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PERGOLA  (PU) | Museo dei Bronzi Dorati | 3 dicembre 2022 – 5 marzo 2023

Un dialogo, a più voci, tra artisti e curatore di Tommaso Evangelista

Nell’anno del centenario della nascita, quattro artisti rendono omaggio al grande intellettuale nella mostra Golpe. Io so. Dedicato a Pier Paolo Pasolini a cura di Massimo Mattioli. L’esposizione è allestita nei suggestivi spazi del Museo dei Bronzi Dorati di Pergola, nel trecentesco ex-convento di San Giacomo, e prosegue l’esposizione alla Galleria Zamagni di Rimini, inaugurata in occasione della 18. Giornata del Contemporaneo promossa da AMACI. A proporre nuovi sguardi sul poeta e sulla sua opera sono gli artisti Elena Bellantoni, Davide Dormino, Rocco Dubbini, Giovanni Gaggia che qui abbiamo intervistato insieme al curatore. Un uomo dal pensiero corsaro, Pasolini, che ha visto in questi mesi la sua arte e la sua personalità celebrate attraverso mostre ed eventi in tutta Italia. Quello che resta è un campo ancora da esplorare nella sua complessità per l’influenza avuta dal suo approccio libertario ed emancipato sulle generazioni di artisti e intellettuali che di questo si sono nutriti. È questo ciò cui si propone di dare un contributo la mostra, che individua decisivi segnali nell’opera di quattro artisti italiani attivi su diversi media espressivi.

GOLPE installation view Galleria Zamagni ph Alessandro Giampaoli

Come nasce l’idea e il concept della mostra e che scopo si prefigge di raggiungere dato che non è la classica mostra a tema ma si percepisce che vuol trasmettere qualcosa di più, oltre i singoli messaggi delle opere?
Giovanni Gaggia:
Il confronto tra me e Rocco Dubbini è di vecchia data, nel 2015 ideammo a quarantanni dalla scomparsa di Pier Paolo Pasolini il progetto IoSo (https://www.espoarte.net/arte/ioso-in-viaggio-per-pasolini/) . Voleva essere una collettiva itinerante e rimodulabile intorno alla figura del grande intellettuale. Un percorso della memoria che iniziò a Matelica (MC), paese marchigiano da cui partì l’avventura imprenditoriale del fondatore dell’ENI, Enrico Mattei. Quest’anno in occasione del centenario dalla nascita abbiamo deciso di riprendere loSo e ampliare lo studio dell’articolo apparso sul Corriere della Sera il 14 novembre 1974 sulla quale si basa: Che Cosa è questo golpe? Io so. L’analisi porta alla nascita del primo lavoro firmato a quattro mani: GOLPE. L’opera è il titolo stesso della mostra e dà il via ad una nuova entità artistica Gaggia-Dubbini che vuole mettere in atto una cesura rispetto ai canoni autoriali di tipo occidentale, mirando al cuore della questione politica e ontologica dell’arte.
GOLPE traccia la parola libertà ed analizza come l’opera di Pier Paolo Pasolini abbia segnato il nostro percorso di artisti. Il 5 novembre sulle pagine dell’inserto Alias de “Il manifesto” in un importante articolo di Aldo Colonna “Pasolini caso aperto – La ricostruzione, troppi depistaggi zone d’ombra, coincidenze, a 47 anni dall’assassinio”. Le immagini che accompagnano l’articolo sono le opere della mostra GOLPE. Le parole di peso ci hanno spinto a far sì che la mostra non terminasse, e che proseguisse il suo compito, ossia generare dibattito e il 3 dicembre a poco meno di un mese abbiamo inaugurato nella prestigiosa sede del Museo dei Bronzi Dorati e della città di Pergola. Nel trecentesco ex-convento di San Giacomo, GOLPE si articola e si incastra con le quattro sezioni che costituiscono il polo museale, in una sorta di doppio percorso circolare e concentrico.

1998, Giovanni Gaggia, particolare dell’opera courtesy Gianluca Terenzi

Il bisogno materno di Pasolini, che lui guarda come infelicità e innocenza della consolazione, è uno dei topoi principali dello scrittore: “dannata alla solitudine la vita che mi hai data”. Quando questa solitudine è catarsi e quando è tradimento, e come tutto ciò influisce sulla tua opera?
Rocco Dubbini: Nel mistero della caduta dell’uomo ritrovo Pasolini compagno di viaggio, solo, abbandonato a se stesso, martoriato a via dell’idroscalo di Ostia. Da bambino, una mattina di novembre del 1975, quella scena entrò a far parte del mio immaginario. La notizia della tragedia colse impreparata la mia famiglia. In casa, di quel martirio, non se ne sapeva parlare. Per i proletari di sinistra quell’assassinio era maturato in ambienti torbidi e pieni di contraddizioni. L’immagine di quel corpo mi ha accompagnato per anni fino a quando non ho incontrato il cinema di Pasolini e poi la poesia.
Ho iniziato a lavorare sull’immagine del poeta nella prima metà degli Anni Novanta del secolo scorso realizzando una scultura che ritraeva il corpo di Pasolini straziato dall’automobile che lo aveva investito ripetutamente, sfigurato e ucciso. Avevo prodotto la scultura a misura reale assemblando pezzi di copertone di auto. La sagoma nera era stata concettualmente composta con il materiale dello scarto della società dello sviluppo, lo pneumatico. Le ruote che lo avevano schiacciato, ucciso e deturpato la notte del 2 novembre del 1975. Questo primo progetto, negli anni, mi ha condotto più volte a via dell’Idroscalo, verso la frequentazione di questo luogo reso sacro dal sacrificio del poeta.
Devo molto al sacro con cui Pasolini ha sublimato le cose del mondo, attraverso lo stupore che si rinnova ogni giorno, in ogni manifestazione terrena. Un atteggiamento che ha permeato il tessuto e la prassi con cui costruisco i miei progetti, mediante la ricerca della verità. Incontri, spostamenti, conoscenze, ricerca, indagine, decostruzione, solitudine come godimento, esperienze artistica sull’orlo del fallimento, portata al limite della sopportazione fino alla liberazione di un significato che diventi prova e sostanza generativa. “Bisogna essere molto forti per amare la solitudine; bisogna avere buone gambe e resistenza fuori dal comune; non si deve rischiare raffreddore, influenza e mal di gola…”, scrive il poeta (La solitudine, tratta da Trasumanar e organizzar 1971). Nel 2011 sono tornato a via dell’Idroscalo per la realizzazione del progetto MANTRA. Con me la poesia “Supplica a mia madre”. Il capolavoro pasoliniano si sarebbe manifestato in quel luogo attraverso una frase universale: MAMMAMIA. Avrei scritto il Mantra in modo circolare scavando le lettere dalla terra dove era stato rinvenuto il cadavere del poeta. Il gesto ha significato un ritorno alla MADRE-TERRA, all’origine di tutte le cose Sacre. Dalla terra come madre sarebbe scaturita un’implorazione, MAMMAMIA, come tempo innocente dell’origine. Poi, leggendo in rotazione un’invocazione che avrebbe cercato conferma nel possesso, MIAMAMMA. Infine, letta al contrario la negazione, attraverso il rifiuto per una vita di sofferenza, l’inspiegabile esperienza nella miseria umana: MAMMAMAI.

Rocco Dubbini, MANTRA

Rievocare l’ultima notte di Pasolini significa rievocare un abisso nel quale si fondono insieme pulsione di morte, sublimazione dell’attimo e disperata vitalità. Può sembrare una catarsi ma è l’ultimo atto della sua libertà. Come l’opera di denuncia può essere libera?
Davide Dormino:
La verità rende liberi. E quando denunci stai portando a galla un inganno, un’ingiustizia, che chiede verità. Denunciare è un atto di coraggio.
Chi denuncia abbatte il muro dell’omertà e del far finta di niente, sapendo che ci sarebbero tanti motivi per non farlo: il giudizio e gli inganni sociali.
L’opera di denuncia è libera se chi denuncia sente l’esigenza impellente di farlo.
Chi si espone, si mette sempre in una posizione scomoda, sapendo che il disagio che ne consegue isola. Denunciare ci rende liberi, perché è solo superando la paura che riusciamo ad esprimere noi stessi. Credo che ogni opera sia un atto di libertà per il suo autore.
Il compito dell’arte oltre a raccogliere lo spirito del tempo e renderlo visibile, è quello di far luce su alcuni fenomeni della nostra contemporaneità, che senza le pratiche artistiche rischierebbero di rimanere nascosti. Di recente, ho scritto: “Porre domande, fare informazione, evidenziare contraddizioni per stimolare il pensiero critico. Questo è il lavoro del giornalismo”.
Se ci pensiamo il lavoro dell’artista, non è cosi distante, l’unica differenza, oltre all’informare è che gli artisti usano il loro immaginario per attuare questo processo.

Davide Dormino, Le sedie del Biondo Tevere, 2013, Sedie e ferro ph Alessandro Giampaoli

Zigaina parlava di programmazione della morte per Pasolini, un “martirio per autodecisione” come fosse la creazione dell’estrema performance. Come è stato identificarsi con lo scrittore e come ha comportato dal punto di vista fisico e creativo?
Elena Bellantoni:
L’idea del lavoro è stata quella di creare un salto temporale, nelle mie sembianze femminili/maschili riaprire un dialogo. Il dialogo in realtà è a tre: sono io che mi metto i panni di PPP. Perché andare in visita a Pasolini che va a trovare Gramsci? Perché proprio oggi?
Il corpo re-agisce, mette in scena un corto circuito che non è solamente emotivo ma anche concettuale. L’identificazione è un tentativo: decido di tagliarmi i capelli, di trovare un trench burberry originale bianco ghiaccio con martingala, studio posizioni e atteggiamento corporeo, rileggo attentamente la raccolta di poesie Le ceneri di Gramsci del 1957. La foto non sarà, però, mai uguale a quella originale scattata da Paolo di Paolo al cimitero acattolico di Roma con Pasolini di fronte alla tomba di Gramsci. L’albero che fa da quinta non c’è più, la siepe è stata tagliata e l’inquadratura risulta necessariamente diversa, quindi, quello che resta è la mia intenzione di ri-scrittura. Oggi ho cercato una prossimità, un incontro, un colloquio immaginario, ho cercato conforto a questa mancanza lunga quarantasette anni.
La mia presenza fisica rievoca un’assenza, una “nostalgia”, che si fa evidente pensando al presente in cui siamo caduti negli ultimi anni e, al di fuori di ogni retorica, cerco di capire il ruolo dell’intellettuale oggi. Il poeta si trova davanti alla tomba di Antonio Gramsci e dialoga con le sue spoglie, descrivendo un maggio autunnale, che sembra rappresentare “il grigiore del mondo, | la fine del decennio in cui ci appare | tra le macerie finito il profondo | e ingenuo sforzo di rifare la vita”. Così io interrogo entrambi, mentre uno delinea l’ideale che “illumina” il silenzio del presente, l’altro osserva la nuova società nascente o morente dall’ora di cui oggi siamo nostro malgrado eredi. Scrive Pasolini: “Ma io, con il cuore cosciente | di chi soltanto nella storia ha vita, | potrò mai più con pura passione operare, | se so che la nostra storia è finita?”.

Elena Bellantoni, Le ceneri di Gramsci

“La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita” aveva detto Pasolini nella sua ultima intervista, annunciando anche “siamo tutti in pericolo”. Il potere è la tragedia più grande in quanto veicolo di omologazione. Come può l’arte, essa stessa oggi un potere, comunicare il dramma del presente?
Massimo Mattioli:
Accostare nella stessa frase “arte” e “comunicazione” crea il più stridente degli ossimori. Il luogo dell’arte è l’evocazione, la comunicazione è piuttosto la sua negazione. Purtroppo sempre più decretata, visto il perdurare della cattivissima lezione di Joseph Beuys. Pasolini era intrinsecamente ed eminentemente un artista, e nella sua lezione il potere dell’arte è quello incomprimibile di risvegliare le coscienze, di regalare esempi necessari a leggerlo, il presente. Giammai a raccontarlo. Opere come “Che cosa sono le nuvole?” sublimano la realtà, piuttosto che indugiarvi. E infatti fra le molte ragioni che hanno fatto di PPP un personaggio “contro” c’è la sua siderale lontananza dal Neorealismo.

 

Golpe. Io so. Dedicato a Pier Paolo Pasolini
Un progetto di Giovanni Gaggia e Rocco Dubbini a cura di Massimo Mattioli

3 dicembre 2022 – 5 marzo 2023

Museo dei Bronzi Dorati
Ex-convento di San Giacomo
Largo San Giacomo 1, Pergola (PU)

Orario – 10-12.30, 15.30-18.30 (lunedì chiuso)

Info: +39 0721734090
museo.bronzidorati@libero.it
http://www.bronzidorati.com/

Ufficio Cultura Comune di Pergola
+39 07217373274
culturaturismo@comune.pergola.pu.it

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