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Intervista a DAVIDE COLTRO di Gabriele Perretta*

Davide Coltro presso EVOLUENDO – Milano. Ph. Wini Bersan

Un uomo sta guardando un’immagine di Davide Coltro. Un’analisi elementare di questa frase ci dice che un soggetto, attivando il suo senso di percezione visiva, rivolge la propria attenzione ad un quadro-schermo. Ma non sappiamo nulla né dell’uomo né dell’immagine, a meno di collocare la frase in un paradigma temporale di riferimento: Davide Coltro e il frame elettronico. Tanto che addirittura qualificando più precisamente lo spazio in cui si svolge l’azione, dando degli attributi più preziosi al fruitore ed all’opera e descrivendo il soggetto dell’immagine (es.: su un piano e una base rigida risiede un oggetto digitale chiamato dall’artista Quadro Elettronico; a volte si tratta di 96 moduli elettronici che esprimono – come dichiara Coltro – “sintonia modale”; utilizza l’energia in diverse forme: elettrica, meccanica e magnetica) ci accorgiamo di avere una serie di informazioni ancora scarsamente indicative. In alternativa, una frase quale: Davide Coltro sta guardando un libro, un dipinto di Giotto o all’interno di un box elettronico, porta alla nostra mente una serie di nozioni conosciute che ci consentono di immaginare più precisamente quanto ci appare evidente. Davide Coltro, inventore del modulo elettronico, che riporta lo schermo a quadro in azione pittorica, tende alla saggezza dell’osservare! Dal semplice esempio, di cui ci siamo appena serviti, discendono due ordini di considerazioni: l’interpretazione di un’immagine dà degli esiti completamente diversi e non aprioristicamente determinabili in funzione della sua storicizzazione, intesa sia come collocazione cronologica, sia come distanza temporale che la separa dall’osservatore stesso (esperienza, cultura, psicologia e metafora pittorica). Ad essere disciplinati, si potrebbe sostenere che nessuna opera è contemporanea al suo osservatore e al suo autore e, per alcuni aspetti, tale affermazione non costituisce semplicemente un sofisma. Ma accettando nella sede del Quadro Elettronico l’accezione più comune del concetto di contemporaneità, possiamo affermare che qualsiasi tipo di rappresentazione, e più in generale qualsiasi artefatto, fornisce informazioni sul mondo a cui l’autore appartiene, sulla sua epoca, sulle sue elaborazioni cultuali o culturali: “la cultura del quadro mediale è comunicazione”. Ogni oggetto creato da Davide Coltro, sia che appartenga al suo bagaglio materiale che a quello simbolico, è comunicativo, in quanto comunica la sua identità e la sua particolarità. Guardare davvero una sua immagine, cercare di penetrarla, può voler dire sprofondare con gli occhi all’interno del suo ON (acceso), all’interno degli occhi e del vedere di Coltro, a contatto con l’interno e l’esterno del suo schermo. Esattamente l’opposto di quanto avviene normalmente con quelle immagini che hanno la scivolosità di una suggestione immediata da selfie, rispetto alle quali mettiamo subito in atto svariati strumenti di esorcismo di cui disponiamo: l’ignoranza, la mancanza di tempo, l’indifferenza coatta, uno scetticismo rapidamente trasformabile in rimozione. In un’epoca dominata dall’immagine, ne assumiamo enormi dosi per non guardarne alcuna; viceversa quelle di Davide Coltro ci incutono rispetto, nuova disposizione auratica, metabolismo. È un’applicazione diffusa della terapia auratica contro il consumo, tanto cara a Walter Benjamin e ai suoi seguaci: l’immagine dell’artista viene utilizzata come tecnica omeopatica per scongiurare l’anomalo fotografico, è la strada che consente di giungere all’autocontrollo cognitivo, alla schermaticità neurale, alla sinapsi pittotronica e all’unica forma di linguaggio possibile, quello che dalla luce può esprimere tutto.

Davide Coltro, Living Shrouds, 2019, installazione con incisioni digitali e 3 moduli MD-SYSTEM19, misure variabili. Courtesy: Gagliardi e Domke, Torino

Guardando l’opera di Coltro viviamo nell’apoteosi della concettualità pittorica che, mediamorfizzando la sintonia modale per differenziazione, macina infinite immagini nella lentezza e nella intervallabilità dell’Uno, depurandole per sempre dal tempo e da qualsiasi impurità cromatica, portatrice di invisibilità e di invivibilità di sguardo. Ma finché il volto del quadro elettronico riuscirà ad essere riflesso dal misticismo di Davide Coltro (non soltanto da quello artistico o filosofico), arrivando ad emozionarci, avremo ancora la possibilità di conoscere, di esperire l’immagine nella costruzione della sua stessa definizione. Certo, nella nostra qualità di interpreti dovremo affrontare l’irriducibilità del visibile alle immagini e delle immagini al mediale; nel tentare di definire la nostra essenza di soggetti fruizionali, ci imbatteremo sempre e comunque in un linguaggio estetico già dispiegato dal programmatore, mai inattuale nell’origine che, attraverso il tempo delle cose, si delinea sfuggendo. Ma volontariamente al lavoro in un mondo elaborato da millenni, forse riusciremo a comporre, in sequenze mai ancora dette, immagini più dense di ogni memoria. I fruitori d’arte più sensibili conoscono e amano Davide Coltro: la sua fantasia tecnica, il suo stile, la sua capacità di tenerci legati al quadro elettronico hanno fatto di lui uno degli artisti italiani più apprezzati e ricercati. L’artista si è cimentato nei generi digitali più svariati: ha costruito hardware e software, programmi e fotografie, immagini e sequenze raccontate; la sua singolarissima e modernissima duttilità nasce da lontano, affonda le radici in quel fantastico mondo del mediale, capace di trasmetterci con semplicità verità visive profonde. Nei lavori sequenziali di grande serie e di numerosi moduli schermatici, egli conferma questo remoto e prezioso legame, in schermi o in immagini che assimilano il micromovimento e la microtrasformazione; le sue schermate vivono con naturalezza fra i prodigi della tecnologia digitale e l’atmosfera mediale. Insomma, proprio come gli antichi artisti, Davide Coltro sa che le immagini stanno in qualsiasi punto di luce, in qualsiasi algoritmo e che ogni singolo modulo, anche il più semplice della sua architettura schermatica, può animarsi e divenire protagonista di un microracconto. Ognuna delle immagini, insomma, ci restituisce un pezzetto di mondo: cromatismo, gusto per la visione estetica, piacere dell’invenzione sono elementi preziosi per la crescita di ogni visione e, insieme alle suggestive parole che qui di seguito usa, sanno condurci al porto sicuro della seduzione e della cognizione del vedere.

Davide Coltro, Black Mode, 2020, icone digitali trasmesse a quadri elettronici, moduli
MD-SYSTEM19 su colonne, misure variabili. Courtesy: E3 Arte Contemporanea, Brescia. Ph. Raffaele Trivini

A monte della tua esperienza del quadro ci racconti da dove sei partito e come sei giunto ai risultati delle opere odierne?
Il mio percorso artistico è poco ortodosso, in quanto non arrivo da studi accademici e non ho neppure frequentato scuole d’arte. Mi sono licenziato in elettronica a fine Anni Ottanta, tempi in cui facevano la loro prima comparsa il mitico Commodore64 o lo ZxSpectrum. L’informatica era una materia aggiuntiva, non aveva ancora tutta la pregnanza tecnologica attuale, anche se in ambito universitario era da decenni frontiera di ricerca. Proprio in questi anni, non ancora pienamente cosciente della vocazione artistica, avevo ricavato un piccolo laboratorio nel garage. Così, oltre alle solite attività di qualunque hobbista di elettronica, iniziai ad utilizzare i tubi catodici dei vecchi televisori a valvole per collegarli a varie sorgenti di segnale dando vita a strani disegni fosforescenti ed ero affascinato pensando alle possibilità di controllarli, mutando forme e valori dei segnali di ingresso che erano del tutto analogici. Dopo qualche tempo, iniziai ad occuparmi di strumenti di misura del segnale audio, dilettandomi a costruire scatole con serie di led rossi (non esistevano ancora quelli multicolore) che si accendevano al ritmo di musica. Solo dopo diversi anni di percorso e molte esposizioni, ho capito che la direzione autentica non era mai stata abbandonata fino alla svolta dell’arte digitale e successivamente alla scelta radicale del progetto sul Quadro Elettronico o System.
Superate le rapide dell’adolescenza, l’impeto del fiume della giovinezza mi ha tenuto occupato soprattutto con letture disordinate, bulimiche, da autodidatta romantico, esposto ai frequenti amori intellettuali che questi percorsi riservano. Poi, poco prima dei trent’anni, prepotente e senza avvisi, è arrivata la chiamata vocazionale a qualcosa che non sapevo descrivere a me stesso, una gioia, annessa alla creazione di oggetti, che non avevo mai provato. All’inizio mi sono occupato di pittura astratta su materiali alternativi come il plexiglass e la pellicola trasparente, facendo anche installazioni con tapes colorati direttamente sul muro ed operazioni di arte relazionale in tempi non sospetti. L’arte ha un suo naturale afflato relazionale sin dalla prima intuizione, come seme custodito nel cuore dell’artista, come sede della vita e della spiritualità umana. Il salto alla fotografia digitale, poi alla pittura elettronica ed al progetto System è stato come un processo autodeterminato, al quale non avrei potuto sottrarmi.

Davide Coltro, Res_publica I, 2011, installazione per la 54° Biennale di Venezia, Padiglione dell’Arsenale, 96 quadri elettronici serie MD-SYSTEM19 con aggiornamento wireless da remoto, hardware e software progettati e assemblati dall’artista, installazione a parete m 3,5×8,5 – Ph. archivio dell’artista

Ma se l’arte è un farsi lento e progressivo, nel quale le intenzioni sono presenti quanto le casualità, come hai superato l’incontro fortuito con un “materiale nuovo” e con “strumenti di realtà” inconsueti?
Il “materiale nuovo” sono sempre le idee che incontriamo lungo il percorso, tentando di descriverle e farne parte integrante della nostra cultura personale, organismo vivo, che bisogna nutrire come parte di sé, per rinnovare continuamente la nostra sostanza umana. Gli “strumenti di realtà” come dici tu, sempre inconsueti, sono le nostre azioni volontarie, le nostre decisioni, gli orientamenti che prendiamo in relazione agli altri. Gli scopi che ci prefiggiamo con la prassi artistica, i conseguenti risultati, divengono strumenti che plasmano il mondo, lo modificano da ora e per sempre.

Guardare la tua arte dovrebbe essere un “rispecchiamento di tutta la tua poetica”, o un “fissare” esclusivamente parte del prodotto?
L’arte si nutre di oggettività e verità, innanzitutto nel rapporto dell’artista con il suo sincero operare. Con questa prospettiva vorrei che le opere si affacciassero al mondo accendendo le loro capacità di emettere senso e significati, con la speranza che dal frammento si possa riconoscere il tutto, ma è pur sempre una relazione che si stabilisce tra persone per tramite dell’opera-medium, che diventa mediale nella sua interezza.

Davide Coltro, Medium Color Landscapes (serie), 2020, icone digitali trasmesse a quadri elettronici (particolare). Ph. archivio dell’artista

Lo spirito dell’intervista presenta in queste pagine una serie di immagini tue che rappresentano, nel coro, un ventaglio di approcci originali al quadro: ogni tua opera sembra tenere conto dell’impalpabilità del concetto, anche attraverso le sue sedimentazioni empiriche… Puoi approfondire gli universi pratici e teorici che sono dietro al tuo lavoro?
Un forte cambiamento nella prassi di creazione comporta necessariamente un diverso assetto delle risultanti, talvolta uno stravolgimento dell’opera sul piano percettivo. Gli ultimi cento anni ci hanno insegnato che l’idea di “opera finita” non era più necessaria, che lasciare la porta aperta per poter spiare dentro la stanza segreta, fosse ulteriore possibilità dell’arte, ampliamento delle sue potenze. Credo che, in qualità di “eredi del pensato”, sia importante esplorare le ulteriori qualità dell’opera mediale, continuità dell’opera non finita che diventa “opera aperta” ed ora “opera condivisa” non nel senso autoriale ma come atto volontario dell’artista che decide quando e come rendere fruibile al prossimo il magma del suo operato.

Le tue opere registrano il “procedimento dell’azione”: esso scaturisce dal pensiero “del e sul” primo gesto che materializza la tua stessa intuizione?
Quando lavoro alle icone digitali da trasmettere ai System, devo considerare molti aspetti del lavoro, quasi tentare una sintesi predittiva di quanto avverrà sulla tela elettronica, concepire il margine di libertà che assegnerò al calcolo computazionale che restituirà l’imprevisto, l’invisibile che si rende epifania grazie ai rapporti tra le immagini. Colore, trasparenze, dominanti, curve cromatiche e sintesi parametriche restituiscono l’inatteso, calcolato spazio di mistero che l’immagine offre una volta messa a nudo. Il dialogo con la storia dell’arte, in particolare con quella della pittura e della fotografia, in duello serrato sin dall’apparizione della seconda, è scenario dal quale scaturisce l’intuizione che diventa gesto, “procedimento dell’azione”, come tu ben descrivi.

*Intervista tratta da Espoarte #111.

Davide Coltro, Arborescenze, 2017, icone digitali trasmesse a quadri elettronici, installazione con misure variabili. Ph. archivio dell’artista

Davide Coltro (Verona 1967), vive e lavora a Milano. La sua ricerca utilizza le tecnologie di massa con inedite architetture che modificano i criteri di creazione, diffusione e fruizione dell’arte. Il suo Quadro Elettronico risponde ad una visione storica e culturale attuale, sprigionando il potere evocativo del quadro tradizionale ma elevandolo ad autentico nuovo media. Negli ultimi anni ha iniziato un percorso di studi teologici, affrontando da questa prospettiva i temi fondamentali della storia dell’arte. Le sue opere fanno parte di importanti collezioni pubbliche e private: GAM, Verona; VAF Stiftung, Francoforte; Villa Panza, Varese; GAM, Seregno; Collezione Unicredit, Milano; GASC, Milano e sono esposte in molti musei tra i quali: Museum of Modern Art, Mosca; ZKM, Karlsruhe; Urban Center, Shanghai; Etagi Project, San Pietroburgo; Centro Pecci, Prato; Farnesina, Roma; MART, Rovereto, MARCA, Catanzaro; Galleria Civica, Trento. Ha partecipato alla 54^ Biennale di Venezia nel Padiglione dell’Arsenale. Attualmente sta lavorando ad un saggio sulla “Sintonia modale”. Le galleria con le quali l’artista collabora sono: Gagliardi e Domke, Torino; Nuova Galleria Morone, Milano; E3 Arte Contemporanea, Brescia; Paolo Maria Deanesi Gallery, Trento.

www.davidecoltro.com

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