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BOLOGNA ǀ NELLO STUDIO DI SIMONE PELLEGRINI

di MATTIA LAPPERIER 

Lo studio nasce, cresce e si sviluppa di pari passo con l’artista. Ne riflette la personalità nel modo più autentico. È testimone silenzioso delle sperimentazioni più ardite, del perfezionamento di tecniche affinate negli anni e custodite gelosamente. È anche il luogo delle infinite prove, delle notti insonni, delle cocenti insoddisfazioni, che tuttavia possono sfociare talvolta in successi inaspettati. #TheVisit ha lo scopo di aprire le porte a tali realtà che per loro stessa natura sono poco accessibili, spazi che in tempi di pandemia hanno rappresentato pure una delle rare occasioni di confronto diretto con l’arte contemporanea.

Quello in cui Simone Pellegrini lavora sin dal 2004, agli albori della sua carriera, è uno spazio piuttosto piccolo, angusto, affollato. Lui stesso lo definisce una caverna; un antro oscuro, reso tale dalla scarsa presenza di luce naturale, che filtra soltanto dall’unica finestra sopra la porta di ingresso. L’ambiente è essenziale, quasi austero: un letto, un sottoscala e un soppalco ricolmi di libri fanno da quinte a uno studio che consiste sostanzialmente in due tavoli, ciascuno dei quali preposto a una funzione specifica, pochi e scelti strumenti di lavoro disseminati ovunque, oltre a una considerevole quantità di corde appese, utilizzate dall’artista per il suo allenamento fisico mattutino. Dal punto di vista di Pellegrini, l’ambiente ristretto è una condizione imprescindibile per la stimolazione dell’immaginazione, intesa dallo stesso come facoltà volta alla creazione di qualcosa di nuovo, che ancora non c’è, e per questo contrapposta alla fantasticheria, mero rimaneggiamento di ciò che già esiste.

Veduta dello studio di Simone Pellegrini, frame del video Une circonstance imparfaite, 2020, Disforme

L’estrema essenzialità che connota lo spazio di lavoro riverbera anche nella scelta degli strumenti e dei materiali. Carbone, pigmenti, olio e carta da spolvero, quest’ultima con la duplice funzione di supporto e matrice, sono gli unici elementi di cui si avvale Pellegrini, sin dagli esordi. Per comprendere il ruolo dello studio, vale la pena di soffermarsi sul singolare processo di creazione. Se l’esecuzione materiale dei lavori avviene infatti nell’intimità dello studio, la genesi degli stessi è invece pubblica. L’artista, appassionatissimo e vorace lettore, soprattutto di saggistica francese – da Gille Deleuze a Jacques Derrida, da Georges Bataille a Jacques Lacan, da Maurice Merleau-Ponty a Jean Baudrillard – ma anche di narrativa e poesia, con frequenti incursioni persino nei meandri del misticismo, è solito trascorrere molte ore a leggere in spazi pubblici, meglio se affollati e rumorosi. Abituato a tenere una matita in mano sin dall’infanzia, il richiamo della carta è per lui irresistibile. Pertanto, mentre legge, annota, scribacchia e scarabocchia a grafite, direttamente sul libro. Questo passaggio iniziale è assumibile come il grado zero della sua ricerca; lo snodo originario e necessario da cui emerge il segno, nella sua primissima manifestazione. In studio poi avviene la sua successiva rielaborazione su brandelli di carta da spolvero, impiegati da Pellegrini come matrici, dallo stesso stampate manualmente, attraverso un martelletto, su di un supporto cartaceo più grande, precedentemente ottenuto dall’assemblaggio di più lacerti di carta da spolvero. Il risultato finale consiste in una composizione realizzata in modo doppiamente indiretto poiché esito di stampa su di un supporto smembrato e poi ricomposto. Le forme, negli ultimi anni sempre più spinte in direzione aniconica, si articolano in un linguaggio decorativo e criptico; qualcosa che rimanda a una dimensione archeologica, o meglio archetipica e primordiale. Strutture ciliate, elementi cellulari, parti anatomiche, simboli o emblemi, colti nel loro insieme, costituiscono una paratassi di segni che originano un’opera rifuggente simmetria, prospettiva o regolarità. Essa è misteriosa, seppur contraddistinta da una certa immediatezza nell’approccio. Ornamentale nelle forme, al di là del significato, conserva eppure una vaga accezione apotropaica.

Simone Pellegrini, Ils asi patiovindo, 2023, tecnica mista su carta, 96×201 cm, ph. Enrico Benedettelli, Courtesy dell’artista

La genesi del lavoro avviene lentamente, per mezzo di un processo strutturato per fasi, che nel complesso è assimilabile a un rito. Su di un tavolino più piccolo l’artista elabora le matrici a carbone e pigmenti, le cosparge poi d’olio per favorire il trasferimento. Sul tavolo più grande innesca invece il processo di stampa, una carta alla volta, con grande pazienza e dedizione. È poi parte integrante del rituale l’abbandono sul pavimento della matrice recante il segno originale. Nel tempo le carte si accumulano, sino a ricoprire interamente la superficie disponibile, l’artista, intento a lavorare, le calpesta con noncuranza. Quando poi la quantità di frammenti cartacei è tale da ostacolare la fluidità dei movimenti, Pellegrini li raccoglie, li ripone in un sacco e infine li brucia. Il segno originale in questo modo non entra mai in circolazione nel sistema dell’arte, rimane, al contrario, nel segreto dello studio, sul pavimento. Le carte non sono pertanto ritenute vere e proprie opere dal loro artefice, costituiscono piuttosto il grado di separazione tra le composizioni finite e Pellegrini stesso. Tale metodologia indiretta consente a quest’ultimo di esercitare il minor controllo possibile sul risultato, così da ottenere necessariamente qualcosa di nuovo o quantomeno diverso rispetto alle sue stesse aspettative.

Simone Pellegrini al lavoro, frame del video Une circonstance imparfaite, 2020, Disforme

Oltre alla moltitudine di carte al suolo, un’ulteriore prerogativa caratterizza lo studio: le numerosissime scritte a carboncino sul muro. Mentre lavora l’artista è abituato a focalizzare il pensiero su di una voce esterna a sé, tra i podcast che predilige figurano certamente le conferenze di filosofia o magari di fisica. Quando, in quei frangenti, gli capita di recepire qualcosa in particolare che attiri la sua attenzione, lo appunta direttamente alla parete. Assecondando un impulso del tutto simile a quello che si attiva quando legge, benché in questo caso agito attraverso un differente canale espressivo, Pellegrini concede così ai muri del suo studio il dono eccezionale della parola.

Veduta dello studio di Simone Pellegrini, frame del video Une circonstance imparfaite, 2020, Disforme

La sua tendenza a divergere in ambito artistico, unita alla dimensione anomala a cui è possibile ascrivere il suo lavoro, nonché all’interesse per l’arte degli schizofrenici, costantemente dediti all’invenzione di neologismi volti a definire un mondo che stentano a comprendere, sono tutti elementi che avvicinano l’intera opera di Simone Pellegrini alla cosiddetta art brut. Un’arte che si sviluppa a latere, che ha come protagonisti outsiders, che affonda le proprie ragioni più recondite e profonde in un’urgenza. Un’arte che trova espressione di sé in uno spazio inconsueto e anomalo: una caverna piena di carta.

Ritratto di Simone Pellegrini in studio, ph. Annalisa Patuelli

Simone Pellegrini (Ancona, 1972) vive e lavora a Bologna, dove insegna Pittura all’Accademia di Belle Arti e dove ha sede il suo studio. Del 2022/2023 i più recenti solo show a New York con la Cavin-Morris Gallery, che rappresenta il suo lavoro insieme alla Galerie Gugging di Vienna, e a Münster presso Hachmeister Galerie. Nel 2023 inaugura una mostra antologica presso il MUSEC di Lugano. Fino al 2024 partecipa inoltre a un progetto espositivo itinerante da Barcellona, Aínsa-Sobrarbe, Madrid e Lisbona, all’Havana e New York, dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale del Ministero della Cultura italiano. Ha esposto in Italia in istituzioni quali Palazzo Magnani e Collezione Maramotti Reggio Emilia, Museo delle Trame Mediterranee Gibellina, Palazzo dei Priori Volterra, MAC-Museo d’Arte Contemporanea Lissone, Villa Torlonia San Mauro Pascoli, Museo di Palazzo Pretorio Prato, Parco Archeologico Pompei, Villa d’Este Tivoli, MAMbo Bologna, CIAC Genazzano, Museo della Permanente Milano, Villa Reale Monza, Museo della città e FAR-Fabbrica Arte Rimini, Casa natale di Raffaello Urbino e Fondazione l’Arca Teramo e alla Biennale di Venezia per il Padiglione Italia e in eventi collaterali. All’estero, in musei come Gugging Vienna, Pablo Picasso Münster o Stadtgalerie Kiel, National Gallery of Arts Tirana, Mact/Cact Bellinzona e al Messums Wiltshire Salisbury e in gallerie a Londra, Parigi, Bruxelles, Lugano. È presente in collezioni pubbliche e private internazionali quali: Palazzo Forti di Verona; Casa degli Umiliati dei Musei Civici di Monza; MUSA civica raccolta del disegno di Salò; Bologna Fiere; Provincia di Reggio Emilia; Collezione Maramotti; UniCredit; Gabriele Mazzotta a Milano; Museo delle Trame Mediterranee a Gibellina; MAC di Lissone; Volker Feierabend a Francoforte sul Meno; Wolfgang Hanck del Museum Kunstpalast di Düsseldorf. Nel 2016 ha realizzato per la casa editrice francese Fata Morgana il libro d’artista “Dans la chambre du silence”.

simonepellegrini.com

Particolare dello studio di Simone Pellegrini, frame del video Une circonstance imparfaite, 2020, Disforme

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