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SAN GIOVANNI TEATINO (CH)  | IL CIRCO DELLA LUNA

Intervista a LUIGI PRESICCE di Miriam Di Francesco

CORPO.doc | performance e arti visive, a cura di Ivan D’Alberto, si rinnova per la dodicesima edizione del festival abruzzese sul tema della magia in una nuova location sui generis, un tendone da circo tra le colline teatine, dove la performance è stata protagonista assoluta lo scorso 18 e 19 maggio.
Tra gli artisti invitati – da Tommaso Buldini a Rachele Montoro – Luigi Presicce ha minuziosamente costruito un tableau vivant di forte impatto per il visitatore dal titolo Deriso. Dopo essere stata accompagnata sotto braccio a irrompere fugacemente nella scena, ho voluto approfondire con l’artista i suoi riferimenti, la fase di progettazione con uno staff consolidato, le modalità di fruizione; in particolare, è emersa la performance come una vera e propria architettura epifanica in cui l’artista mette in discussione tutto se stesso, fino allo scherno.

Luigi Presicce, Deriso, Corpo.doc 18.5.2024. Foto di Dario Lasagni.

Già dal titolo della performance, Deriso, sembra chiaro il riferimento al Cristo deriso del Beato Angelico. In che cosa si è sentito ispirato dall’affresco del Convento di San Marco a Firenze?
Posso affermare senza il minimo tentennamento che il Convento di San Marco sia il complesso museale più significativo che ci sia a Firenze. Si tratta a tutti gli effetti di realtà aumentata del 1400. Gli affreschi realizzati da Beato Angelico, in ogni singola celletta, creavano una immersione profonda nelle storie della vita di Cristo, come un portale aperto nella storia, palpabile con la devozione. In una di queste 44 cellette vi è affrescato il Cristo deriso, un tema classico nella pittura dell’epoca in cui alcuni tratti metafisici scavalcano i confini del realismo rendendo la scena alquanto surreale. Alla stessa mi ero già ispirato in un’altra performance avvenuta a Centrale Fies nel 2012 dal titolo Sputato a Cristo. Qui avevo ricostruito un piccolo ambiente e gli spettatori che venivano veicolati verso uno spioncino si rendevano conto che tre attori erano completamente fuori dalla celletta tranne che per una testa e quattro mani. All’interno, invece, si collocava la figura di Cristo assisa che veniva sputata continuamente in faccia dalla testa sopracitata e presa in giro dalle quattro mani. I piedi di Cristo erano immersi in una vasca in metallo piena d’acqua con degli elettrodi pronti a folgorarlo (cosa che non è mai accaduta visto che sono ancora vivo, ma solo perché la canna usata come bastone non era un materiale conduttore).

Cos’è cambiato dalla versione della performance Sputato a Cristo, a quest’ultima?
In questa nuova versione, il Deriso non è più Cristo, ma un artista come poteva essere Philip Guston quando ha abbandonato l’informale per la pittura figurativa, o ancora meglio l’artista più schernito di tutti i tempi: Pablo Picasso. Sono pressoché certo che non siano solo questi due esempi ad essere stati derisi dai propri contemporanei, ma una miriade di artisti che hanno poi fatto breccia nella storia come per esempio Lucio Fontana e i suoi tagli.
La sindrome di onnipotenza dell’uomo medio, rende ancora immortale la famosa frase “potevo farlo anch’io”, non calcolando però che di Picasso o di Guston o di Fontana ce n’è stato solo uno nella storia. Un invito ai lettori potrebbe essere solo quello di riflettere sui tempi di gestazione e digestione da parte di Picasso per Les Demoiselles d’Avignon, un quadro che da solo ha falciato via la maniera classica di intendere la figurazione adottata in tutti i secoli precedenti. Questo quadro, dipinto nel 1906 restò nello studio dell’artista arrotolato per molti anni e tranne un’esposizione nel 1916, la sua accettazione da parte del pubblico e credo anche dell’autore avvenne circa trent’anni dopo. A nessuno piace essere deriso per le proprie scoperte, neanche a uno spaccone come Picasso evidentemente.

Luigi Presicce, Deriso, Corpo.doc, 18.5.2024. Foto di Dario Lasagni.

Deriso si svolge in un tendone da circo, un luogo davvero suggestivo. Com’è stato lavorare lì e quali idee sono nate con e per lo spazio?
Lo spazio è per me la prima scintilla che fa partire il fuoco. Da questo inizia la scrittura e in questo caso proprio dal tendone è arrivata l’idea di creare un soggetto che avesse a che fare con la risata e lo scherno. I pagliacci del circo e gli attori comici del cinema muto, come Chaplin e Keaton, due scavezzacollo dei primordi dell’immagine in movimento, sono stati i primi soggetti ai quali ho pensato.
Non nego di essermi ispirato anche al grande genio partenopeo Antonio De Curtis, in arte Totó. Di Totó basta ricordare la scena dello sputo nell’occhio al copista di Picasso (tanto per stare in tema) in Totó a colori del 1952.  La circolarità del tendone ha inoltre favorito l’accerchiamento del soggetto principale da parte di quelle figure sedute su degli scooter atte a immortalare di continuo la scena con i propri telefoni. Questo fotografare la scena con i flash da parte degli attori fa ormai parte della semantica della mia scrittura. Inoltre, non è certo una cosa scontata trovare all’interno di un un tableau vivant un’automobile. Il tendone è stato perfetto ad accogliere il modello di autovettura che avevo richiesto: una Fiat 128. Qui si innesca un tentativo di ricostruire tutta la storia dell’uomo attraverso la propria storia personale, per cui quel tipo di automobile sta alla storia di Cristo come sta alla mia infanzia. Se per un uomo l’infanzia rappresenta il tempo più lontano nei ricordi e nella memoria allora tutta la storia dell’antichità si ferma a quel momento specifico e in essa convive non oltrepassando il confine della grande storia dell’umanità, fermandosi lì, nel mio caso alla fine degli anni 70. Spero di non aver fatto un pensiero molto contorto, ma in ogni caso ce lo vedo bene Gesù che va in giro su una Fiat 128. 

Sono diverse le persone che hanno partecipato al tableau vivant, da uno staff consolidato a giovanissimi poco avvezzi alla performance. Come si mettono insieme persone tanto diverse e come si svolge la preparazione dei performer?
La squadra con la quale collaboro da anni è ormai qualcosa che sa di famiglia, senza di loro non riuscirei a fare niente. Non ho quasi bisogno di dare istruzioni, i nostri scambi sono ridotti al minimo. Daniele Pezzi viene da Ravenna, lui si occupa delle riprese e montaggio video, Dario Lasagni viene da New York ed è il mio occhio esterno quando sono dentro la scena, realizza gli scatti fotografici. Canedicoda (Giovanni Donadini) viene da Milano, è la persona che su mie indicazioni crea tutti i costumi, alcuni strumenti di scena e talune volte come in questo caso anche la musica. Matteo Coluccia viene come me da Firenze (città di adozione), è la persona della quale non posso fare a meno per qualsiasi cosa io faccia, qualsiasi cosa, che si tratti di un banale trasporto alla scrittura di una performance, dalla gestione dell’archivio e quello del tempo che passiamo insieme inventandoci modi per sfiancare il Rinascimento toscano che ci asfissia. Stefano Giuri viene come noi da Firenze, il nostro rapporto (come quello con Matteo) nasce ai tempi in cui lui era studente dell’Accademia e già partecipava alle mie performance. Ora è una persona della quale mi fido. Con lo stesso Matteo e altri ex studenti, hanno partecipato a diverse edizione dell’Accademia dell’immobilità, un processo di educazione alla performance che va avanti dal 2012 in luoghi vari. L’insegnamento si basa sullo sviluppo della memoria e le tecniche preparatorie a migliorare l’immobilità e l’armonia del corpo negli spazi più disparati, sposando in oltre la più completa idea di responsabilità che ogni attore ha nei confronti dell’altro. Come in una piramide di carte da gioco, un compianto si sostiene solo se tutte le figure sono in armonia e si aiutano vicendevolmente.
Nel caso di Deriso, i giovanissimi attori del Liceo artistico musicale coreutico Misticoni- Bellisario di Pescara non sono stati addestrati in alcuna misura possibile se non a quella che era la loro, in fondo piccola, prestazione. Hanno partecipato alle prove della messa in scena con spontaneo interesse e si sono immersi completamente nei ruoli assegnati loro. Sulla scena è stata presente anche una nuova conoscenza, Letizia Scarpello una giovane artista di Pescara che ho scoperto, per mia fortuna, essere molto brava.

Luigi Presicce, Deriso, Corpo.doc, 18.5.2024. Foto di Dario Lasagni.

Mi ha colpito molto come è stata concepita la fruizione da parte del pubblico. Si veniva accompagnati uno alla volta sotto braccio in un percorso predefinito e con un limite temporale di circa un minuto. Come mai?
Ormai è dal 2007 che concepisco performance pubbliche dove però il pubblico non è una massa informe di individui che guardano distrattamente (telefonando, mangiando o bevendo). Fin dalla mia prima performance ho guidato lo spettatore a innescare la scena, facendolo diventare parte integrante dello spettacolo. Questo quando era obbligatorio avere un pubblico perché richiesto dal committente. In svariate occasioni ho anche realizzato performance di una complessità ragguardevole, ma dedicate solo ed esclusivamente a due bambini che cambiavano di volta in volta. Come testimoni di un accaduto, era per me importante creare una relazione forte con degli spettatori non viziati da preconcetti o che potessero avere alcuna devianza nel godere dell’epifania da me architettata.
Lo spettatore accompagnato uno alla volta è diventato quasi da subito la mia pratica di fruizione, molto prima che diventasse una moda diffusa sia nell’arte che nel teatro. Avere a disposizione un solo punto di vista (quello da me concepito per la visione), è sia una costrizione che un privilegio. Costrizione perché non si ha libero arbitrio di muoversi e privilegio perché si può guardare dal punto di vista che l’autore (in maniera rinascimentale) ha concepito per comporre tutta la scena. Non ci metteremmo mai, di nostra sponte, trafelati per guardare una pala d’altare, essa richiede una visione centrale, unica e definitiva. Il tempo limitato a un minuto per spettatore consente a chi guarda di immergersi nella scena secondo la propria inclinazione sensoriale. Non è scontato che se ci sia una giraffa nella scena lo spettatore la veda. Il pubblico gode di un’epifania a proprio modo posando lo sguardo dove più gli è congeniale, cercando talvolta quello che vuole riconoscere come familiare e scartando selettivamente tutto il resto o reagendo in maniera completamente contraria facendosi attrarre da ciò che per l’occhio risulta nuovo. È raro che due spettatori vedano la stessa cosa, almeno che non si tratti per assurdo dei genitori di un attore, allora lo sguardo si rivolge unidirezionalmente su un punto, dove è posizionata la prole. Anche non far trapelare nulla di quello che accadrà in scena fa parte della costruzione di quella epifania che lo spettatore si troverà improvvisamente di fronte, e non è affatto una cattiveria nei suoi confronti, anzi è quello al quale egli stesso dovrebbe ambire per godere al meglio uno spettacolo. Detto ciò è ovvio che chi accompagna lo spettatore è autorizzato a tagliare le mani a chi cerca di estrarre il telefono dalle tasche. La scena è lì per essere goduta non riportata a casa in pixel.

Luigi Presicce, Deriso, Corpo.doc, 18.5.2024. Foto di Dario Lasagni.

All’interno della scena la sua azione è quella di scandire un tempo attraverso una frustata. Quale significato simbolico si rivela con quel gesto?
La frusta è una componente centrale dell’iconografia di ogni Cristo deriso, questa diventa l’estensione malvagia del corpo del fustigatore. Per tale ragione bisogna riportare alla mente che quella che si sta guardando non è una scena conviviale, ma la camera di una tortura, un patibolo. La frusta è poi uno strumento reale, non è di cartone, non farla schioccare sarebbe, come dice qualcuno, portare una pistola sul palco e non sparare.
Nel concepire l’epifania va però creato anche un interruttore che faciliti lo spegnimento di tutto il processo di visione. La frustata era in questo caso un segnale chiaro per stabilire la fine, come tanti altri che si decidono prima che il pubblico entri a far parte della scena. È ovvio che chi guarda vorrebbe restare tutto il tempo necessario a informarsi visivamente di ogni cosa che ha di fronte, ma in questo caso una interruzione diventa necessaria affinché tutto il visibile non faccia in tempo a diventare già visto, lasciando appunto come si diceva prima anche delle parti scoperte.

Luigi Presicce, Deriso, Corpo.doc, 18.5.2024. Foto di Dario Lasagni.

CORPO.doc – performance e arti visive
Bibbidi-BODY-dy boo, fa la PERFORMANCE tutto quel che vuoi tu
a cura di Ivan D’Alberto
18-19 maggio 2024
Il Circo della Luna – San Giovanni Teatino (Chieti)

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