VENEZIA | Abbazia di San Gregorio | 13 maggio – 26 novembre 2017
di MATTEO GALBIATI
Durante il nostro soggiorno veneziano, in occasione della 57. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, abbiamo ammirato e apprezzato una delle più interessanti proposte degli eventi collaterali dell’edizione 2017, visitando la mostra Jan Fabre. Glass and Bone Sculptures 1977-2017. Qui, in un allestimento intenso ed emotivamente impattante, sono state raccolte 40 opere in vetro e ossa che Jan Fabre (1958) ha realizzato negli ultimi quarant’anni tessendo un filo rosso che lega opere del passato a creazioni recenti attorno al soggetto universale del confronto tra vita e morte.
Tra opere di piccolo formato e interventi installativi ambientali, lo sguardo viene guidato ad esplorare sostanze e consistenze e a svelare, tra un misto di morbosa curiosità “scientifica” e disgustata e impressionata rivelazione, che l’artificio dell’arte si avvale in questi lavori di una commistione che unisce, attraverso l’espediente della metamorfosi e dell’ibridazione non solo materiali artistici, ma anche elementi di natura biologica.
La riflessione filosofica, spirituale, sociologica, e anche politica, sul tema esistenziale proposto si attiva proprio facendo leva sull’intenzionale sana provocazione attorno al genere iconograficamente codificato della vanitas e della natura morta che, in questo caso, non si limita all’artificialità dell’arte, ma si potenzia, appunto, proprio con l’assimilazione di “materie” che vengono dalla natura vera: abbiamo il vetro, l’inchiostro e le ossa, ossa vere, da scheletri veri di animali e di esseri umani.
In questa fusione di “sostanze”, che per altro fanno perno sul tema della resistenza e della fragilità, della precarietà e della durata attraverso la loro stessa espressione fisica, Fabre va ad incidere sull’attenzione del pubblico che, attratto dalle strutture ossee, viene portato a toccare con lo sguardo la verità della morte nella bellezza della natura, sottolineando i paradossi opposti che si leggono in queste creazioni nella loro opacità e trasparenza, nell’ombra e nella luce fino a rimandare al tangibile e all’intangibile.
L’artista belga, infatti, è da sempre stato stimolato nelle sue ricerche dal valore alchemico delle sostanze e affascinato da quel misterioso processo intuitivo sollecitato dalla memoria intrinseca dei materiali: recuperando modelli propri della tradizione fiamminga uniti alla sapiente artigianalità dei maestri vetrai veneziani, ha reso manifesto il trucco dell’artificio dell’arte, della vita nella morte e della morte nella vita.
Osso, vetro e inchiostro, sono modellati, curvati e formati con un sorprendente grado di massima libertà: una libertà che – a dispetto di altri artisti che del gioco sulla finzione hanno fatto l’incensata speculazione che trasforma il pretesto in scusa per un’arte da Luna Park – non abusa mai di se stessa e, in un equilibrio perfetto tra ludicità e profondità, concede le chiavi della decifrazione dei sui stessi messaggi.
Il visitatore in mostra non è costretto ad un percorso univoco e prestabilito, ma deve comprendere e incontrare queste opere accattivanti, quanto inaspettate, in un’altra concordanza, una scrittura diversa rispetto la partitura intuita e generata dall’artista. Quella libertà conseguita dal creatore si riflette ora anche nel fruitore, in un continuo susseguirsi di idee, suggestioni, impressioni che non ostacolano il loro dialogo, ma lo rendono diffuso, dinamico, sciolto. Il desiderio di comunicazione cognitiva vive un’esperienza di coinvolgimento profondo proprio per il carattere peculiare di queste opere che, pur create in un arco ampio di tempo, trovano una coesa coerenza intima.
Il carattere interdisciplinare di quell’ossessione ripetuta, giocata, nel corso del tempo e agita come prassi in oltre quarant’anni danno a Fabre la mossa e la motivazione per definire con chiarezza quella specifica tensione tra vissuto e immaginazione, l’uno che pare smembrarsi e perdersi lasciando poche tracce di sé con la morte, mentre l’altra si rivela destinata a rimanere per un tempo più lungo ad aprire altre visioni su nuovi orizzonti, entrambi, però, mostrando sempre tutta la fragilità e la precarietà umana.
Jan Fabre. Glass and bone sculptures 1977-2017
Evento Collaterale della 57. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia
a cura di Giacinto Di Pietrantonio (direttore GAMeC, Bergamo), Katerina Koskina (direttore EMST, Atene), Dimitri Ozerkov (responsabile del Dipartimento di Arte Contemporanea del The State Hermitage Museum, San Pietroburgo)
promossa dalla GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
in collaborazione con EMST – National Museum of Contemporary Art di Atene e The State Hermitage Museum di San Pietroburgo
catalogo Forma edizioni
13 maggio – 26 novembre 2017
Abbazia di San Gregorio
Dorsoduro 172, Venezia
Orari: tutti i giorni 11.00-19.00
Ingresso libero
Info: www.labiennale.org