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MATERA | Museo Nazionale | Fino all’8 gennaio 2023

Intervista a NICOLA VERLATO di Tommaso Evangelista

Hostia. Pier Paolo Pasolini, è il progetto espositivo ideato dall’artista Nicola Verlato e curato da Lorenzo Canova e Vittorio Sgarbi, prodotto e organizzato da Associazione MetaMorfosi in collaborazione con il Museo Nazionale di Matera e il patrocinio della Regione Basilicata, del Comitato Nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini e della Quadriennale di Roma.

Ispirata dalla tragica morte di Pier Paolo Pasolini, l’esposizione è pensata come un omaggio che si articola in una serie di declinazioni artistiche, dipinti, sculture, disegni, progetti architettonici, musiche e video realizzati da Nicola Verlato in dialogo con Matera e il suo territorio, luogo particolarmente caro a Pasolini che lo scelse per girarvi nel 1964 Il Vangelo Secondo Matteo.
L’artista, scrive Canova, “si serve in modo magistrale del linguaggio figurativo caro a Pasolini per dare vita a una grande opera d’arte totale. Sulla scia del grande scrittore e regista, Verlato dialoga senza subalternità con la pittura del passato, con quella tradizione che Pasolini rivendicava come fondamento delle sue sperimentazioni letterarie e cinematografiche”. Azione, riconfigurazione, declino, corpo, epochè, trionfi e lamenti entrano nella costituzione di un inedito poema visivo tridimensionale estremamente suggestivo, frutto di una lunga riflessione sull’epopea pasoliniana declinata nel corpo di un figurativo espanso fino ai suoi limiti. L’intuizione dell’autore, portata avanti da diversi anni, si intuisce nella sua stratificazione da questa lunga intervista.

Nicola Verlato Ritrovamento del corpo di P.P.P. 2020, olio su tela

La figura di Pasolini, con la sua complessità, si presta alla strutturazione di un racconto enorme. Respiro nelle tue immagini quel senso di bellezza terribile del corpo e di sublimità degli spazi che trovo solo in opere come Le Radeau de la Méduse. Il tuo però è un corpo espanso, iperbolico, trasfigurato. Ce ne vuoi parlare?
Ho iniziato a lavorare sul progetto Hostia, dedicato a Pier Paolo Pasolini, nel 2014. Vivevo a Los Angeles ed era da circa cinque anni che mi dedicavo alla monumentalizzazione di figure che fanno parte di quella che considero una mitologia mediatica che andiamo costruendo giorno per giorno collettivamente.
Ho lavorato su figure come Michael Jackson e James Dean, Madonna e Robert Johnson, ma anche su altri protagonisti dello spazio mediatico contemporaneo.
Ad un certo punto però iniziai a domandarmi chi, fra gli italiani, avrebbe potuto essere in grado di sostenere questo tipo di formalizzazione monumentale che imponevo a queste figure e, immediatamente mi risultò chiaro che non poteva che essere Pier Paolo Pasolini.
La mia lettura della figura di Pasolini corrisponde ad un processo di trasformazione progressiva che va dall’anelito di Pier Paolo bambino di diventare un poeta della stessa importanza di Petrarca (al quale il giovanissimo Pasolini si ispirava nei primi componimenti) al suo divenire una sorta di Popstar, il protagonista in prima persona di una infinita copertura mediatica, passando attraverso la sua produzione cinematografica che di fatto lo rese artefice, egli stesso, di molte delle figure della cultura popolare del tempo.
In estrema sintesi dalla rappresentazione del mondo attraverso il media poetico, al divenire oggetto stesso delle rappresentazioni del mondo.
Tutto ciò reso possibile anche da una presenza fisica che fra gli intellettuali del tempo era incomparabile della quale credo che Pasolini fosse ben conscio.
In tutto questo, però, ciò che mi interessava di più era l’idea che questo intellettuale, ponendo il proprio corpo in primo piano, operasse una rinuncia dolorosissima e tragica, frutto di una constatazione cocente, che era quella che la poesia, nella quale aveva creduto fino dalla più tenera età, avesse fallito il suo compito di essere il motore di un cambiamento sociale e civile.
Nell’intervista che Pasolini fa a Ezra Pound, a Venezia nel 1969, si avverte tutto il dramma di questa rinuncia proprio nel confronto fra le due posizioni sulla poesia stessa che, a mio modo di vedere, risultano implicite nel dialogo fra i due, apparentemente distantissimi (ma invece molto vicini su molti aspetti), protagonisti della cultura del ‘900.
Ecco che, quindi, il corpo di Pasolini si carica di un senso tragico che è quello del poeta a cui viene strappata la sua ragione di essere al mondo, la poesia, e in questo suo caricarsi di significati si dilata e si espande fino a riuscire ad occupare, con la sua rappresentazione scultorea, poco più grande del naturale, l’immensa aula delle Terme di Diocleziano o nella chiesa del Museo Nazionale di Palazzo Lanfranchi a Matera.

Nicola Verlato, Sprofondamento di P.P.P., 2015-2020, legno

Se PPP è il poeta del corpo, la tua scelta per un figurativo che emerge come mediazione e modellazione tra virtuale e reale trasmette una visione mutevole e instabile, quasi da tragedia antica. La pittura è dramma?
In realtà questa scelta di mediazione fra virtuale e reale che effettuo attraverso la pittura, ritengo sia l’essenza stessa della pittura e delle arti plastiche in generale. Tutta l’enfasi che oggi viene prodotta sulle nuove tecnologie del virtuale proviene dal fatto che alle consuete se ne aggiungono di nuove, ciò che invece non cambia per nulla è il loro essere immerse in un flusso temporale che le accomuna a tutte le altre tecniche che organizzano i dati collocati nel tempo: musica, danza, letteratura etc…
Le arti plastiche hanno sempre avuto il compito di comprimere nello spazio ciò che viene elaborato nel tempo, e questa trasformazione è il risultato ultimo di ogni processo di costruzione di narrative, le quali sono la spina dorsale di ogni civiltà.
In ogni cultura, a meno che non sia espressamente vietato (come nelle religioni abramitico-monoteiste escluso il cattolicesimo) ad un certo punto di sedimentazione di queste narrative avviene la trasformazione del tempo nello spazio: i dati più rilevanti del flusso temporale vengono compressi a tal punto che essi divengono oggetti capaci di occupare lo spazio reale. Questa operazione non è di poco conto, essa avviene secondo regole molto complesse che sono proprio quello che si deve considerare la “scienza” dell’arte.
Secondo questo punto di vista, quindi, la pittura, non è altro che una membrana collocata fra due mondi la cui superficie rivolta verso il riguardante, è il luogo dove le narrative lineari vengono trasformate e riorganizzate in dati spaziali. Il retro di quella membrana, invece, ci separa da quel flusso rendendoci capaci di distanziarci da esso e di poterlo quindi osservare.
È ovvio che civiltà tradizionalmente iconoclaste come quella anglosassone insistano così tanto sulla dematerializzazione dell’arte che sarebbe implicita nell’uso delle nuove tecnologie del virtuale, proprio perché la sparizione dell’opera d’arte dal mondo è, in fin dei conti, l’obbiettivo ultimo del loro progetto secolare. Visto invece dalla parte di una cultura profondamente iconofila, come la nostra, le nuove tecnologie del virtuale rappresentano un ulteriore livello di elaborazione del flusso temporale dal quale estrarre ulteriori immagini dipinte e scolpite, come io stesso ho sempre inteso fin da quando, agli inizi degli Anni ’90 del secolo scorso, ho iniziato a lavorare con programmi di modellazione 3D per strutturare alcuni aspetti del mio dipingere ricollegandomi direttamente alle esperienze di modellazione poligonale di Piero della Francesca e Paolo Uccello.
L’aspetto tragico e drammatico della mia pittura probabilmente sta tutto qui: nell’essere, il dipinto, teatro di una collisione metafisica, di un evento dove il tempo si trasforma e si cristallizza nello spazio.
È ovvio poi che a questo piano, per così dire metafisico, ne va affiancato uno di tipo esistenziale che riguarda la morte e l’obsolescenza. Molto spesso i miei quadri hanno a che fare con l’idea della morte e del passaggio da una dimensione all’altra.

Nicola Verlato, Ritratti, 2014-2022, gesso

“Il problema del futuro non è più individuale. Non ci sarà più traccia di cultura umanistica domani. E gli uomini non avranno più problemi di coscienza” scriveva Pasolini in Porcile. La pittura oggi si pone ancora problemi etici, morali, e di coscienza?
Pasolini, ad un certo punto della sua vita, ha configurato una visione estremamente pessimista del futuro dell’umanità ma, allo stesso modo, ha anche sempre mostrato che è nella lotta contro l’abbandono ad un destino segnato che sta il valore della cultura come testimonianza.
Solo una civiltà che si è abbandonata completamente alla tecnica e ai suoi scopi, può concepire l’arte come scevra di problematiche etiche e morali. In realtà l’arte è intrinsecamente etica e morale perché strutturalmente rappresenta l’unico baluardo in grado di resistere al dominio nichilista della tecnica, essendo, essa, l’unica tecnica capace di piegare la tecnica verso l’opposto dei suoi scopi.
L’arte è essenzialmente questo, è morale etica e coscienziale proprio perché la sua funzione precipua è di opporsi, di realizzare quei legami con il mondo. Le opere d’arte sono capaci di sconfiggere il tempo e di mostrarci la nostra origine comune contrapposta alla lacerazione individuale.
Ciò di cui parla Pasolini, secondo me, è proprio una descrizione di un mondo che ha perduto il senso della profonda necessità dell’arte come elemento di riequilibrio e resistenza.

Nicola Verlato, Assassinio di Pier Paolo Pasolini, 2022, olio su tela, 200×300 cm

Petrolio, ultimo romanzo dello scrittore, è la scoperta del nulla sociale. Tra i vari titoli dei capitoli leggiamo “Storia di un uomo e del suo corpo”. In un altro capitolo leggiamo “Il mio non è un racconto ma una parabola. Il senso di questa parabola è appunto il rapporto di un autore con la forma che egli crea”. Vi è l’ossessione della creazione e del rapporto tra individuo e potere. Come guardi, con la tua arte, a questa ossessione di identità e alla sua frantumazione?
È proprio la scoperta che fa Pasolini dell’abisso cui la civiltà della tecnica è votata, che fa in modo che egli veda nella creazione artistica, nella forma, l’unica via di salvezza.
La forma che l’arte riesce ad attuare nelle sue diverse discipline ( poesia, pittura scultura musica e architettura) è il solo principio di resistenza fattiva possibile alla dissoluzione.
Ma ovviamente non tutta l’arte è in grado di produrre questa resistenza: Pasolini era molto legato alla pittura figurativa e non aveva in nessuna simpatia l’astrazione del suo tempo, capiva bene che solamente l’arte figurativa era in grado di produrre quella coesione sociale che invece le avanguardie, al servizio della massificazione consumista, anche inconsciamente, disgregavano fino a disintegrare in un individualismo atomizzato.
Il suo dirsi un uomo del passato e un cultore della tradizione mostrava proprio la sua assoluta consapevolezza che solamente in un legame affettivo profondo con una identità culturale specifica come quella italiana si poteva trovare l’unica forza in grado di resistere al diluvio.
Oggi diventa sempre più necessario rimettere insieme i frammenti di un mondo disintegrato invertendo completamente la direzione di marcia imposta, senza alcuna nostalgia o ritorno al passato proprio perché si tratta di aderire ad un diverso presente che, in quanto tale, ci indica una prospettiva sempre disponibile in grado di rovesciare il senso della cultura egemone.

Nicola Verlato Hostia 2014-2022 olio su tela, 300×176 cm

 

Hostia. Pier Paolo Pasolini
a cura di Lorenzo Canova e Vittorio Sgarbi
prodotto e organizzato da Associazione MetaMorfosi in collaborazione con il Museo nazionale di Matera e il patrocinio della Regione Basilicata, del Comitato Nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini e della Quadriennale di Roma.

Fino all’8 gennaio 2023

Museo Nazionale di Matera
Palazzo Lanfranchi
Piazzetta G.Pascoli 1, Matera

Orario museo: dal lunedì alla domenica dalle 9:00 alle 20:00
Info: info: +39 0835 310058
www.museonazionaledimatera.it

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