ALESSANDRIA | Palazzo Cuttica e Sale D’Arte | 25 novembre 2017 – 28 gennaio 2018
REGGIO EMILIA | Antica Sinagoga | 2 dicembre 2017 – 14 gennaio 2018
Intervista a AQUA AURA di Francesca Caputo
L’universo di Aqua Aura è costellato di paesaggi enigmatici che trovano corpo nei suoi pensieri, nello studio delle più avanzate ricerche scientifiche, in una visionarietà ricca di simboli che apre alla tensione all’assoluto; opere in cui realtà e immaginazione paiono trovare la loro sintesi più autentica.
Tra novembre e gennaio, Aqua Aura è impegnato in due esposizioni ad Alessandria e Reggio Emilia, rispettivamente curate da Matteo Galbiati e Chiara Serri, che sfociano nel libro Lustro (Vanillaedizioni, 2017).
Progetti che diventano l’occasione per incontrare l’artista e ragionare sulla sua poetica, sui motivi che hanno guidato questa recente produzione – installazioni video e ambientali, sculture in alabastro – e l’armonia con i suoi precedenti cicli.
Come nasce questo nuovo viaggio?
Da quel meraviglioso e misterioso groviglio di accadimenti che tesse e intreccia l’arabesco dell’esistenza. Il premio Special Project di Arteam Cup 2015 gioca il suo bel contributo [ride n.d.r.]. Il caso e gli incontri che si sono innestati sul Premio sono diventati due progetti strettamente connessi, di cui il libro rappresenta il conclusivo coronamento. L’idea si è concretizzata con Matteo Galbiati, assieme alla direzione di Arteam, e l’Associazione Libera Mente Laboratorio di Idee di Alessandria.
Nello stesso periodo, confrontandomi con Chiara Serri sul desiderio di realizzare una mostra per Reggio Emilia – omaggio ai cinque anni di lavoro a fianco di VV8 Artecontemporanea – mi ha suggerito lo spazio della Sinagoga come il più adatto ai miei scenari. Materializzando così un’idea cui pensavo da anni: unire le immagini delle distese di ghiaccio con la storia ebraica in un grande lavoro video.
La mostra Somewhere Out There ad Alessandria si caratterizza come un percorso tra le tematiche nodali della tua ricerca.
Penso che tu abbia ragione: dalla costruzione di un “senso del sublime”, immerso in un contesto del tutto contemporaneo, allo sguardo a dimensione umana delle profondità dell’invisibile e dell’oscurità celata dentro i nostri corpi, fino alla metafisica del tempo millenario, eppure labile, raccolto in un piccolo guscio di ghiaccio…
Qui è emerso anche un tema che sovrasta e raccoglie tutta la mia riflessione: la vera rivelazione, per me, è scoprire che il mio lavoro indaga la costruzione di un oggetto e di un sentimento enigmatico assoluti.
Come hai scelto di inserire i tuoi lavori nel contesto fortemente connotato delle due sedi di Alessandria?
La mostra si è indirizzata da subito su due registri differenti, sin da quando, visitando i siti dei Musei Civici, l’Associazione Libera Mente ha messo a disposizione gli spazi di Palazzo Cuttica e delle Sale d’Arte.
Il primo incarna le caratteristiche della Wunderkammer, con una miriade di opere e oggetti storici di ogni genere; le stesse stanze sono generose di continue sollecitazioni visive. Il secondo è, invece, una più istituzionale e ordinata raccolta di collezioni di opere della città.
Le Sale d’Arte accolgono i lavori che mi connotano di più, le pseudo-fotografie, seguendo un duplice percorso: alcuni lavori di Scintillation sono in dialogo con opere di Casorati e Filia, conservate nelle Collezioni, altri invece occupano in modo esclusivo le sale svuotate del moderno.
Nel caso di Palazzo Cuttica, in virtù della sua complessità, l’occasione si prestava per mettere in scena i progetti inediti: installazioni video, sculture e installazioni ambientali. Da un paio d’anni cullavo l’idea di aprire una strada che sterzasse dalla pura bidimensionalità. Entrare in relazione con la difficoltà di questi spazi lo ha reso necessario.
I tuoi paesaggi immaginari sembrano oltrepassare i confini delle nuove frontiere della conoscenza, rendendo labile la soglia che separa micro e macro, realtà fisica e metafisica, tempo, natura, uomo e ricerca scientifica. Come coesistono e si evolvono questi fulcri della tua indagine?
Ciò che avvolge e plasma, anche nella diversità, le varie fasi delle mie serie è la costruzione dell’oggetto enigmatico che si collega alla mia personale visione della natura dell’opera d’arte. Anche René Magritte partiva da questi presupposti. Dall’enigma dell’oggetto viene il sentimento enigmatico: quella particolare condizione dell’esperienza estetica che, a differenza dell’enigma, non induce inquietudine, ma incanta e sospende, come dall’interno di un’ampolla di vetro. Un mondo senza suoni e senza contorni.
Quando si affronta la mia attenzione alla scienza e alla fisica teorica, vedo che nessuno tiene mai in debito conto il valore del liquido amniotico in cui sono immerse queste immagini: ciò che le tiene insieme è un comune lirismo, una sorta di ricerca dell’estasi. Questo unicum dà la vera voce alle opere. Credo che con queste due mostre si comincerà a capirlo meglio.
Qual è il fulcro concettuale di Millennial Project nella Sinagoga di Reggio Emilia?
Le due esposizioni, insieme, presentano la fase più attuale della mia ricerca. Quella di Reggio Emilia è dove meglio si esprime un senso di spiritualità radicale. I lavori installativi e le video-installazioni portano alle estreme conseguenze questa posizione ascetica. Perno di partenza dell’intera mostra, però, rimangono Void e Scintillation, serie che contengono in nuce i germogli di questa deriva o conquista spirituale. Tutto il mio lavoro funziona così: ogni nuova serie ha già in sé le indicazioni della sua evoluzione. In ogni lavoro si scorgono le spore di una prossima fioritura e tutte le opere installative rappresentano i germogli delle opere più “antiche” esposte.
L’aula centrale della Sinagoga accoglie la videoinstallazione Millennial Tears, una narrazione fortemente emozionale che racchiude molteplici metafore.
Millenial Tears vuole essere il punto focale di questa esposizione e assume un significato particolare anche in relazione al luogo. È espressamente dedicata alle Comunità Ebraiche. L’ispirazione nasce durante una visita al museo Yad Vashem di Gerusalemme, dove viene continuamente letto il testo del Kaddish, la preghiera ebraica per i defunti. Parole del passato che arrivano all’oggi, a testimoniare un lungo viaggio nel tempo. Una suggestione che solo molto tempo dopo, maturando attraverso la visione dei ghiacci islandesi, ha finalmente trovato il suo compimento.
Su grandi schermi si alternano visioni di lande artiche desolate, immersioni tra le acque ghiacciate e osservazioni iper-ravvicinate di molecole di lacrime, fin dentro il loro ordito liquido. Ho cercato di costruire la video-opera secondo un criterio al tempo stesso narrativo e della pura estasi o del rapimento. Se ne può seguire l’intera estensione e percorrere il viaggio che porta dai paesaggi iniziali, attraverso il “dramma” del ghiaccio, fin dentro l’universo microscopico della viscosità delle lacrime, oppure pochi minuti, lasciandosi rapire dalla forza ipnotica delle immagini.
Che ruolo svolgono i suoni in Millennial Tears?
Il canto e la musica hanno enorme importanza, aprono e chiudono l’opera, la contengono come uno scrigno o come delle mani immateriali che portano l’acqua alla bocca. La musica anticipa il racconto per immagini in una sorta di prologo, mentre, quando l’immagine dei paesaggi glaciali viene meno e si trasforma in pura astrazione organica, ricompare come un tappeto sonoro e cantato, per chiudersi con canti in ebraico, intonati per gioco e divertimento tra madre e figlio. I suoni sono sempre presenti. Il sussurro e poi il fragore del ghiaccio e degli iceberg che si spezzano, il suono del vento che soffia senza sosta, i rumori sordi dell’acqua e del movimento che i ghiacci emettono sotto la superficie del mare. Sono suoni senza storia, densi, autorevoli perché eterni, come fosse la voce stessa della storia… o la voce di tutto ciò che chiamiamo “Dio”.
Quali i temi portanti di Domestic Eternity e Shelters – On The Very Nature Of The Light?
Il tempo divergente tra realtà e sua rappresentazione è la base di Domestic Eternity: l’impermanenza dell’esperienza estetica, o della bellezza, per me rimane un tema toccante, quasi struggente.
L’utopia di poter conservare ciò che è incorporeo o etereo, come per esempio la luce, è il tema di Shelters – On The Very Nature of the Light. Gli iceberg di alabastro raccolgono e imprigionano il ciclo di un’intera giornata tra le lande desolate dell’estremo Nord. Da essi sprigiona la luce del mattino così come il fragore della pioggia del pomeriggio, e la notte oscura, squarciata dai colori dell’Aurora Boreale.
Entrambi contengono la condizione metafisica dell’esistenza entro la loro limitante natura di creazioni estetiche ma lo fanno in modo fragile ed imperfetto.
Aqua Aura. Somewhere Out There
a cura di Matteo Galbiati
Special Project Arteam Cup
25 novembre 2017 – 28 gennaio 2018
Inaugurazione sabato 25 novembre ore 17.30
Palazzo Cuttica
via Parma 1, Alessandria
Orari: da venerdì a domenica 15.00-19.00
Sale d’Arte
via Niccolò Machiavelli 13, Alessandria
Orari: giovedì, sabato e domenica 15.00-19.00
Millennial Project. Una mostra di Aqua Aura
a cura di Chiara Serri
2 dicembre 2017 – 14 gennaio 2018
Inaugurazione sabato 2 dicembre ore 17.30
Antica Sinagoga
Via dell’Aquila 3A, Reggio Emilia
Orari: venerdì ore 16.00-19.00; sabato e domenica ore 10.30-13.00 e 16.00-19.00; in data 19, 20, 26, 27 dicembre 2017 apertura straordinaria ore 10.30-13.00 e 16.00-19.00
Info: www.aquaaura.it
www.arteam.eu