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BOLOGNA | Spazio Testoni | 13 aprile – 22 giugno 2019

Intervista a ESTER GROSSI di Matteo Galbiati

In occasione di una nostra recente visita a Bologna, Paola Veronesi, direttrice e anima di Spazio Testoni, oltre ad averci ospitato nel suo spazio con la consueta cordialità ed averci introdotto e illustrato con grande passione la mostra personale di Ester Grossi intitolata Essenziale, ci ha regalato la piacevole sorpresa di un incontro con la stessa artista, momento che abbiamo sfruttato per questa breve intervista davanti alle sue opere:

Ester Grossi, Black Out 2, 2018, acrilico su tela, 120×100 cm Courtesy Spazio Testoni, Bologna Foto Giulia Mazza

Come è nata questa tua mostra personale? Di quali opere si compone?
La mostra è nata su invito di Paola Veronesi, la titolare della galleria Spazio Testoni, con cui collaboro da diversi anni. L’idea era quella di creare un piccolo percorso, nelle varie stanze della galleria, inerente gli ultimi anni della mia ricerca pittorica, dal 2016 al 2019. Quindi, cronologicamente parlando, include alcuni miei precedenti studi di wall painting, un progetto realizzato a New York durante un periodo di residenza e gli ultimi ritratti riguardanti anche il tema della maschera. Il comune denominatore di tutti i lavori, al di là degli specifici progetti, è lo studio di un linguaggio minimale incentrato su disegno e colore.

Trovo, infatti, molto significativa la grande installazione della seconda sala, da cosa deriva? Sembra un trasferimento su scala ambientale del tuo linguaggio pittorico, ma…
La seconda stanza è dedicata ad una ricerca realizzata a New York tra dicembre 2017 e gennaio 2018, mesi trascorsi in una residenza artistica a Brooklyn. Si tratta di un lavoro sul paesaggio portuale di Red Hook, uno dei quartieri più suggestivi della Grande Mela, per la sua storia passata ed attuale. Da porto di New York, è divenuto, una volta dismesso intorno agli anni ’50, un quartiere problematico e successivamente, ambiente ideale per gli studi d’artista. L’aspetto più affascinante è sicuramente il paesaggio industriale che lo contraddistingue e la fatiscenza di alcune architetture storiche del vecchio porto. Si tratta della location dove in parte hanno girato il cult movie di Elia Kasan Fronte del Porto, con l’iconico Marlon Bando. Ho cercato di riportare su tela il senso di evanescenza di quel paesaggio. Ho avuto la possibilità di mettermi in contatto con varie realtà del luogo, che si stanno occupando di preservare la storia del porto (a discapito della gentifricazione in corso che ne mette a repentaglio la sopravvivenza).
L’installazione è nata proprio da quegli studi architettonici: l’idea era quella di far entrare lo spettatore all’interno di quel linguaggio pittorico minimale, ma evocativo. È per eccellenza la stanza dell’essenziale.

Ester Grossi. Essenziale, veduta della mostra, Spazio Testoni, Bologna Courtesy Spazio Testoni, Bologna Foto Giulia Mazza

È la prima volta che provi a legare spazio-ambiente e opera?
Ho fatto altre esperienze in passato e vorrei continuare, la ricerca sullo spazio mi interessa moltissimo, anche per le possibilità che permette di interazione con lo spettatore. Ho realizzato dei wall painting site-specific in occasione di una mostra sul colore (sempre presso Spazio Testoni) in dialogo con le opere della pittrice tedesca Ingeborg zu Schleswig-Holstein. Ultimamente, su invito della curatrice Chiara Ronchini, ho realizzato un wall painting su una delle pareti esterne del Caos Museum di Terni. A breve parteciperò a Vedo a Colori, un progetto di riqualificazione del porto di Civitanova Marche, che Giulio Vesprini porta avanti da una decina di anni chiamando street artists e non solo. In passato ho sperimentato il lavoro sullo spazio anche con il video. Credo sia fondamentale e necessario andare fisicamente oltre le pareti di una galleria.

Come regoli il tuo codice espressivo che pare sospeso tra una  duplice tensione tra geometria e apparente (o latente) figurazione?
Il mio linguaggio è cambiato nel tempo e in modo naturale. È sempre stato “sintetico”, ma da palesemente figurativo è divenuto sempre più “minimale”, fino a raggiungere una forma al limite tra figurazione e astrazione. Si tratta di una costante ricerca di equilibrio tra questi due estremi; cerco di togliere per arrivare a ciò che io reputo l’essenza del soggetto dell’opera. Tutto ciò che diviene soltanto ornamento tende a disturbarmi, sento che non mi serve. È una sfida che pongo a me stessa. A volte mi crea fastidio, anche fisico nell’esecuzione, ma credo che in fondo mi piaccia anche questo aspetto. Nel tempo ho cercato di estremizzare tutti gli aspetti caratteristici del mio lavoro.

Ester Grossi, Red Hook Lines 3, 2017, acrilico su tela, 35×50 cm Courtesy Spazio Testoni, Bologna Foto Giulia Mazza

So che il tuo lavoro, a dispetto di un’apparenza tanto semplice e immediata, in realtà cela una grande complessità operativa. Senza svelarci segreti tecnici ci racconti come nasce una tua opera? Quale processo sta alla sua base?
È evidente che ho anche una formazione da grafico. È interessante il fatto che spesso, chi vede il mio lavoro on-line, pensa sia stato realizzato in digitale. Mi piace che dal vivo, invece, venga fuori il suo aspetto manuale ed umano. Si tratta di un lavoro incentrato sicuramente sul controllo e sulla pulizia di forme e colori e sul concetto di loop e ripetizione. Non a caso mi sento molto vicina alla musica minimale (Philip Glass, Steve Reich…). Dipingere micro-righine con il pennello credo corrisponda ad una forma di meditazione, mi aiuta a riflettere. Lavoro in modo progettuale, sviluppo tematiche, concetti e mi piace farlo anche ricorrendo ad altri media, avendo una formazione multidisciplinare che spazia dagli studi di moda al cinema.

Il titolo della tua mostra personale è molto indicativo rispetto alla tua opera in generale: essenziale. Cosa rappresenta per te l’essenzialità?
Ricollegandomi ad una delle risposte precedenti, riporto una nota citazione del geniale Bruno Munari:

“Complicare è facile, semplificare é difficile. Per complicare basta aggiungere, tutto quello che si vuole: colori, forme, azioni, decorazioni, personaggi, ambienti pieni di cose. Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono capaci di semplificare.
Per semplificare bisogna togliere, e per togliere bisogna sapere che cosa togliere, come fa lo scultore quando a colpi di scalpello toglie dal masso di pietra tutto quel materiale che c’é in più della scultura che vuol fare. Teoricamente ogni masso di pietra può avere al suo interno una scultura bellissima, come si fa a sapere dove ci si deve fermare nel togliere, senza rovinare la scultura?
Togliere invece che aggiungere vuol dire riconoscere l’essenza delle cose e comunicarle nella loro essenzialità.
Eppure quando la gente si trova difronte a certe espressioni di semplicità o di essenzialità dice inevitabilmente: “questo lo so fare anche io”, intendendo di non dare valore alle cose semplici perché a quel punto diventano quasi ovvie. In realtà quando la gente dice quella frase intende dire che lo può rifare, altrimenti lo avrebbe già fatto prima. La semplificazione è il segno dell’intelligenza, un antico detto cinese dice: “quello che non si può dire in poche parole non si può dirlo neanche in molte.”*

Ester Grossi, Giallo coprente, 2019, acrilico su tela, 120×100 cm Courtesy Spazio Testoni, Bologna Foto Giulia Mazza

Dopo questa mostra a cosa stai lavorando? Quali progetti ti attendono o quali novità stai seguendo?
Sto sviluppando un progetto sullo sguardo, attraverso la pittura e la scultura 3D. Quello della stampa 3D è un mondo che mi affascina moltissimo, per la velocità di realizzazione e l’accento che pone, invece, sulla complessità della progettazione. Lavorare con il 3D mi sta aiutando anche ad immaginare tridimensionalmente le mie opere. Trovo affascinante come la tecnica possa modificare la capacità di immaginazione ed osservazione.

Ester Grossi. Essenziale

13 aprile – 22 giugno 2019

Spazio Testoni
Via D’Azeglio 50, Bologna

Info: +39 051 371272
+39 051 580988
info@spaziotestoni.it
www.spaziotestoni.it

* Nota dell’artista: da Bruno Munari, a cura di Beppe Finessi e Marco Meneguzzo, Silvana Editoriale, 2007, p. 37

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