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COTIGNOLA (RA) | MUSEO CIVICO LUIGI VAROLI, EX OSPEDALE TESTI |  4 GIUGNO – 12 SETTEMBRE 2021

Intervista a MASSIMILIANO FABBRI di Leonardo Regano 

Pittore, scultore e decoratore: Luigi Varoli (1889 – 1958) ha incarnato alla perfezione il ruolo dell’artista poliedrico che nell’arco di un’intera vita ha raccolto attorno a sé le tracce della sua continua azione creatrice che si è espansa oltre le arti visive anche alla musica. Nato e morto a Cotignola, piccola cittadina della Bassa Romagna, Varoli ha oggi un Museo Civico a lui dedicato nel più antico Palazzo di Cotignola, il Palazzo Sforza, che custodisce le testimonianze della sua arte e della sua personale Wunderkammer fatta di teschi, fossili, burattini, strumenti musicali, mobili antichi e una piccola ma fornita biblioteca. Durante i giorni più difficili della chiusura per la pandemia in atto, il curatore del Museo, Massimiliano Fabbri, ha scelto di mantenere questo luogo vivo e “aperto”, accogliendo la sperimentazione come scenario per l’incontro tra nuove “forze creatrici” aprendo lo spazio del museo per brevissime residenze in cui due o più artisti sono stati ciclicamente invitati a confrontarsi sull’eredità lasciata da Varoli. Il risultato di questa ricerca è il progetto Inventario Varoli – della copia e dell’ombra, visitabile fino al prossimo 12 settembre nelle sale del Museo Civico di Cotignola e negli spazi suggestivi del poco distante Ex Ospedale Testi.

Andrea Grotto, Dondolo, 2020, olio su tela, 65×68 cm

Tra luglio e ottobre 2020 e a più riprese nei mesi successivi, ben 59 artisti – compreso lo stesso Fabbri –  si sono alternati in questa ricerca sulle orme di Varoli, dando vita oggi a una mostra che si snoda tra disegno e pittura, con apertura a contaminazioni scultoree, fotografiche e installative. Tra i nomi della lunga lista troviamo, per esempio, Angelo Bellobono, Mirko Baricchi, Beatrice Meoni, Elisa Muliere, Giulia Dall’Olio, Domenico Grenci, Amandine Samyn, Alessandro Saturno, Giulio Zanet, Andrea Grotto, Thomas Scalco, Lorenzo di Lucido, Denis Riva, Enrico Minguzzi, Elisa Filomena, Alice Faloretti, Rudy Cremonini. E proprio con Massimiliano Fabbri parliamo di Inventario Varoli, approfondendo l’eredità che Luigi Varoli ha lasciato a Cotignola.

Quali sono gli aspetti più importanti dell’arte di Varoli che a tuo avviso oggi ritroviamo nella vita culturale del territorio cotignolese?
Quello che Luigi Varoli ha lasciato a Cotignola è qualcosa che pur essendo radicato fortemente a un luogo, in maniera quasi inestricabile verrebbe da dire, di certo lo supera e lo espande facendo di un territorio della provincia profonda, di campagna, un vero e proprio laboratorio capace di innescare contemporaneamente due forze che all’apparenza potrebbero anche sembrare in contraddizione: una forza centripeta che qui chiama e fa convergere sguardi, pratiche ed energie, l’altra centrifuga che porta fuori e si allarga e ramifica facendo di una postazione apparentemente isolata e ai margini, rispetto al mondo, un centro irradiante capace anche di trasmettere e rilanciare. E non solo ricevere. In questa doppia tensione o movimento risiede l’aspetto prezioso di quel che è avvenuto e ancora accade oggi, pur in forme diverse ovviamente.

Beatrice Meoni, Manifesto / marionetta, 2021, olio su tela doppiata con velluto, cm 195×12

L’esperienza della quarantena quale consapevolezza e quale cambiamento ha portato nel sistema dell’arte?
Non ho mai creduto che la quarantena fosse una cosa romantica, almeno non per tutti, e molto dipendeva dal luogo in cui uno si trovava in quel momento così assurdo, incomprensibile e drammatico, e dalle persone che erano con lui e, non per ultimo, dalle economie su cui ciascuno poteva contare. Però anche se questo è avvenuto con violenza e a tratti è parso quasi inspiegabile (soprattutto nel secondo lockdown, e penso alla chiusura dei musei) è servito forse a portare tutto con i piedi a terra e ad azzerare, e poter così ripartire con altri sguardi, movimenti e necessità. A cercarsi maggiormente forse. A pensare a cose più piccole o intime, non so definire bene. A venire a patti con l’incertezza. Una precarietà che forse non volevamo vedere anche se già c’era. Di certo si è disegnato molto. E questo è positivo. Sempre.

Amandine Samyn, Qualcuno dice che comunicano, qualcuno dice di no, 2021, olio su tavole, 20×15 cm (x3)

Non so dire se ne siamo usciti migliori, probabilmente c’è un impoverimento con cui dobbiamo ancora fare i conti del tutto, ma al tempo stesso mi pare che molti operatori del settore, artisti compresi, istituzioni e musei, si siano dovuti e voluti reinventare e siano nate cose giuste in questo aggiustare più volte il tiro e in questo adattarsi spesso faticoso; qualcosa abbiamo imparato, a partire dal misurasi anche con budget più ridotti, o spostare in alcuni casi l’attenzione anche al locale, guardando cosa c’era e c’è dietro l’angolo, pressati dalla difficoltà o impossibilità di fare programmazioni a lunga scadenza. Non ho mai pensato che questa attenzione rivolta al luogo in cui si opera fosse o sia, quarantena o meno, una scelta provinciale, anzi. È necessario. Doveroso. Credo semmai che uno sguardo più provinciale sia forse quello che porta a pensare e vedere spazi e cose interessanti solo se lontane e non accorgersi, talvolta quasi per principio, di quel che avviene sotto casa, o vicino. Un museo si dirige vivendo in quel luogo. E un artista ha anche una forma di impegno e di restituzione, qualcosa difficile da definire ma che credo superi e vada oltre alle logiche interne o a quel che avviene in studio. Ancora due sguardi, ancora penso che servano entrambi i movimenti.

Inventario Varoli – dalla copia all’ombra. Museo Civico Luigi Varoli, Cotignola. Opera di
Elisa Filomena. Foto Daniele Casadio.

Con alcune remore, ma credo sia normale avere criticità sparse, e non ha molto senso parlarne qui, penso ad esempio che l’operazione del Mambo-Nuovo forno del pane, trasformato in studio collettivo per artisti, sia stata decisamente non solo una buona pratica, ma un esempio molto positivo ed intelligente, felice, lungimirante ed esportabile anche, e credo fermamente sia cosa che dovrebbe, pur se con altre formule e ramificazioni, continuare anche dopo ed allargarsi ad altre realtà. O, sempre per restare a casa, pure il bando che la Regione Emilia-Romagna ha attivato per l’acquisto di opere di artisti contemporanei (non solo giovanissimi) offrendo, non solo un concreto sostegno e una boccata d’ossigeno, ma anche mostrando cosa e come può ancora incidere il pubblico, sia ancora qualcosa che andrebbe non solo ripetuta, ma fatta diventare sistema. Non credo ai sindacati dell’arte o cose simili, ma penso che il pubblico debba avere una sua autonomia, offrire opportunità e lavoro e operare con logiche diverse dal mercato. Non con le stesse, non con gli stessi nomi e rappresentarne una specie di strana e stonata espansione o continuità che non serve se non ad appiattire. C’è un problema più grande in Italia che investe tutto il lavoro culturale, spesso non pagato o sottopagato, in cui ai giovani non viene quasi mai fatta giocare la partita. Questa è responsabilità di tutti noi. Siamo sempre coinvolti. Abbiamo fatto errori. Ecco, se tutto questo ci ha insegnato che c’è anche una seconda via oltre ai grandi eventi e nomi, evviva. Che significa possibilità e offerte anche alternative.

Inventario Varoli – dalla copia all’ombra. Museo Civico Luigi Varoli, Cotignola. Opera di Elisa Muliere. Foto Daniele Casadio.

Differenza e diversità. Ricchezza. Che è quel che fa l’arte, imprendibile, misteriosa e avvincente. Conturbante. Un mondo. E il mondo è imprevedibile, oscuro, tragico e bellissimo. Allora, se è così, ne è valsa la pena. Penso che, come si dice in questi casi, allora la crisi possa davvero servire a qualcosa, e qualcosa abbiamo imparato, forse. E che, da quel che è successo, possiamo tenere anche qualcosa di positivo e che ciò servirà a uscire da un pensiero unico, monotono e monocorde. Ad aprire e allargare. In tutti i sensi, ciascuno fa la sua parte. E, prendendo a prestito il titolo di un festival, l’importanza di essere piccoli è ingrediente e spazio insostituibile. Che significa anche bordi, margini e frammenti. Scovare il nascosto. Servono anche gli eventi che spostano grandi economie, certo, ma non solo, non tutto si può e deve misurare a follower o ingressi e biglietti strappati. O ritorno economico, che comunque c’è sempre. O curriculum. Voglio anche qualcosa che non conosco. E c’è un piccolo, un minore, o laterale che esiste e resiste. Per fortuna.

La pittura è qui protagonista nonostante le interessanti aperture ad altri linguaggi espressivi. Cosa pensi della scena attuale e quale ruolo questa tecnica riveste oggi?
Forse per il fatto di essere di un’altra generazione rispetto a quella di giovani pittori che ora si trovano a praticare un linguaggio non certo ai bordi del sistema, per usare un eufemismo, ma di certo quando ero giovane la scelta di dipingere non era affatto scontata, non era pratica o linguaggio così attuale, anzi. Era qualcosa vista davvero come ritardo non più giustificabile. Questo forse ha permesso di sperimentare maggiormente, meno pressioni, nessuno guardava, o pochi. Però mi viene da dire, banalmente ma è la verità, che la pittura non è mai sparita, e come un fiume carsico continua il suo flusso inarrestabile e a volte riemerge con maggiore visibilità. Ma non mi interessa poi molto definire se questa luce puntata sia esclusivamente legata alle esigenze e richieste di un mercato.

Ettore Pinelli, Senza titolo – dittico (da Archivio Varoli), 2021, olio su tela, 30×30 cm ciascuna

La potenza e il mistero restano intatti. Penso che ci siano davvero molti ottimi pittori nel nostro panorama, e non vedo neanche nulla di male o pericoloso in questa ampia esposizione. Qualcosa resterà, molto sarà dimenticato. È sempre stato così. Schiacciarsi troppo sul presente rischia di farci perdere la visione più ampia. Non solo rincorrere quindi. Chissà se sto parlando ancora di provincia… Ho di recente visitato la mostra curata da Carlo Sala alla Fondazione Fabbri di Pieve di Soligo, Danae Revisited (leggi qui), e mi è molto piaciuto sia l’impianto che la capacità di orchestrare felicemente voci diverse. Penso che la pittura abbia questa ricchezza e varietà interna, e apprezzo quando questa problematicità viene accolta e non si tenta di neutralizzarla per dare maggior voce, incisività e risalto a un discorso che sembra quasi poter fare a meno dei dipinti stessi. Insomma ho dubbi quando si vuole raccontare o far credere che ci sia solo una strada valida. O che questa escluda o finisca per togliere credibilità alle altre. Che non significa non fare scelte, si badi bene. I curatori, gli artisti scelgono sempre. Le scelte sono dolorose e necessarie. Servono.

Inventario Varoli – dalla copia all’ombra. Museo Civico Luigi Varoli, Cotignola. Opera di Alessandro Saturno. Foto Daniele Casadio.

Nella più recente ArtCity, lo scorso maggio a Bologna, nello stesso pomeriggio, ho visto le mostre di Nicola Samori e Alessandro Pessoli. Dentro me si sono incontrate e come completate, e hanno attivato un dialogo esplosivo. La pittura è questo, questa voragine e abisso che si spalanca e tiene insieme mondi diversi. Distanti e vicini. La pittura non esclude. É una carne fatta di molte pelli, non solo fisicamente sulla sua superficie ma anche, metaforicamente, nei molti piani che contiene e spalanca. Nelle sue possibilità. Morandi e Sironi. Moreni e Licini. Manai e Pozzati. Marco Neri e Giovanni Frangi. L’elenco ovviamente potrebbe durare all’infinito. Mi piacciono le liste, mi fermo qui.


INVENTARIO VAROLI – DELLA COPIA E DELL’OMBRA
a cura di Massimiliano Fabbri

4 giugno – 12 settembre 2021

Palazzo Sforza, Corso Sforza 21
Ex Ospedali Testi, via Roma 8
Cotignola (Ravenna) 

Orari: giovedì e venerdì 15.30-18.30 / sabato e domenica 10.00-12.00 e 15.30-18.30 dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 12.30 solo su prenotazione

Info: www.museovaroli.it 

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