PARIGI | MONNAIE DE PARIS | 21 ottobre 2016 – 8 gennaio 2017
di STEFANO BIANCHI
L’avevamo lasciato nel 2011 al Guggenheim di New York, alle prese con la sua retrospettiva definitiva sin dal titolo: All. Tutto. Ossia un affollato albero della cuccagna montato a precipizio nel mezzo della rotonda del museo con 128 opere fra sculture, installazioni, dipinti, fotografie, disegni. E per Maurizio Cattelan era definitivo anche l’addio all’arte militante: «Mi chiedo se abbia un senso realizzare nuovi lavori. Il rischio è ripetermi. A questo punto del mio percorso, devo prendere una posizione chiara rispetto al mercato e a ciò che ho fatto finora. Il solo modo di farlo è smettere di lavorare. Fare altro». Divertirsi, cioè, col fotografo Pierpaolo Ferrari a impaginare la rivista di humour & horror Toiletpaper e a commercializzare l’annesso “merchandising”.
Senonchè lo scorso giugno, a Manifesta 11, Cattelan ha fatto “camminare sulle acque” del lago di Zurigo la campionessa paralimpica Edith Wolf-Hunkeler, seduta sulla sua sedia a rotelle; e a settembre è tornato al Solomon R. Guggenheim Museum con America, il gabinetto d’oro a 18 carati da ammirare ma soprattutto sfruttare come tutti i wc. Due indizi che fanno la prova di Not Afraid Of Love, il «post-requiem show» (è lui stesso a definirlo così aggiungendo: «Come in un racconto di Edgar Allan Poe, mi sembra di essere morto ma posso ancora vedere e ascoltare tutto, intorno a me») teatralizzato da questo “duchampiano” e NeoPop dell’artista padovano. Che non si è lasciato certo sfuggire l’occasione di esporre i pezzi forti del suo repertorio concettuale nei saloni settecenteschi della Monnaie de Paris, la Zecca Nazionale di Francia.
Se al Guggenheim le sue opere si svelavano sfuggenti e irraggiungibili, viceversa qui (fatta eccezione per quelle che sovrastano la scalinata e il Salon d’Honneur: la donna “crocifissa”, il cavallo imbalsamato di Novecento, quello con la testa conficcata nella parete, il tamburino) sono creature a portata di mano con le quali interagire; psicofisicità senza barriere fra noi e loro; tangibili estrinsecazioni di bene, male, doppiezza, vita, morte, memoria, paradosso, infinito.
Vuole silenzio, rispetto e spiritualità questo percorso che si snoda fra il Salon Dupré e la Salle Jean Varin, la Salle Denon e la Salle Babut de Rosan, la Salle Franklin e la Salle Divivier, che vede l’arte di Cattelan offrirsi in maniera disinteressata con Giovanni Paolo II, portatore della croce, che giace inerte sotto il peso del masso celeste (La Nona Ora); Adolf Hitler, incarnazione del Male, vestito con la divisa da scolaro Anni ’30, inginocchiato con le mani raccolte in preghiera e lo sguardo rivolto a un’inconcepibile “mea culpa” (Him); l’homeless rannicchiato come uno straccio contro il muro (Gerard); i 9 lenzuoli scolpiti nel marmo di Carrara, che nascondono altrettante morti (All); la coppia di cani tassidermizzati che sorveglia e protegge la fragile ed effimera natura di un pulcino.
E poi c’è lui, Maurizio Cattelan, avvinghiato alle sue molteplici psycho/personalità, che sbeffeggia se stesso e il sistema dell’arte facendo capolino con la testa da un buco nel pavimento; ritraendosi in una cornice d’argento, a torso nudo, con le mani a formare un cuore (Lessico familiare); appendendosi come un burattino vestito da Joseph Beuys (La Rivoluzione siamo noi) e tornando all’improvviso bambino: un po’ Pinocchio (Mini-me) e un po’ Lucignolo (Charlie Don’t Surf: mani trafitte da 2 matite e inchiodate all’odiato banco di scuola). Nell’attesa, in We, di sdoppiarsi sopra un letto di morte. Prima che si consumi la veglia funebre.
Maurizio Cattelan. Not Afraid Of Love
a cura di Chiara Parisi
21 ottobre 2016 – 8 gennaio 2017
Monnaie de Paris
11 Quay de Conti, Parigi
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