ROMA | Museo di Roma in Trastevere | 4 maggio – 5 settembre 2021
di ANTONELLO TOLVE
L’Italia che ci mostra Luciano D’Alessandro nella brillante retrospettiva curata da Roberto Lacarbonara al secondo piano del Museo di Roma in Trastevere è quella degli ultimi e degli emarginati, dei figli randagi della società, dei maltrattati e dei rinchiusi, del duro e crudo lavoro, del lutto e della tragedia da denunciare con il desiderio – si percepisce tutto questo desiderio – di un risveglio civile: e forse anche, in primis, con la volontà di utilizzare la fotografia come uno strumento per cambiare il mondo, come terreno fertile per vivere la politica da una angolazione centrale e non periferica.
Se al piano terra del Museo lo spettatore può ricordare nelle foto di Sandro Becchetti (in una teca è esposta anche la sua splendida Leica IIIc n. 511620 e alcuni pregiati lavori di falegnameria realizzati dal fotografo con una sorprendente manualità) il sogno felice di ricostruire un paese – maltrattato dalle ferite della guerra – sollecitato dalle screpolature delle ideologie e dagli interessi per la communitas, per la contestazione e per la manifestazione, per il dialogo e per il dibattito (nelle due salette laterali ci sono tra l’altro un’ampia sfilata di ritratti che «costituiscono il nucleo di una mia ideale galleria» e un intimo focus su Pier Paolo Pasolini), al primo piano, con Luciano D’Alessandro, lo scenario, pur mantenendo un potente ancoraggio antropologico, si fa atto di pubblica denuncia, tessuto visivo mediante il quale raccontare la solitudine di esseri la cui vita è stata spezzata, interrotta, demolita in molti casi dal perbenismo della società borghese o da quella natura matrigna che, a detta di Leopardi, non ha al seme dell’uom più stima o cura che alla formica.
A catturarci, in questo percorso allestito appunto al primo piano del Museo, è subito quel grande progetto che ha posto Luciano D’Alessandro sotto i riflettori culturali del proprio tempo: Gli esclusi. Fotoreportage da un’istituzione totale presentato per la prima volta alla galleria Il Diaframma di Milano nel 1969, dopo un lungo e paziente lavoro di scavo organizzato tra il 1965 e il 1968 all’Ospedale Psichiatrico Materdomini di Nocera Superiore grazie all’allora direttore Sergio Piro (suo amico), è infatti non solo una pionieristica e attenta analisi sui meccanismi dell’esclusione e della violenza postulati da Erving Goffman nel suo Asylums (un discorso che corre anche lungo le riflessioni di Michel Foucault e di Franco Basaglia) del 1961, ma anche un reportage fulminante che ci lascia l’amaro in bocca e ci trasporta nel dolore degli altri (ci fa sentire il sudore della paura), nella periferia di anime affrante, di sé negati e mortificati. Una saletta solitaria, in questo primo percorso, presenta un video straziante (la regia è di Michele Gandin, la fotografia di D’Alessandro, il commento di Sergio Piro, le musiche di Egisto Macchi, la voce narrante di Riccardo Cucciolla) che ricorda molto i Matti da slegare di Silvano Agosti e Marco Bellocchio: «non vogliamo parlare perché non abbiamo niente da dire, perché abbiamo ormai finito di lottare contro di voi, contro il vostro mondo. E se qualcuno ancora parla, parla solo con se stesso».
Usciti da questo doloroso quadro critico, in una teca, prima di andare verso un corridoio dove l’occhio è risucchiato dalle immagini che riportano e rivelano la catastrofe del terremoto che ha piegato l’Irpinia nel 1980, troviamo una serie di libri importanti – tra questi Gli esclusi. Fotoreportage da un’istituzione totale (il Diaframma, 1969), Vedi Napoli (SAGEP, 1974), Fate Presto (Federico Motta, 1980) il cui titolo riprende le parole di Sandro Pertini, Dentro le case (Electa, 1977) o Dentro il lavoro (Electa, 1978) – in cui l’attenzione del fotografo strappa il quotidiano al quotidiano per farci sentire tutta la forza della riflessione, del pensiero che fruga nel mondo e che non si ferma sulla superficie ma affonda con eleganza l’occhio nelle cose (nelle storie) della vita. «Non sono un artista, non vivo di mie invenzioni, posso fornire al massimo un taglio. C’è la folgorazione dell’anima a riconoscere lo scatto giusto. Nel momento del servizio mi sentivo come uno che levita, restavo attaccato al fatto entrando in una specie di trance. E come dice Achille Bonito Oliva nel catalogo della mostra romana ci andavo dentro con umanità, si trattasse dell’Ermitage o del manicomio».
Cuba (1971), il colera a Napoli (1973), la grande rivolta di Eboli (1974), Capri (1975), la Mostra d’Oltremare del 1976 (straordinaria l’immagine in cui è possibile percepire un brulichio di gente, una folla composta e educata che sembra quasi sfiorare l’astrazione), la povertà del Rione Calza a Palermo (1977), la Cattedrale di Trapani occupata dai senzatetto (1977), alcune immagini scattate in Puglia (1977) o in Sardegna (1980) sono, del racconto offerto in questa mostra significativamente intitolata Luciano D’Alessandro, l’ultimo idealista (luminoso nel racconto è lo spazio dato alle immagini dell’umanità al lavoro nei campi, in aziende o industrie), alcuni dei nuclei offerti al pubblico per mostrare una piccola parte dei tesori salvaguardati nell’Archivio Luciano D’Alessandro (e parliamo di «circa 2.500 stampe fotografiche originali, 80.000 negativi in bianco e nero, circa 1.000 diapositive a colori, tutti i libri e le cartelle di D’Alessandro e molti libri collettivi in cui compaiono sue foto e/o scritti»), nato nel 2017 e custodito dello Studio Bibliografico Marini. «Luciano era una persona deliziosa, molto interessante e umana, molto attiva. C’era in lui una profonda partecipazione alle situazioni che documentava con le sue fotografie, sia che si trattasse dei manicomi, delle periferie degradate del Sud Italia, degli emarginati, delle lotte operaie per il lavoro, delle catastrofi come il terremoto dell’Irpinia», ricorda Gianni Berengo Gardin in un’intervista a cura di Adele Marini che si può leggere nel puntuale catalogo (Postcart, 168 pagine, 25 euro). «Volevamo cambiare il mondo con la fotografia, al centro del nostro lavoro c’era sempre la condizione umana. Politicamente era molto impegnato a sinistra. Aveva iniziato come redattore de l’Unità a Milano, prima di passare alla fotografia, lavorando come fotoreporter nella redazione napoletana del giornale. Mi raccontò che quando viveva a Capri era stato per alcuni anni segretario del Partito Comunista dell’isola. All’inizio della sua segreteria gli iscritti al partito erano 22, quando lasciò Capri per trasferirsi a Napoli gli iscritti erano diventati 1200».
Luciano D’Alessandro. L’ultimo idealista
a cura di Roberto Lacarbonara
Un progetto di Studio Bibliografico Marini – Archivio Luciano D’Alessandro
4 maggio – 5 settembre 2021
Museo di Roma in Trastevere
piazza S. Egidio 1/b, Roma
Orari: martedì – domenica ore 10.00 – 20.00; la biglietteria chiude alle 19.00; chiuso lunedì
Info mostra: +39 06 0608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00)
www.museodiromaintrastevere.it