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Intervista a FRANCESCO AMANTE di Leonardo Regano

Imprenditore bolognese di fama internazionale, Francesco Amante (Bologna, 1947) ha da sempre accompagnato l’impegno per il marketing, la finanza e la moda, alla sua grande passione per l’arte e per i motori, riconosciuto come promotore e sostenitore di attività di grande livello culturale e impegno sociale.
Lo incontriamo in occasione della donazione di una parte della sua collezione alla Regione Emilia-Romagna e al Comune di Pianoro, piccola cittadina a pochi chilometri da Bologna. Venticinque opere in tutto – di cui otto destinate a Pianoro – per una lista di artisti che include nomi come Flavio Favelli, Luigi Carboni, Luigi Mainolfi, Karin Andersen, Simon Morley, Renner, Francesca Galliani, Alfio Giurato, Robert Gligorov, Kati Heck ed Emil Lukas.

Come è nata questa scelta di donare parte della sua collezione alla Regione Emilia-Romagna e al Comune di Pianoro?
È un’idea, questa, che ha origini lontane. Da giovane dirigente prima, poi socio di un gruppo d’aziende nel settore dell’abbigliamento, ho imparato che “fare azienda” significa prima di tutto donare. Ho lavorato tanto, con molti sacrifici, e ho ricevuto tanto. Questa è per me l’occasione per continuare a dare indietro una parte di quanto ho avuto la fortuna di ricevere. Come Presidente dell’Associazione Amici dell’allora Galleria d’arte Moderna (caricata ricoperta tra il 2000 e il 2010, nda) ho già avuto modo di fare altre donazioni al Comune di Bologna, arricchendo le sue raccolte del contemporaneo. Avevo avviato una serie di concorsi per cui l’opera vincitrice entrava a far parte delle Collezioni Comunali d’arte, e poi, se di particolare interesse, a queste si aggiungevano per acquisizione diretta anche altre opere presentate in concorso.

Karin Andersen, Senza titolo, 2004, acrilico su stampa digitale, cm 110×130

Alle acquisizioni, accompagno anche i finanziamenti per gli interventi site-specific di Flavio Favelli al Pantheon della Certosa e degli Zimmerfrei all’ingresso della Cineteca di Bologna o quelli per il restauro del monumento a “L’Amor Patrio e il Valor Militare” di Giuseppe Romagnoli, per la facciata di Palazzo d’Accursio, in Piazza Maggiore. Anche con il Comune di Pianoro è un rapporto già avviato da tempo. Qui i miei legami con l’Amministrazione comunale erano già attivi per la Bologna Raticosa (corsa in velocità per auto storiche, nda) e per altre donazioni e si sono poi rafforzarti quando una mia ex dipendente, Flavia Calzà, è divenuta Assessore alla Politiche dell’Istruzione e Servizi educativi per l’Infanzia. Il lato umano è per me importante in queste relazioni, e ha influito anche nella scelta di dialogo con la Regione Emilia-Romagna, grazie alla presenza come Assessore alla Cultura e al Paesaggio della Regione Emilia-Romagna di Mauro Felicori, che stimo e conoscono da molti anni.

Flavio Favelli, Prima dello scandalo, 1997, fotografia su pannello, ed.1/3, cm 50×70

Nel 2019, Bologna le conferisce la “Turrita d’Argento”, onorificenza importante, con la quale le riconosce l’azione svolta a favore del territorio sia come imprenditore che come mecenate di rilievo. Un rapporto stretto che la lega alla città, dunque, e che oggi quindi si rafforza.
Bologna è la mia città natale, dove ho avviato la mia carriera di imprenditore e ho trascorso tutta la mia vita. Ho due grandi passioni, l’arte e i motori. Ed entrambe sono state occasioni per me di confronto con il territorio. Nel 2000, sono riuscito a riportare in città la 1000 miglia, dopo più di quindici anni di assenza, e di far rientrare questo evento tra le iniziative per la Città capitale della Cultura, assegnata quell’anno a Bologna. Intanto cresceva in me anche l’interesse per l’arte, grazie all’esperienza alla Galleria d’Arte Moderna e alla grande amicizia che mi ha legato a Concetto Pozzati con il quale passavo il mio tempo, tra cultura e goliardia.

Kati Heck, Neue Freunde, 2006, acquerello e matita su carta, cm 97×67

Com’è nata questa sua passione per il collezionismo?
Nel 1990 mi trasferisco in centro città, e nella mia nuova casa mi capita di avere come vicino Francesco Martani, dentista e proprietario di un museo privato, Ca’ la Ghironda. Entriamo subito in sintonia. Martani mi invita a una mostra alla Otto Gallery, con un evento dedicato alla Nuova Scuola Romana. Ricordo perfettamente quella sera. Artisti, galleristi e curatori facevano discorsi complicati che a me non interessavano. In quel momento rimasi folgorato dalle opere, e da un lavoro di Gianni Dessì in particolare. Iniziai a dire la mia, a ragionare su quello che quest’opera mi stava comunicando. Era un’emozione privata. Ho poi approfondito la mia conoscenza, approfittando anche dei miei viaggi di lavoro all’estero per ampliare i miei orizzonti di ricerca. Ho amato fin da subito l’Arte Povera e la Transavanguardia. Ho scoperto anche il valore dell’arte come investimento, non lo nego, ma non è quello che ha mosso subito il mio interesse, la volontà che mi animava era quella di collezionare opere diverse che rappresentassero movimenti importanti delle ricerche contemporanee. Un altro momento di crescita per questa mia passione è poi stato, ovviamente, il mio impegno per il ruolo di Presidente della Associazione Amici della Galleria d’Arte Moderna, e poi di suo Consigliere.

Robert Gligorov, The diver in Elena’s House, 2001

Tornando a oggi, in qualità di collezionista, quali sono le sue impressioni sul futuro del sistema dell’arte?
Non nascondo di avere una forte nostalgia per un mondo che c’era e che oggi non c’è più. Negli ultimi anni mi sono sempre più distaccato dal sistema dell’arte, iniziando a provare quasi una vera e propria diffidenza per fiere, gallerie, curatori. In uno dei momenti di massimo sconforto, per esempio, stavo per dire di no alla proposta di esporre la mia collezione al Museo Mantegna, a Mantova, città a cui sono molto legato. Per fortuna ho cambiato idea. La mostra è stata un successo e ha attirato l’attenzione per la mia collezione delle più importanti Case d’Aste internazionali ovvero Sotheby’s, Christie’s e Philips de Pury. In quel momento ho deciso di cambiare e provare a vendere una parte dei miei acquisti. E con Sotheby’s ho messo all’asta più di 400 pezzi, tutti venduti. Una scelta che sentivo necessaria in quel momento, tenendo per me solo le opere che realmente sentivo mie. Se mi posso permettere, tornando a parlare di Bologna, oggi non trovo quell’improvement nel sistema dell’arte cittadino a cui avrei voluto assistere. Difficile paragonare la mia esperienza a quello che vedo oggi.
Allora alla Galleria d’Arte Moderna mi affiancavano persone come Danilo Eccher o Peter Weiermair, o ancora, come ho già citato, il grande Concetto Pozzati. E così anche per la Fiera. Siamo molto lontani dal realizzare per Bologna una fiera che davvero meriti l’attenzione internazionale.

Gianni Castagnoli, Senza Titolo, 1992, collage, cm 58×73

A proposito di fiere, qual è il suo punto di vista sulle nuove tecnologie e le modalità virtuali che stanno affiancando il sistema in questo momento di difficoltà?
Se servono a tenere vivo l’interesse può anche andar bene, ma questo non può essere di certo il metodo. O meglio, dovrebbe esserci un salto di qualità che a mio avviso manca affinché questa nuova modalità si riveli vincente.

Tre ultime domande sulla sua collezione. La prima, qual è l’opera a cui si sente più legato?
Non una in particolare, ma tutte le opere di Mimmo Rotella.

L’ultima che ha comprato?
Un’opera di Mimmo Rotella del 1961, intitolata “Preziosi”.

Mimmo Rotella, Preziosi, 1961

E, infine, qual è l’opera che avrebbe voluto o che vorrebbe acquistare?
Un pezzo di Gilbert &George che avevo visto tempo fa in mostra a Basilea ma che mi sono fatto sfuggire e alla quale ancora oggi penso.

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