbiamo già avuto l’onore di collaborare con Occhio Riflesso. Tra gli artisti con cui iniziamo a intessere un rapporto che sfocerà in dei progetti di esposizione abbiamo Lorenzo Oggiano, straordinario artista residente in Sardegna, Francesco Balsamo, artista visivo e poeta siciliano e Lorenza Boisi, artista, intellettuale e “attivista” dell’arte con una miriade di iniziative che portano avanti un tipo di visione che sentiamo molto affine alla nostra. Tutto il progetto è creato da artisti per altri artisti, i curatori coinvolti lo sono nelle vesti di scrittori/scrittrici, per un apporto intellettuale al progetto, non come mediatori culturali e mai nella realizzazione fisica di mostre e allestimenti. Anche nel contesto di iniziative esterne cerchiamo sempre di essere curati o presentati da altri artisti, come nel caso di Karlos Gil nella mostra Projective Ornament, in cui Montecristo Project è presentato insieme ad altri progetti.
In fondo è bello sapere che vi è un luogo nascosto, nel Mediterraneo, dove, lontani dalle logiche alienanti dell’arte contemporanea, si pratica un’azione poetica di produzione e preservazione del senso. Ideare sistemi “globali” è un segno di povertà; le isole piccole hanno clima unito, i grandi continenti ne hanno parecchi e per questo muoiono nel frastuono e nel caos.
Montecristo Project
Info: montecristoproject.tumblr.com
enricopiras.tumblr.com
www.alessandrosau.it