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KASSEL (GERMANIA) | Naturkundemuseum im Ottoneum | 20 giugno – 6 settembre 2015

Intervista a CHIARA LECCA di Matteo Galbiati 

In occasione della sua grande mostra personale che, fino alla fine dell’estate, proporrà una selezione rappresentativa di lavori che coprono un periodo compreso tra il 2008 e il 2015 nelle sale del Naturkundemuseum im Ottoneum di Kassel in Germania, abbiamo intervistato l’artista Chiara Lecca (1977) che, in quest’ampio intervento, ci rivela non solo le peculiarità di questo progetto, ma anche del contenuto, delle riflessioni e della poesia delle sue opere:

Chiara Lecca. Quod Paret, veduta della mostra, Naturkundemuseum im Ottoneum, Kassel Foto Werner Maschmann (Bigbigbubble, 2013, vescica animale, metallo, poliuretano, tessuto, legno, 188x67x67 cm e Blackbigbubbles, 2013, vescica animale, metallo, poliuretano, vernice acrilica Courtesy Galleria Fumagalli, Milano)

Perché una mostra di un’artista contemporanea in un Museo di storia naturale? Come nasce questo tuo nuovo progetto?
Nel 2012 sono stata invitata a Kassel la prima volta per una residenza all’interno di un progetto culturale europeo in parallelo a Documenta. In quell’occasione ho lavorato ad un’opera ora esposta al Landkreis Kassel Kreishaus: Fenders (Frontale#1). In quello stesso periodo il direttore del Naturkundemuseum im Ottoneum ha avuto modo di conoscere il mio lavoro. Poi nel 2014 ho ricevuto l’invito per la personale. L’idea mi è subito piaciuta, gli allestimenti delle stanze del museo Ottoneum, hanno una forte impronta immaginifica e questo aspetto accomuna anche molte mie installazioni. Inoltre un altro importante aspetto nel mio lavoro è il fraintendimento: materiali che appaiono come altri, oggetti trasformati… ed il fatto di esporli in un Museo di storia naturale ne accentua ulteriormente questa caratteristica. Quod Paret (ciò che sembra), il titolo della mostra, si riferisce proprio a questo aspetto. Oltretutto spesso utilizzo la tassidermia, ampiamente presente all’Ottoneum.

Che rapporto hai con l’“elemento organico”, presenza direi connotante della tua ricerca?
L’elemento organico è il cardine su cui ruotano numerose mie installazioni. È curioso come reagiamo di fronte a tali materiali poi mangiamo carne ed indossiamo pellame con noncuranza. Uso elementi organici principalmente nel tentativo di indagare come il sociale si rapporta con il reale mondo naturale. Lo faccio con lo scopo di creare dubbi ed ipotizzare nuovi assetti delle cose.
Sono nata, ho vissuto e tutt’ora vivo in un ambiente rurale, della mia infanzia ho preziosi ricordi legati ad un immenso senso di libertà, inoltre ho sempre vissuto il ciclo di nascita, vita, morte in maniera diretta e aperta: in famiglia si allevano ovini da latte da più generazioni…

Questo impegnativo progetto espositivo racconta il tuo lavoro nell’ampio arco temporale che va dal 2008 al 2015, quali sono le scelte che hai attuato? Su cosa ti sei concentrata? Cosa hai voluto esporre?
La scelta delle opere è avvenuta dopo una prima visita durante la quale il Museo mi è stato “raccontato” dal direttore, Dr. Kai Fuldner. È un museo molto “ricco”, la collezione che ospita è ampia, una parte è dedicata alla città di Kassel e i suoi personaggi, poi c’è la zona preistorica con ossa e dinosauri e infine numerose belle ricostruzioni ambientali. Quindi mi sono lasciata sedurre e la scelta è stata prevalentemente istintiva.

Chiara Lecca, Elefanten, 2015, denti di bovino, dimensioni reali Courtesy dell’artista

Se per la Stanza dei Mammut ho pensato alla serie dei Fenders (Frontale), che ci riporta a forme organiche anche se realizzata con oggetti meccanici, per la Wunderkammer, dedicata al naturalista Karl Landgraf, ho prediletto la vaseria dei Fake marble, le Bigbubbles e le resine. Ho deciso di esporre anche un piccolo lavoro all’interno della Stanza delle Mummie. Questa stanza ospita antichi feti mummificati, sono esposti per il loro valore scientifico, ma osservandoli il pensiero non può che andare al mondo dell’infanzia… Sono commoventi, ho affiancato loro alcuni denti di bovino intitolati Elefanten, elefantini in tedesco, proprio per avvicinarmi al mondo immaginifico dei bambini.
In mostra ci sono poi alcune opere della serie Moths and Butterflies e Garden (suino), un lavoro sulla rinascita pensato in relazione alla rinascita del museo dalle ceneri di un antico teatro. Infine Peli Superflui, una grande scultura in rappresentanza di tutto il pelo che abbiamo perso nella nostra evoluzione.

Come ti sei rapportata allo spazio museale e ai suoi contenuti? Che relazioni hai messo in evidenza e come si “innestano” le tue opere?
Il tentativo è stato quello di far scomparire le opere per permettere poi che riapparissero agli occhi dei visitatori.

Mi colpisce, come mi hai sottolineato, il tuo desiderio di far recuperare all’uomo la sua componente “selvatica”, istintiva e irrazionale, e lo fai con immagini grottesche, graffianti e irriverentemente fuori dall’ordinario… Perché è importante ascoltare e conoscere questa parte “nascosta” di noi?
Perché è una parte molto presente nell’umano e tentare di nasconderla o reprimerla può causare l’effetto contrario. Anche se tendiamo a “dimenticarlo”, noi facciamo parte del ciclo della natura alla pari di tutti gli altri esseri viventi, a mio avviso è necessario tenere ben presente questo per garantire nel tempo l’equilibrio del nostro habitat. Il mio lavoro può, quindi, essere considerato un tentativo di messa in relazione di noi stessi con il modo naturale fuori dagli schemi a cui siamo abituati.

Nel suo testo critico Elisabetta Pozzetti mette in risalto il senso di meraviglia che accoglie chi guarda le tue opere. Lo stupore e l’incanto, il sapersi meravigliare per potersi porre delle domande sembra essere una necessità oggi ormai urgente e diffusa…
Il senso di meraviglia è un mezzo, uno strumento per ottenere attenzione… Una chiave per innestare dubbi, riflessioni. Da bambini ogni domanda nasce da una meraviglia!

Chiara Lecca. Quod Paret, veduta della mostra, Naturkundemuseum im Ottoneum, Kassel Foto Werner Maschmann (Fenders #2, #4, #5, 2013, parafanghi d’auto, pelli, 38x178x85 cm Courtesy Galleria Fumagalli, Milano)

Annamaria Maggi sottolinea il tuo essere critica verso la società attuale e, ponendoti in bilico tra artificio e natura, rivendica la tua posizione forte dietro un apparente disimpegno ironico. Come calibri tanto efficacemente le opposte tensioni che governano le tue opere?
Con il mio lavoro tento di riassumere e restituire il rapporto che abbiamo creato nel tempo con il mondo animale, proprio nel tentativo porre attenzione su di esso. L’animale diviene così il complice dell’operazione di spiazzamento della realtà gestita, ordinata e controllata dall’uomo.
Sono inoltre interessata ad analizzare i meccanismi che ci spingono a suddividere l’animale in categorie – animali da affezione, da cortile, da lavoro, da mangiare, da abbigliamento, da arredamento – e non considerarlo nella sua interezza e complessità. Amo calibrare tutto con una buona dose di ironia…

Ci parli del progetto Nutrimentum. L’arte alimenta l’uomo, che è patrocinato da Expo Milano 2015, quale proposta hai avanzato?
Il progetto Nutrimentum verte sulle tematiche di Expo e può essere considerato un metodo, un marchio registrato, che pone nell’interdisciplinarietà la propria essenza, infatti, gli artisti coinvolti sono stati affiancati da scienziati legati al mondo del cibo. In particolare per l’apporto tecnico della mia installazione, sono stata seguita dal prof. Piero Augusto Nasuelli dell’Università di Bologna. In questo contesto, ho realizzato l’opera Forma (Bitu), un’alta colonna in ferro con un basamento di formaggio Bitto Storico, poi esposta in mostra all’Ottoneum.

Forma nasce dalla collaborazione con Jannis Kounellis, come avete lavorato?
Mentre stavo preparando il progetto per l’opera Forma ho avuto la possibilità di incontrarlo e conoscerlo grazie ad Annamaria Maggi. L’ho incontrato a Roma in occasione di una sua mostra, poi nuovamente ci siamo visti alcune volte a Roma e Milano ed ho colto l’occasione per parlargli delle mie idee riferite a questo nuovo progetto. Mi piace pensare che le sue riflessioni vertano sull’antropologia riferita all’uomo come essere umano, mentre le mie si riferiscano all’uomo come essere animale.

Chiara Lecca, Black Still Life, 2010, tassidermia, pvc, ceramica, tavolino in legno, 200x70x70 cm (particolare) Courtesy Galleria Fumagalli, Milano

Quali contenuti promuove? Cosa suggerisce agli spettatori?
Con quest’opera il mio desiderio è di ottenere un senso di urgenza e pericolosità. Ho scelto di lavorare con il latte in quanto è l’alimento di cui tutti ci nutriamo alla nascita; la colonna simboleggia la storia dell’uomo sul pianeta, la sua potenza, mentre il formaggio il mondo naturale che trasformiamo a nostro uso ed abuso. La colonna appare in bilico e grava sulla base che cede e “lacrima” sotto il suo peso…

Oltre alla realizzazione di questa opera cosa ti ha lasciato lo scambio con Kounellis?
Jannis Kounellis è un artista formidabile ed anche una persona straordinaria. È stato molto generoso con me, sto facendo tesoro dei suoi consigli e dei suoi pensieri, è un maestro da cui imparare sull’arte e la vita.

Dopo questo grande evento, che ti vede protagonista in Germania, quali sono i tuoi prossimi impegni? Novità di cui ci puoi dare qualche anticipazione?
Sto lavorando ad una mostra personale presso la Fondazione Ghisla di Locarno che si terrà nel settembre 2016, uno spazio bianco, asettico… Una nuova sfida. Nell’imminente, ad ottobre, avrò alcune opere all’interno della collettiva, curata da Fabio Carnaghi, Notre  avenir est dans l’air presso l’Antiquarium Alda Levi di Milano.

Chiara Lecca. Quod Paret
a cura di Elisabetta Pozzetti
testi in catalogo Elisabetta Pozzetti e Annamaria Maggi

20 giugno – 6 settembre 2015

Naturkundemuseum im Ottoneum
Steinweg 2, Kassel 

Info: +49 561 7874066
naturkundemuseum@kassel.de
www.naturkundemuseum.de
www.chiaralecca.com

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