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Guglielmo Castelli. Una danza classica su un tappeto di noci

Intervista a GUGLIELMO CASTELLI di Francesca Di Giorgio*

Quando accordiamo l’intervista, Guglielmo Castelli è in partenza per la Francia dove sta per aprire Intrigantes Incertitudes, una collettiva, ricognizione sul disegno contemporaneo. Al Musée d’Art Moderne et Contemporain de Saint-Étienne espone accanto ad artisti del calibro di Günter Brus, Gianni Dessì, Jim Dine, Jan Fabre, Andreï Molodkin, Hermann Nitsch, Dennis Oppenheim, Kiki Smith, solo per citarne alcuni.
Anagraficamente è indubbiamente un “giovane” (sempre che abbia un qualche valore di merito) ma ha alle spalle almeno quindici anni di esperienza.
Non è la prima volta (e nemmeno l’ultima) che si confronta con artisti che hanno fatto la storia dell’arte e con i grandi della letteratura internazionale e anche per questo, forse, che Forbes ha recentemente scritto il suo nome nella lista dei 30 creativi under 30 più influenti d’Europa?
La sua capacità di muoversi dall’editoria per l’infanzia, quando aveva solo 15 anni, al mondo della moda fino a quello che è diventato il “suo mondo”, l’arte contemporanea, ha tracciato l’unica via possibile anche perché come ci ha rivelato: «Non ho un piano B e, come dice il poeta torinese Guido Catalano, esiste solo il piano A che è l’arte».

Guglielmo Castelli, Carbone, 2016, pastelli ad olio e cera su carta, cm 21x29,7. Courtesy: Francesca Antonini Arte Contemporanea

Guglielmo Castelli, Carbone, 2016, pastelli ad olio e cera su carta, cm 21×29,7. Courtesy: Francesca Antonini Arte Contemporanea

Tempo fa mi raccontavi: «A ventidue anni l’immersione nel mondo è totale ma lo sguardo incompiuto». Sei sempre alla ricerca di uno spazio “via dalla pazza folla”?
Sono passati sei anni da quelle parole e mai come adesso le comprendo e ne ricerco sempre più profondità. L’attenzione al secondo piano prospettico delle cose, quelle che sono sfocate, apparentemente di poca importanza. Accennate per natura non comprese per necessità.
Affrontare con predisposizione la melanconia ed ergerla a modalità di ricerca estetica e creativa è stato un passo necessario per il mio percorso artistico.
Con il superamento del venticinquesimo anno comprendi che lo spirito da supereroe viene sostituito da slanci più calmierati, più in sintonia con quello che è la propria storia. I condizionamenti sono meno veloci, e le soluzioni vengono trovate nell’attesa.
L’impossibilità della comprensione della totalità delle cose diviene scelta e necessità.

Cos’è successo a linee, forme e colori?
Ho ricondotto a me una forma di silenzio curato, la mia mano sinistra delinea linee più liquide sulla tela e sul foglio, ma pur essendo meno definite rispetto a qualche anno fa, son più coraggiose, piene di futuro.
Jun’ichirō Tanizaki definisce i grandi artisti come «Coloro che agli inutili sfoggi di perizia prediligono l’operoso riserbo con cui coltivano la propria arte e ne accrescono il valore».
Ho compreso che colore su colore, velature su velature si crea una forma, che l’apparato estetico preventivamente definito non ha lo stesso peso di quello creato asciugatura dopo asciugatura. Anche il tempo, per l’appunto, viene rideterminato in questo nuovo processo tecnico. Pascal scriveva «Noi non cerchiamo mai le cose, ma la ricerca delle cose, non viviamo mai nel presente, ma in attesa del futuro».

Guglielmo Castelli, La valutazione sui futuri vuoti piuttosto che gli attuali pieni, 2016, olio su tela, cm 30x25. Courtesy: Francesca Antonini Arte Contemporanea

Guglielmo Castelli, La valutazione sui futuri vuoti piuttosto che gli attuali pieni, 2016, olio su tela, cm 30×25. Courtesy: Francesca Antonini Arte Contemporanea

La dimensione narrativa – penso anche ai titoli delle tue opere – è una delle componenti del tuo lavoro…
Spesso ho il sentore dell’inadeguatezza dell’uso superficiale delle parole. Per convenzione, per utilità o per effimera difesa. Così mi avvicino alle parole sicuramente più accreditate delle mie, lasciandomi trasportare si delineano nuovi scenari, potenze visive incredibili. Spesso, ma non sempre, la parola continua a darmi il dono della scoperta visiva. Ho segnalibri nell’ultimo libro di Marías Così ha inizio il male, un saggio su Edvard Munch e la traduzione di Salvatore Quasimodo dei Lirici Greci… Ho anche un libro di fotografie su Rei Kawakubo. Sto scoprendo, inoltre, l’ebbrezza di stimoli anche nel catalogo Ikea… Stupor mundi.

Ti capita di guardare ai tuoi “personaggi” dipinti e disegnati oggi e riconoscere ancora qualcosa di quelli di ieri?
Per formazione familiare ho imparato a ricordare sempre da dove arrivo, il punto di partenza. Crescendo ho imparato a lasciar andare le cose, anche i miei personaggi.
Il “punto di fine” nella mia pittura sta proprio nel fatto di sapere quando ho dipinto a “sufficienza” per far sì che i miei personaggi si difendano da soli, che siano in grado di cadere da soli. Li riguardo con occhi diversi, ma con lo stesso spirito di appartenenza.

Guglielmo Castelli, Rebel, Rebel, 2016, olio su tela, cm 30x25. Courtesy: Francesca Antonini Arte Contemporanea

Guglielmo Castelli, Rebel, Rebel, 2016, olio su tela, cm 30×25. Courtesy: Francesca Antonini Arte Contemporanea

Il tuo modo di dipingere e disegnare ha un carattere molto riconoscibile. Intravedi fasi all’interno della tua ricerca?
L’impegno in questi anni si è concentrato su vari aspetti: quello tecnico, passando per esempio dall’acrilico all’olio; quello contenutistico, cercando di ampliare movimenti e legarli di più a ciò che poteva concernere lati psicologici. Parallelamente a questo ho tentato di coniugare forme e colori che avrebbero dato una riconoscibilità estetica, ma anche una percezione di atmosfere.
La prima fase era, per così dire, rigida con accenni di instabilità, ora sono in una fase transitiva, di cui ammetto non ne conosco la durata, dove mi diverto a sperimentare con i soliti toni e le solite proporzioni, porzioni di spazi ancora inesplorati. Insomma, una danza classica su un tappeto di noci.

Senti sempre il bisogno di trovare un dialogo tra la bidimensionalità di ciò che dipingi e la scultura?
Ho provato, durante la mia residenza al Macro di Roma (nel 2014, ndr) ad approcciarmi alla scultura. La sentivo come un passo da fare ma, come capita spesso, non ne sono rimasto soddisfatto. La bellezza e la potenza della pittura sta proprio in quel preciso momento subito prima di esplodere in qualcos’altro. Non è così scontato trovare lo stesso livello di intensità tra la dimensione del foglio o della tela e lo spazio della scultura. Nel mio caso, la risultanza scultorea era troppo esteticamente definita e poco “soffusa”. Appartengo ai pennelli non alla resina, almeno per il momento.

Guglielmo Castelli, Acetilcolina, 2016, olio su tela, ø cm 50. Courtesy: Francesca Antonini Arte Contemporanea

Guglielmo Castelli, Acetilcolina, 2016, olio su tela, ø cm 50. Courtesy: Francesca Antonini Arte Contemporanea

Dall’avere forma all’essere forma. Si avverte una tensione nelle figure e nei paesaggi che dipingi…
È difficilissimo rappresentare quella tensione, perché è un vero e proprio personaggio invisibile, ma ben presente nei miei lavori. Un fuori scena, un fuori campo dai monologhi importanti. È un rapporto di equilibri precisi che crea, fra i vari elementi, dei legami successivi. Lo studio della composizione sulle mie tele è forse la cosa più complessa, ma cambiando e spostando gli elementi si riescono a creare dei vuoti che creano degli spazi mentali che, per necessità, si vanno a riempire.
È il flusso della narrazione, che mi interessa. Un paesaggio dal treno è una commistione di luce e spostamento, lo andiamo a “completare” con l’esperienza visiva e con il ricordo. Nel mio lavoro è quella precisa esperienza “riempitiva” che mi interessa.

Sbaglio o la sintesi dei corpi che dipingi è sempre meno riconducibile ad una natura univoca? A cosa si deve lo sconfinamento in altri “regni”: animale o vegetale?
L’antropomorfismo delle mie figure umane è accresciuto negli ultimi due anni.
Tonalità più fangose, proporzioni anatomiche volutamente sbagliate mi hanno dato la possibilità di scovare rapporti estetici nuovi.
Mi è sempre interessata una catalogazione tassonomica non definita.
Spesso l’incertezza, che ci coglie di sorpresa, ci pone, anche fisicamente, in posture e in atteggiamenti molto più “animaleschi” di quanto crediamo.
«Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri».

Guglielmo Castelli, Giudicami ma non tollerarmi, 2015, olio e cera su tela, cm 30x24. Courtesy: Francesca Antonini Arte Contemporanea

Guglielmo Castelli, Giudicami ma non tollerarmi, 2015, olio e cera su tela, cm 30×24. Courtesy: Francesca Antonini Arte Contemporanea

Non meno importanti delle persone: gli oggetti, che sembrano rivendicare un ruolo indipendente… È così?
L’oggetto è per me feticcio indispensabile per la riuscita finale dell’opera. Sono piccole costellazioni di elementi apparentemente distanti e di poca importanza.
Gli oggetti che inserisco all’interno delle mie rappresentazioni hanno tendenzialmente duplice valore. Uno di “intrusione statica”, paiono come ostacoli alla fluidità e al movimento della figura rappresentata, dall’altro lato, però, accrescono in qualche modo quel senso di attesa e di “necessità riempitiva”, di significato. Sono sì ostacoli, ma come ogni ostacolo ci si può fermare e farci riprendere fiato. Per cui il risultato finale è una scenografia di vari elementi che dialogano, si distaccano per poi riunirsi. Nelle ultime tele dei diapason sono diventati stampelle, alla ricerca dell’accordo perfetto…

Hai mai pensato di “animare” i tuoi lavori?
Una sola volta ho provato a creare in stop-motion una breve storia…
Credo, ad oggi, che perderei probabilmente quell’instabilità quella melanconia tipica delle cose “non finite”. L’idea di delineare dei movimenti finiti per necessità comprensiva non mi interessa. La mia “animazione” sta nell’attimo prima o quello subito dopo.

Guglielmo Castelli. Foto: Chiara Esposito

Guglielmo Castelli. Foto: Chiara Esposito

Ti stai preparando ad un “dialogo” importante. Ci parli di Cadavre Exquis?
Fin da piccolo sapevo di un’artista con una grande treccia color gesso e maglioni neri che viveva a Torino come me e aveva un bel nome. Carol Rama.
L’approccio alle sue opere è sempre stato in punta di piedi, un po’ per timore nei confronti di un talento così grande, un po’ perché Torino è una città che ti forma alla moderazione di entusiasmi. A maggio durante Amsterdam Art Fair, con la galleria Ron Lang Art verrà esposta un’opera inedita di Carol da una collezione privata. Con Lei dialogheranno alcune mie opere su carta e su tela create ad hoc per questo progetto.
Cadavre Exquis è nato insieme ad Olga Gambari che curerà l’intero progetto.
Abbiamo trasposto il gioco surrealista al mio approccio con il lavoro di Carol, una sorta di “eredità” visiva e di stimoli a distanza di anni. Le pieghe del foglio come le pieghe del tempo. Colgo anche l’occasione per ringraziare l’Archivio Carol Rama e la galleria Isabella Bortolozzi. È una grande responsabilità, ma sono onorato che mi sia stata data questa possibilità!

*Intervista tratta dal #92 di Espoarte.

Eventi:

Intrigantes Incertitudes
a cura di Lóránd Hegyi
Musée d’Art Moderne et Contemporain de Saint-Étienne Métropole
La Terrasse – CS 10241 – 42 006 Saint-Étienne
5 marzo –  5 giugno 2016
www.mam-st-etienne.fr

Cadavre Exquis. Guglielmo Castelli. Omaggio a Carol Rama
a cura di Olga Gambari
Amsterdam Art Fair
Ron Lang Art, Amsterdam
25 – 29 maggio 2016
www.amsterdamartfair.nl

Scope Basel Art fair
Francesca Antonini arte contemporanea, Roma
14 – 19 giugno 2016
scope-art.com

Info: www.guglielmocastelli.com
www.francescaantonini.it
www.ronlangart.com

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