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PESARO (PU)| Pelicula Snc

Intervista a LUCA POZZI di Valeria Carnevali

Assistere alla genesi di un progetto, stupirsene senza essere del tutto consapevoli di come esso evolverà, ma sapere esattamente che si sta prendendo parte ad una idea che si sviluppa: lo scorso 26 gennaio abbiamo messo piede in uno spazio espositivo anomalo, prestato all’incipit di un nuovo percorso artistico, percependo, per il lasso di una vernice, quello che significa lo sviluppo della “potenza in atto”. L’evento era la prima tappa del progetto Mikey Explosion di Luca Pozzi (Milano 1983, conosciuto per la contaminazione tra arte, scienza fisica ed informatica), ed il teatro prestato al gioco è stato lo studio di un fotografo molto noto negli ambienti dell’arte contemporanea, quello di Michele Alberto Sereni, che ha trasformato per un pomeriggio la sua Pesaro in una metropoli dell’arte. Pensato insieme alla curatrice Milena Becci, l’appuntamento con Luca Pozzi si inserisce nel calendario di Sondare l’altrove, rassegna che il fotografo marchigiano tiene nel proprio spazio di lavoro, prestato per un giorno solo a menti creative con cui ha affinità: nel 2018 hanno esposto in questa singolare maniera, oltre allo stesso Sereni, Nevio Mengacci e Virginia Zanetti.
In occasione dell’evento-vernissage, avvenuto in uno studio reso irriconoscibile, location ibrida tra set cinematografico e galleria di ricerca, abbiamo potuto incontrare Luca Pozzi e ci siamo fatti spiegare il progetto e la sua evoluzione prevista direttamente da lui.

Paolo Icaro con Luca Pozzi, durante l’opening di Mikey Explosion. Foto: Valentina Sammaciccia

Nella tua più recente installazione, allestita nello studio di Michele Alberto Sereni, le opere dagli stilemi che contraddistinguono il tuo lavoro sono suggestivamente collocate in uno spazio total blue. Sulle prime sembra una scelta estetica, ma poi si capisce che non è solo quello, e che il progetto va ben oltre ciò che si vede. Ce lo puoi spiegare?
Il progetto Mikey Explosion sottolinea quanto la materia sia solo l’inizio. Lo spazio fisico, come le opere e le barriere architettoniche, rappresentano il punto di partenza e non di arrivo. Un po’ come se osservassi un bicchiere d’acqua e solo successivamente venissi a conoscenza che modificando le condizioni termiche dell’ambiente, quella stessa sostanza potrebbe solidificarsi in ghiaccio o aumentare i suoi gradi di libertà vaporizzandosi nell’aria. Le pareti dello studio di Michele sono state trattate con un preciso colore pantone, usato per la tecnica cinematografica chroma_key, al fine di convertirle in finestre dimensionali a temporalità distorta, piuttosto che rispettarne i confini strutturali standard. Quello che le persone hanno visto il giorno dell’opening è un livello ibrido, forse un presagio o una profezia… della transizione di fase i cui presupposti erano subliminalmente suggeriti da uno strano rumore di fondo diffuso nell’ambiente.

Luca Pozzi, Mikey Explosion, installation view, 2019. Foto: Michele Alberto Sereni

Questo prelude ad uno sviluppo: a cosa è orientato l’utilizzo del Blue Screen, come lo utilizzerai?
L’idea è quella di sovrapporre due spazi, due narrazioni parallele e di farle collidere per poterne osservare le conseguenze e per incrementarne la complessità intrinseca. Nello specifico l’utilizzo del Blue screen diventa un espediente per teletrasportare le persone in una parentesi temporale tratta dalla scena di un film di Barry Sonnefeld del 1997, rallentata di un fattore di cinque volte. Mi interessa questa distanza tra un ambiente hollywoodiano globale ed uno domestico estremamente locale. Nel momento fisico della mostra tutto questo resta sostanzialmente invisibile, ma latente. Si sente solo l’audio che suggerisce una certa tensione e mostruosità, presagisce qualcosa di estremamente violento, qualcosa di alieno dal contesto…
L’alienazione dal contesto di riferimento è uno dei nuclei dell’installazione. Da qui l’evoluzione in tre fasi: la prima consiste nell’apertura al pubblico dell’installazione fisica; la seconda fase è quella della post-produzione della documentazione dell’installazione, sostituendo ai fondali monocromatici alcuni fotogrammi della scena del film. Infine, la terza fase è la creazione e divulgazione di un’ambientazione VR immersiva online navigabile da remoto utilizzando vari tipi di device, dal semplice cellulare in modalità google cardboard oppure con i più sofisticati Vive e Oculus.

Luca Pozzi, Mikey Explosion, installation view, 2019. Foto: Michele Alberto Sereni

Ma cosa ha di speciale la scena di questo film? Perché vuoi portare le persone e le tue opere a rimanere sospese proprio in mezzo a quel momento specifico di quella precisa narrazione? Cosa succede di così interessante?
Il film è Man In Black, non direttamente tratto, ma sicuramente ispirato alla letteratura visionaria di Douglas Adams, che personalmente trovo geniale. La scena nello specifico si svolge in un deserto al confine tra Stati Uniti e Messico. Due agenti non governativi, responsabili della vita aliena sul pianeta terra, D e K, stanno interrogando un alieno travestito da migrante. Quando scoprono che si tratta di un fuori legge intergalattico, l’alieno lascia cadere a terra il suo travestimento (una rappresentazione classica – fisica newtoniana) svelando una forma diversa al suo interno, una forma fuori dai canoni estetici comuni… A questo punto un nuovo personaggio entra in gioco: un Ranger (spettatore) che da sopra una collina osserva incredulo la scena. L’alieno se ne accorge e distorcendo tutta la sua allucinante anatomia emette una specie di ruggito. La forma del suo “corpo” si trasforma ancora e da pacifica si rivela offensiva e spaventosa.. Mikey (questo è il nome dell’alieno) spinge D a terra, si volta ed inizia a correre verso il Ranger. L’allungamento e la distorsione della forma di Mikey è direttamente proporzionale alla sua velocità (rappresentazione futurista/cubista – fisica Einsteiniana). A pochi metri dal ranger Mikey balza in aria per aggredirlo ma viene vaporizzato da K. Mikey esplode a mezz’aria, i suoi fluidi restano sospesi nel cielo notturno del deserto (espressionismo astratto, meccanica quantistica), prima di ricadere al suolo. Questa scena condensa tutta la ricerca artistica e scientifica del ‘900 in meno di un minuto. Il fotogramma prescelto per l’ambientazione immersiva VR è quella della massima smaterializzazione della forma aliena fluttuante di Mikey. Avere un punto di vista interno, mutevole e delocalizzabile alla nuvola probabilistica credo sia una condizione indispensabile per immaginare sviluppi futuri.

Luca Pozzi, Mikey Explosion, installation view, 2019. Foto: Michele Alberto Sereni

In questo mi sembra di intravedere una connessione con una delle tue prime opere della serie Supersymmetric Partner, dove tu stesso salti e rimani sospeso di fronte alle tele dell’artista rinascimentale Paolo Veronese. Un quadro del rinascimento può essere una nuvola probabilistica?
In un certo senso sì, esatto, tutto il mio lavoro si concentra sull’immaginazione delle connessioni interne di un campo di probabilità fatto principalmente di informazione. “Le Nozze di Cana” del Veronese esposte al Louvre, per esempio, sono un database storico, artistico, scientifico e religioso che già di per sé connette l’umanesimo con il nuovo e l’antico testamento. Saltarci di fronte significa inserirsi fisicamente nella rete e percepirne il peso. Lo step successivo però è creare delle condizioni affinché siano le persone stesse a poterlo fare, l’installazione ambientale The Grandfather Platform di palazzo Magnani realizzata per il programma di Artcity di Bologna dell’anno scorso, durante Arte Fiera, è stato uno dei primi tentativi. Mikey Explosion si inscrive in questo genere di esperimenti.

Luca Pozzi, Mikey Explosion, installation view, 2019. Foto: Michele Alberto Sereni

In Mikey Explosion vediamo anche un dispositivo a parete dodecagonale con palline da ping-pong in fluttuazione magnetica, strani simboli a forma di occhi e palline da tennis distorte in una strana configurazione “School fish”, una spugna luminescente in levitazione su un cristallo nero e in entrata, quasi nascosta, un bomber verde anni ’80 abbandonato a se stesso sulla struttura scenica del set-cinematografico. In che modo questi elementi interagiscono con quanto detto?
Sono tutti dispositivi di esperienza quantistica della realtà a scale energetiche domestiche. L’“augmented GG Detector” rappresenta un numero elevato di traiettorie possibili della stessa pallina da ping-pong congelate in un unico istante. Lo stesso accade in The Third Eye Prophecy – Marker #1 dove una configurazione di punti sospesi e permette l’attivazione di un’applicazione di realtà aumentata e l’emersione di oggetti virtuali enormi nello spazio fisico. Mentre The Home Plate Platform sottolinea come le forme organiche di una spugna marina possano levitare elettromagneticamente sulla casa base del gioco del baseball, una specie di porto sicuro da cui partono e ritornano tutte le interazioni possibili.
La presenza più criptica è sicuramente quella di This is my favorite moment in human history i cui presupposti sono offerti da uno strano cappello di lana e una giacca offerti agli spettatori della mostra che, indossandoli, barattano la loro identità con quella di Griffin, l’ultimo Arkaniano sul pianeta terra, i cui principali poteri sovrannaturali prevedono la capacità di vivere simultaneamente presente passato e futuro.

Luca Pozzi, Mikey Explosion, installation view, 2019. Foto: Michele Alberto Sereni


Sondare L’altrove
Mikey Explosion
di Luca Pozzi
a cura di Milena Becci

26 gennaio 2019

Pelicula Snc di Sereni Michele Alberto E Barbuio Beatrice
Via Federici SN, Pesaro (PU)

Info: +39 329 4969275
serenimichelealberto@gmail.com

 

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