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NÎMES | CARRÉ D’ART, MUSÉE D’ART CONTEMPORAIN | FINO AL 4 OTTOBRE 2020

Intervista ad ETTORE FAVINI di Chiara Serri

Ci sono tanti modi e tanti punti di vista da cui partire per raccontare una storia. In questo caso, la storia di un mare – il Mediterraneoaffollato crocevia di popoli, culture e tradizioni. Il protagonista della mostra Au Revoir è, infatti, il jeans, un tessuto di cotone dalle origini antichissime, che Ettore Favini ha trasformato in opera d’arte. Lavori che nascono da laboratori partecipati, da pezze e da racconti donati, da carte geografiche di paesi a volte solo immaginati. Un progetto itinerante con il quale l’artista vorrebbe toccare tutte le coste e tutti i Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum, alla ricerca di quell’identità mediterranea originata nei secoli da scambi commerciali, battaglie e migrazioni, “senza la quale – sottolinea Favini – saremmo tutti più poveri”.

Ettore Favini, Au Revoir, veduta della mostra, Nîmes, 2020. Ph. Ettore Favini

Cosa ti ha affascinato in particolare del jeans e della sua storia?
Le storie sono come gli incontri, spesso avvengono per caso. Nel 2015 ho visitato il Museo Diocesano di Genova e ho visto per la prima volta i quattordici teli blu raffiguranti la Passione di Cristo. Queste tele, realizzate in jeans, sono state decorate a partire da rappresentazioni colte provenienti dalle incisioni di Dürer, che sono giunte a noi in maniera quasi del tutto casuale, in quanto originariamente erano allestimenti effimeri per la Settimana Santa, destinati quindi alla distruzione. Ho perciò cominciato a cercare indizi e notizie circa la “tela di Genova”, attraverso la lettura di libri e bibliografie. Andando a ritroso nel tempo, ho trovato un punto di partenza nel fustagno: il termine sembra infatti derivare (anche se non tutti gli storici sono d’accordo) da Al-Fustat, attualmente un sobborgo del Cairo, dove pare che abbia avuto origine la produzione di questo genere di tessuto. La tela era composta da lino egiziano per l’ordito e cotone siriano-palestinese per la trama. Successivamente l’Egitto è diventato lo snodo mercantile per il cotone diretto nel nord del Mediterraneo e per le stoffe indirizzate all’India e all’Oriente.

Ettore Favini, Mer de plusieurs noms, 2019, ricamo su denim, 180x270x30 cm. Ph. Max Monnecchi.

Recuperare la tessitura significa anche recuperare una delle più antiche tradizioni artigianali del Mediterraneo, cui si lega un ricchissimo patrimonio di storie e memorie, stratificate nel tempo. Come si è sviluppato il progetto e come lo hai reso un laboratorio partecipato?
Il tessuto è per me metafora della vita: l’ordito ne rappresenta la lunghezza, mentre la trama sta a simboleggiare le storie che decretano l’andamento del racconto. Il mio lavoro spesso è partecipato: la collaborazione con artigiani ne determina il risultato finale e lo arricchisce di contenuti. Già nella mostra Arrivederci (MAN, Nuoro; Villa Croce, Genova) avevo collaborato con tessitori, stilisti e semplici appassionati, amici e conoscenti che mi avevano fatto dono di storie e ritagli di tessuto, contribuendo così alla realizzazione di un ritratto corale dell’isola. Dopo questa esperienza ho così deciso di continuare, anche in questa mostra, sulla linea del lavoro partecipato: ho perciò optato per il coinvolgimento di un gruppo di tessitrici egiziane per la realizzazione di tessuti e ricami che sarebbero poi diventati i pezzi presentati nella mostra di Nîmes. Insieme a Connecting Cultures, promotore del progetto, abbiamo contattato prima le donne che hanno lavorato alla Fondazione per il Tessile di Chieri e, successivamente, organizzato al Museo del Novecento di Milano una giornata in cui membri delle comunità egiziane a Milano potessero raccontarmi le storie legate ai tessuti donati, che sono poi andati a comporre la grande vela Latina, attualmente esposta al Museo francese. La partecipazione attiva di queste persone è stata un grande arricchimento sia per il progetto che per l’opera finale. Gli incontri a Chieri sono stati importanti anche per le persone coinvolte che, con l’aiuto dei volontari, hanno appreso l’arte della tessitura su telai orizzontali del cinque-seicento.

Le maestranze volontarie del Museo del tessile di Chieri con le artigiane tessili al lavoro con i telai antichi. Ph. Max Monnecchi.

Dopo le prime mostre al MAN di Nuoro e a Villa Croce di Genova, grazie a Connecting Cultures e al sostegno dell’Italian Council, il progetto ha allargato i propri orizzonti ed è giunto in Francia con una mostra che comprende opere di diverse tipologie ed una grande installazione…
La mostra ci racconta la difficoltà di rappresentare il Mediterraneo, un mare che da sempre è crocevia di scambi commerciali, teatro di battaglie ma anche e soprattutto di spostamenti di persone che hanno “meticciato” la nostra cultura. Senza tutti questi scambi oggi saremmo tutti più poveri. La mostra si apre con un pezzo dal titolo Mer de plusieurs noms: un grande telo di jeans, un drappo ricamato con il profilo di sedici mappe che si stratificano una sopra l’altra a creare un intricato disegno di linee, che sono di fatto tutta la storia cartografica del Mar Mediterraneo. Sette imbarcazioni in bronzo sono applicate a parete e navigano sulle onde blu che ho dipinto direttamente sul muro. Queste navi ci conducono di sala in sala, facendoci incontrare le altre opere. Su una panca in metallo, simile a quelle presenti sulle navi da crociera, è appoggiata una pezza di fustagno blu, realizzata in bronzo: un tessuto bloccato per sempre nel metallo. Le sedici mappe si dispiegano poi a parete, mostrandosi finalmente dalla più antica (la mappa di Anassimandro) fino alla mappatura più recente di Google Maps. Sopra i teli realizzati a mano a Chieri sono intervenuto con la cianografia, tingendoli di blu e invertendo il mare con la terra; le sagome del Mediterraneo diventano così delle isole che galleggiano nel blu del mare e del jeans. Nella stessa sala, si trova la scultura più grande, la sagoma del Mare Nostrum in cui le onde bidimensionali, prese dalle rappresentazioni cartografiche, diventano plastiche, agitandone la superficie. Nella sala successiva troviamo un’altra panca da nave su cui è appoggiato un paio di blue jeans in bronzo, da cui possiamo vedere l’ultima imbarcazione, un piccolo gommone anch’esso in bronzo, affondato in una tinozza piena d’acqua. A parete, un telo di jeans con i confini delle acque territoriali statali che confondono la geografia mediterranea. L’ultima sala ospita la grande vela Latina realizzata con i tessuti donati dalle comunità egiziane e una serie di fotografie dedicate a Nîmes e alla sua storia.

Ettore Favini, Au Revoir, veduta della mostra, Nîmes, 2020.

In mostra son presenti diverse mappe, parte del ciclo di opere intitolato Mer fermée. Mappe ribaltate, in cui l’attenzione non è rivolta alla terra, ma al mare. La carta geografica, generalmente riconosciuta come documento storico e geografico, qui assume altri significati…
Le mappe contengono dati geografici e storici, ma le loro storie spesso ci dicono il contrario… La più curiosa è quella di Fra Mauro, realizzata alla metà del XV secolo. Essa costituisce un esempio di mappa precisa e dettagliata del mondo conosciuto prima della scoperta delle Americhe. Ad impreziosire il lavoro dell’autore è il fatto ch’egli non si mosse mai da Venezia e tutta la realizzazione fu basata su fonti antiche o suoi racconti dei viaggiatori al loro rientro nella Serenissima. Una mappa quindi può diventare anche un modo per immaginare il mondo o per costruirlo. Nel mio caso, il mare di sfondo è stato realizzato fotografando pezzi di jeans che modellavo per creare dei panneggi simili a onde, aggiungendo poi elementi estratti da mappe, come navi, mostri marini, venti, scritte e il mare di terra per stimolare lo spettatore.

Ettore Favini, Au revoir, bronzo, vernice murale. Carré d’art Nimes, 2020

Dopo la mostra di Nîmes, quali saranno le successive tappe del progetto?
Il progetto vuole toccare nel suo sviluppo tutte le coste e tutti i Paesi che si affacciano sul nostro mare. Siamo già stati in Marocco, Albania, Francia ed Egitto, ma mi piacerebbe ripartire da Venezia per andare verso la Turchia e toccare il tema della cultura ottomana ed ebraica, attraverso il racconto metaforico del velluto con tutto il carico di storie che si porta appresso.

La mostra è accompagnata da un volume che raccoglie testimonianze di studiosi, curatori, geografi, botanici, specialisti di diritti umani, direttori di museo e migranti, quasi un ritratto corale del Grande Mare e delle sue popolazioni. Cosa auspichi per il futuro?
Il libro è un momento fondamentale per condensare tutto il lavoro, offrendo nuove aperture, uno strumento utile per capire il processo creativo dell’opera, ma anche un’occasione per approfondire tematiche importanti attraverso le voci di specialisti di settori diversi. Au Revoir cerca un’identità mediterranea attraverso il racconto delle sue rive, delle rivendicazioni territoriali, della flora e della fauna che, ibridandosi così come le persone, creano meraviglie, ma anche delle contraddizioni che su questo mare sono oggi più presenti che mai. Abbiamo visto durante il lockdown come diverse specie abbiano ripreso a popolarlo, ma le tragiche immagini di gommoni affondati e delle coste invase da mascherine e guanti monouso purtroppo non ci fanno ben sperare. Il futuro di questo mare non è roseo né a livello politico né a livello ecologico. Il futuro dipende dalle scelte che operiamo oggi e dall’effettiva volontà di cambiare.

Ettore Favini, Ph. U. Ammiraglia

Ettore Favini. Au Revoir
a cura di Roberta Garieri

Mostra promossa da Connecting Cultures
Con il sostegno dell’Italian Council

Carré d’Art, Musée d’art contemporain, Nîmes
Fino al 4 ottobre 2020

Info: +39 02 36755362
www.connectingcultures.it

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