VERONA | Veronafiere Padiglioni 10 e 11 | 10 – 14 ottobre 2013
Intervista ad ANDREA BRUCIATI di Matteo Galbiati
Domani apre ArtVerona 2013, fiera che si contraddistingue per mettere al centro delle sue proposte un’attenzione particolare per gli spazi alternativi e i progetti collaterali, abbiamo intervistato Andrea Bruciati che ha seguito questa edizione nel ruolo di direttore artistico. Poniamo al giovane critico alcune domande sulle specificità e i contenuti del suo impegnato contributo per la fiera veronese.
Quest’anno hai affiancato Massimo Simonetti nella consulenza artistica. Su che fronte avete operato? Cosa proponete al visitatore di ArtVerona?
Ho voluto rendere più coerente la fiera nelle due sue componenti peculiari, espositiva tout-court e culturale. Vorrei pertanto che questa edizione apparisse come un corpo unico e coeso, pur articolato in differenti sezioni dai diversi contenuti: mi piacerebbe che si percepisse il senso di un’identità forte, segno di un preciso indirizzo.
Quali sono state quindi le scelte per te determinanti? Cosa vuoi che rappresenti per il pubblico questa fiera?
Penso alla manifestazione come ad un progetto che si offre soprattutto al territorio e ai visitatori che credono in questa fiera e vi giungeranno appositamente. Voglio che si percepisca come un evento catalizzatore di stimoli anche per il neofita o per il pubblico che, forse, non verrà a farci visita nei padiglioni ma che apprezzerà il dialogo instaurato con le istituzioni pubbliche. Per questo ho insistito, perché fosse evidente il legame con la città: deve essere ben percepita, in una città come Verona che ha nella cultura una sua precipua riconoscibilità, una proposta contemporanea, volta a creare una base forte di pubblico e a stimolare un dibattito dinamico e costruttivo che dalle arti visive tragga linfa critica vitale. Una spinta che deve guardare necessariamente alla ricerca e in questo la fiera può essere un interlocutore di indubbio interesse perché può rappresentare “un attivatore” che si muove su più versanti.
ArtVerona ci ha abituati, di anno con anno, ad un costante rinnovamento del proprio format che si scosta dall’essere esclusivamente quello di una fiera. Quali sono i suoi contenuti prioritari?
Questa è una fiera “laterale” rispetto al sistema fieristico italiano del settore e questo le ha permesso di pensare con più viva criticità alla contemporaneità. Ha sempre accettato progetti culturali integrati; ha offerto spazi ad associazioni e spazi no profit e ha sempre accettato la sperimentazione. Rimane una fiera non solo al passo coi tempi ma che cerca in vari modi di precorrerli, secondo una sfida culturale glocal, che si apre al di fuori dei confini nazionali mantenendo, però, uno spirito positivamente provinciale.
Il senso che emerge sempre con maggior forza, e che ArtVerona sostiene con attento interesse, è quello della progettualità, ovvero ripensare l’arte alla luce di idee e proposte mirate. Da qui l’ampio spazio riservato ai “progetti” alternativi e indipendenti. Mi piace la volontà di suggerire al pubblico che l’arte non sta tutta arroccata nel mercato e nei suoi numeri!
Infatti è una mia ferma convinzione: penso alla fiera come luogo incubatore di esperienze e cogente, soprattutto se rimando a realtà come Capsules e Level 0 che mirano a far connettere le varie parti di un contesto artistico da ridefinire continuamente. Artisti, curatori, galleristi, direttori di musei e professionisti che, con le proprie osservazioni e modalità, si dirigono verso un comune indirizzo per contribuire alla creazione di una piattaforma volta al dibattito. Queste opportunità dialettiche sono indispensabili per far conoscere le varie personalità e creare tra loro connessioni possibili e potenzialmente costruttive. Poi, ma questa forse è un’utopia, vorrei dimostrare come l’arte contemporanea, ancora sentita come qualcosa di alieno, sia capace di creare, grazie ad progettualità vera, qualcosa di vivo e autentico anche per il grande pubblico.
Parliamo ora di alcuni appuntamenti che hai curato più da vicino. Iniziamo con Le lacrime degli eroi, in cui ti affianca Eva Comuzzi: questa di fatto è una mostra vera e propria su 15 autori che operano con il linguaggio performativo. Cosa propongono?
È nato questa estate da un progetto di Eva Comuzzi per il Festival delle Arti Immateriali di Cividale, improntato sul valore e il senso della performance, soprattutto da un punto di vista documentativo. Per Verona lo abbiamo ripensato mettendo in luce l’atto performativo quale nuova via per una scultura “differente”, dove il corpo si fa plastica metamorfica in un’accezione liquida, temporale e antimonumentale. Presentando le opere in forma di video ho voluto una fruizione “democratica” proprio perché di facile accesso al pubblico, re-immettendo il medium audiovisivo alla sua fruizione ortodossa, che spesso una manifestazione fieristica non consente. Con il direttore della Biblioteca che ospita l’Archivio Regionale di Videoarte, Agostino Contò, si è inoltre creata quella sana e aperta collaborazione che ha permesso di aprire questo luogo anche alle istanze del contemporaneo, diventando esempio di collaborazione fattiva della fiera con la città.
Le lacrime degli eroi non è stata pensata solo per ArtVerona, perché avrà anche un seguito a Milano. Di questo progetto rimane anche “un segno”, penso all’Archivio Regionale di Videoarte del Veneto… Cosa ci racconti nello specifico di questa mostra?
La mostra è pensata con le potenzialità proprie degli eventi legati all’audiovisivo, che sono facili da diffondere, promuovere e raggiungono un pubblico molto allargato. In questa prospettiva un’altra funzione importante è proprio quella dell’archivio e dell’informazione e per questo i 15 lavori entreranno a far parte dell’Archivio. La ritengo una decisione importante e lungimirante, nonché un segno preciso della stessa ArtVerona e della Biblioteca: queste opere resteranno a disposizione al pubblico in un’area riservata e non si consumeranno nel breve arco di tempo di una mostra. Questa sorta di “donazione” è stata resa possibile anche grazie alla generosità degli artisti coinvolti, molti dei quali affermati nella scena internazionale, che favoriscono in tal modo le istanze formative, divulgative e conoscitive del territorio scaligero. Spero sia un’azione propedeutica e che possa implementarsi negli anni perché, come non mi stancherò mai di ribadire, vorrei gettare dei semi, progetti che devono continuare nel segno di una criticità viva del presente.
Abbiamo poi la quinta edizione di On Stage (intitolato quest’anno Capsules) da te ideato quale momento fondante per creare sinergie e raccordi tra i vari protagonisti dell’arte contemporanea. Come si struttura? Quali sono i suoi contenuti, cosa hai previsto per quest’anno?
Sono incontri di professionisti che parlano della loro esperienza, accomunati da quel desiderio di creare un’osmosi fra penisola e scena internazionale. Credo ad un’italianità dinamica e aperta al dialogo e reputo che il confronto e la criticità dei nostri strumenti operativi non possa che beneficiare di questo scambio. Voglio che si metta in luce quella creatività capace di far ricerca e che affermi anche i valori e la qualità senza restare aliena da quanto accade nel resto del mondo. Come è successo per il cosiddetto Made in Italy nell’industria, l’arte contemporanea italiana deve vivere oltre le proprie barriere, recepire quel flusso ampio di esperienze che giunge dall’altro e contribuire con un suo personale apporto.
Capsules vuole essere quindi un momento di riflessione sulla ricerca – credo sia un aspetto decisamente meritorio e rilevante – con riferimenti importanti e professionisti di rilievo. Perché portare l’argomento ricerca – tema oggi molto sensibile – dentro ad una fiera?
Perché è necessario trasferire la fiera oltre gli abituali confini e ruoli. Bisogna pensare oltre la specificità economica, perché si tratta di un settore complesso ed articolato che necessita di un dialogo costante con operatori apparentemente lontani dalle logiche di mercato. L’incontro tra personalità differenti e con ruoli diversi significa guardare avanti, promuovere risposte e animare dibattiti. Queste possono essere le risorse positive per quel passo in avanti che, con ottimismo, vede oltre la crisi strutturale in corso. Questo è anche un fare ricerca secondo motivazioni deontologiche che vanno oltre il sistema economico.
Con Frammenti di un discorso amoroso poni l’attenzione sul mondo del collezionismo (quasi a chiudere logicamente un cerchio ideale rispetto a tutte le altre tue coerenti proposte) e lo fai con quattro interessanti mostre – in programma ben oltre il tempo della fiera – in altrettanti luoghi della città. Come sono stati scelte tali collezioni e quali contenuti hai messo in risalto?
Provengono tutti dall’area veronese – sempre per quel coinvolgimento del territorio! – e tutti hanno collaborato con i Musei Civici. Tutte le parti hanno perfettamente recepito il senso di questa collaborazione tra privato e pubblico all’insegna del dialogo tra contemporaneo e luoghi storici della città. Quattro opere per ciascuno dei quattro musei raccontano la motivazione e l’entusiasmo del loro essere collezionisti e delle loro quattro scelte individuali. Gli interventi sono misurati e non invasivi per attivare stimoli emotivi ed intellettuali che devono essere scoperti e rivelati dal pubblico.
Oggi esiste ancora la possibilità di un collezionismo “amoroso” e “passionale”. Quanta passione c’è nel collezionista d’arte di oggi e cosa lo anima? Quale profilo ne tracci?
Ritengo che un collezionista per definirsi tale debba possedere una componente passionale e positivamente ossessiva, che risulti decisiva e preponderante nella scelta delle opere. Le operazioni finanziarie, da caveau, non m’incuriosiscono né antropologicamente né come studioso delle istanze che alimentano il collezionismo. Per quanto riguarda i nostri “frammenti”, spero che tale esperienza possa implementarsi il prossimo anno, perché mi ha dato grandi soddisfazioni, soprattutto per i rapporti umani che si sono instaurati. Dobbiamo ribadire sempre che, al centro delle nostre attività, restano gli individui, la persona come nucleo di autenticità.
In generale cosa ti auguri recepisca il pubblico che verrà in fiera e che avrà modo di approfondire gli eventi collaterali?
Ho già detto del legame che si deve creare con la città, perché la fiera si apra al territorio anche con attività espositive che superano le date della stessa manifestazione. Vorrei che si comprendesse il valore delle arti visive come forma attuale e imprescindibile di conoscenza e il ruolo anche culturale di una fiera al servizio del cittadino.
Mi piacerebbe, a tal proposito, che venisse favorito soprattutto l’aspetto sensoriale come approccio integrale ed agente, dove l’emotività ha un ruolo paritario con l’aspetto intellettuale. L’arte agevola questa conoscenza sensibile, travalicando la formula dei tanti concettualismi stantii che hanno allontanato il piacere di usufruire dell’opera.
Il prossimo anno segna una novità importante per ArtVerona, perché passerà sotto il controllo dell’ente fieristico veronese. Questo muta la disponibilità di fondi e le possibilità organizzative? Cosa ti aspetti e cosa ti auguri?
Mi auguro che Verona Fiere capisca le peculiarità di questa manifestazione e che voglia proseguire l’indirizzo di ricerca ed innovazione che la contraddistingue. Sono punti di sicuro interesse che vanno implementati e sviluppati all’interno delle altre manifestazioni fieristiche veronesi (Marmomacc, Vinitaly, Fieracavalli) e nella costituzione di un network anche internazionale per collaborazioni funzionali. Sono certo che ArtVerona sarà supportata e sostenuta con maggiori risorse, conservando il medesimo spirito identitario volto alla sperimentazione.
ArtVerona 2013
10 – 14 ottobre 2013
Veronafiere Padiglioni 10 e 11
Ingresso Re Teodorico, da Viale dell’Industria, Verona
Orari: giovedì 10 15.30-20.00; venerdì 11, sabato 12, domenica 13 10.30-19.30; lunedì 14 10.30-15.00
Ingresso: intero Euro 15,00; abbonamento 5 giorni Euro 25,00; ridotto Euro, 5,00 Euro
Info: +39 045 8039204
staff@artverona.it
www.artverona.it