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PADOVA | MUSEO EREMITANI | 29 OTTOBRE 2021 – 31 GENNAIO 2022

Intervista a BARBARA CODOGNO e ANTONIO MENON di Lisa Bellentani

A riveder le stelle è una mostra collettiva, organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova in collaborazione con “The Bank Contemporary Art Collection” e allestita al Museo Eremitani. Realizzata in occasione del 700esimo anniversario dalla morte di Dante Alighieri, l’esposizione celebra l’inclusione di Padova Urbs Picta nella Lista del Patrimonio Mondiale Unesco, presentando opere provenienti dalla collezione “The Bank Contemporary Art Collection”. Grazie alla collaborazione tra pubblico e privato, la figurazione italiana contemporanea si eleva a interlocutrice ideale per illustrare il dialogo tra Dante e Giotto; temi esistenziali sono narrati da atmosfere simboliche, ispirate alla tradizione artistica passata ma al contempo rivolte al futuro.
Il percorso espositivo, che valorizza i locali recentemente ristrutturati del museo dedicati alle mostre temporanee, invita a intraprendere un viaggio evocativo verso una metaforica ascesa spirituale; la divisione in sezioni, memori delle Cantiche dantesche, è stata curata dalla padovana Barbara Codogno, filosofa di formazione che da tempo indaga il modo in cui l’attuale linguaggio figurativo traduce concetti astratti. I dipinti provengono dalla collezione bassanese di Antonio Menon che, sostenendo l’espressività di emergenti e affermati artisti contemporanei, ha dato vita a una raccolta suggestiva e meritevole di onorare il ruolo da protagonista con cui la pittura della realtà si è riaffermata nel panorama internazionale.

Vi invito, guidati da curatrice e collezionista, “a riveder le stelle”, emblemi non solo di un rinnovo interiore, ma anche della rinascita del figurativismo, corrente artistica che parla all’uomo dell’uomo. Un proverbio indù annuncia: “Lo spirito della tigre non muore mai”. Infatti, dopo aver ricevuto un colpo mortale, il possente animale rimane in piedi ancora qualche secondo. E se la pittura “iconica” fosse la tigre?

A riveder le stelle, Museo Eremitani, Padova, 2021, installation view

In un presente pervaso dal multiculturalismo, la mostra si pone il fine di valorizzare le testimonianze artistiche dell’“Italia Bella”; le sale del Museo Eremitani ospitano il dialogo, inscenato in una fittizia “operetta morale” del 1824 e ambientato a Padova ma probabilmente mai avvenuto nella realtà, tra Dante e Giotto. Tornare indietro nel tempo, quando la divisione tra bene e male era ancora netta, può condurre il visitatore a un “accadimento emotivo”, indotto dalla fiera commozione per un comune patrimonio identitario?
Barbara Codogno: La mostra nasce sotto “buone stelle”. Le stelle di Giotto, che stravolgono la campitura azzurra della volta della Cappella degli Scrovegni con il loro fascio di luce dorata. Esse sfoggiano otto punte, simbolo dell’eternità. La Cappella è anche apripista per il percorso dell’affresco trecentesco di Padova Urbs Picta, a patrimonio dell’Umanità. Così come sono stelle quelle che Dante – del quale quest’anno ricorrono i 700 anni dalla morte – convoca per un ristoro dell’anima, appena uscito dall’Inferno, nel I Canto della Divina Commedia. Tra le due opere meravigliose, ed entrambe massimamente narrative, ovvero la Cappella degli Scrovegni e la Divina Commedia, vi sono luminose analogie. Riverberano quelle stesse presenze che spesso sono anche attori della medesima cornice scenica. La narrazione spiraliforme, la spinta ascensionale e poi la caduta. L’immagine del sacrificio del Cristo a fare da spartiacque tra un sollievo o la dannazione eterna. Allora, lungi dal proporre un percorso agiografico che avrebbe condotto il visitatore a fare un viaggio storico, ho pensato con il cuore degli antichi. Immaginando cosa provasse un uomo del Medioevo che giunto da lontano arrivasse a Padova ed entrasse per la prima volta in una capsula completamente affrescata e vi trovasse l’eterno, il Diavolo, i dannati nelle fiamme, ma anche gli angeli e le stelle. Uno scrigno dipinto con un linguaggio nuovo: Giotto annuncia la prospettiva, per la prima volta compaiono le emozioni, il primo bacio della storia lo dipinge lui proprio nella Cappella! E allo stesso tempo mi sono chiesta cosa provasse un uomo del Medioevo a leggere la Divina Commedia, un testo in lingua volgare! Ecco allora che con questa mostra si è voluto ricreare proprio un accadimento emotivo: stupore, paura, angoscia e poi la meraviglia della rinascita nell’azzurro e la fiducia, con le stelle a indicarci il cammino di speranza.

A riveder le stelle, Museo Eremitani, Padova, 2021, installation view

Qual è la motivazione che l’ha spinta a proporre opere di arte contemporanea, piuttosto che testimonianze coeve ai due fiorentini, per narrare il loro incontro?
B.C.: Una mostra agiografica e descritta avrebbe forse ripercorso quella vicinanza storica di cui la storia porta testimonianza certa tra Giotto e Dante. I due si conoscevano e si erano incontrati più volte. Non sappiamo se lo fecero a Padova. Ma sappiamo che Dante venne a visitare la Cappella degli Scrovegni. Se però affrontiamo la vicenda dal punto di vista meramente storico ci perdiamo la reale grandezza dell’incontro: quello che i due avevano da dire al mondo intero. Dante e Giotto sono eterni perché hanno scritto e dipinto per il futuro. Eppure, erano contemporanei, entrambi vivevano nello stesso spazio-tempo, l’Italia del Medioevo. Che grazie a loro Medioevo non è più. Quindi l’unica verità che può tracciare il solco di questa eredità è la pittura contemporanea. O meglio, la figurazione italiana contemporanea. E la collezione The Bank Contemporary Art Collection fa proprio questo: raccoglie il meglio del figurativo italiano contemporaneo.

A riveder le stelle, Museo Eremitani, Padova, 2021, installation view

Può la produzione attuale tradurre in un nuovo linguaggio contenuti simbolici, riferiti a un mondo ultraterreno che nel laico presente suona come una favola lontana?
B.C.: Ci sono movimenti dell’anima che sono eterni. Credo che l’arte da sempre si muova esplorando i complessi terreni psichici che accompagnano l’uomo dall’alba dei tempi.

La società postmoderna, che ha provato la fine delle illusioni e la conseguente nietzscheana “morte di Dio”, è ancora capace di essere – in questo caso, metaforicamente, dalla mostra padovana – traghettata nell’aldilà?
B.C.: L’Ottocento è un secolo che anticipa in letteratura, con Flaubert e Dostoevskij ad esempio, quello che poi Nietzsche descriverà come “morte di Dio”. Anche se fin dall’alba dei tempi, in ogni cultura ad ogni latitudine, i riti prima e i miti poi ci hanno indicata come necessaria la “messa a morte del Dio”. Comunque, il romanzo dell’800 ci evidenzia come la trascendenza, da una posizione metafisica, credere e obbedire ai precetti religiosi, si sposti verso confini più prossimi. Non più una spinta di elevazione, con un Dio che è sopra l’uomo, piuttosto il conflitto tra uomini che sono divenuti ognuno il proprio Dio. Il trascendente viene scalzato quindi dall’oltranza. Questa sorta di trascendenza deviata ci porta dritti al ‘900, secolo catastrofico. Dal punto di vista filosofico e antropologico, molti studiosi rintracciano, a partire dalle spinte New Age, passando per pratiche come meditazione e yoga, fino alla coscienza ambientalista, il bisogno dell’uomo di entrare in una dimensione religiosa nuova, quasi panteistica, di comunione e rispetto con l’universo. Questo per dire che la trascendenza non è mai morta. Il Dio viene da sempre “sacrificato” ma non muore, viene semplicemente sostituito. Si sposta la trascendenza verso un altrove. Ma la spinta rimane. Quindi direi che la mostra padovana è assolutamente in grado di traghettare verso l’al di là ma per un’altra ragione: per la bellezza delle opere. La meccanica estetica del bello e del sublime, ne han parlato molti prima e meglio di me, è ancora l’unica in grado di elevarci. Anche la narrazione è però molto importante. Per questo, credo che l’esposizione in questione sia davvero un unicum nel panorama artistico di questo periodo. Racconta e muove gli animi a più livelli, seguendo le frequenze del sottile però ancorata a una scientificità rigorosa; del resto, il luogo lo richiede.

Federico Guida, La mia prima croce, 2019, olio su tela di lino applicata su legno, cm 238×180

Ripercorrendo brevemente la storia della collezione, ospitata in una sede prestigiosa a Bassano del Grappa, può indicare il filo conduttore che lega le opere presenti nella raccolta? Il dialogo tra passato e presente, rappresentato dalle voci di due numi tutelari come Giotto e Dante, e costruito lungo le coordinate dell’arte contemporanea, non si limita al percorso espositivo; infatti, gli artisti si fanno depositari di antiche tradizioni pittoriche. Basti osservare i quadri di Sergio Padovani, dove atmosfere allo stesso tempo meravigliose e terribili direi quasi rumorose e bulimiche evocano sia il tetro immaginario boschiano, sia la macchinosità di Bruegel il Vecchio. Quale criterio ha seguito nel commissionare i dipinti realizzati in occasione della mostra e, in che termini, essi si fanno portavoce di espressioni remote?
Antonio Menon: The Bank si definisce come “collezione” (termine di per sé arido) nel 2019, anno di apertura dello spazio espositivo a Bassano del Grappa, ma è in realtà una ricerca interiore che mi accompagna da quando ho iniziato a chiedermi quale sia il senso di tutto ciò che viviamo, di quello che ci circonda, come vivono le persone chiuse dentro i loro appartamenti, cosa pensano, quali desideri hanno e soprattutto se riescono a dare un senso alla loro vita. In altri termini, una ricerca dell’Io. The Bank nasce allora probabilmente molti anni fa e diventa un viaggio salvifico del tutto personale nella pittura figurativa (esclusivamente), forse ripetitivo (per alcuni), sicuramente introspettivo, certamente non estetico, dove l’unica regola è la verità che l’opera sa trasmettere, dove i protagonisti sono gli artisti, esclusivamente contemporanei, quasi esclusivamente italiani. Sono convinto che le emozioni governino la nostra vita più di ogni altra cosa; il loro potere va ben oltre quello della ragione. E l’emozione si ritrova normalmente in uno sguardo, in una figura, nell’uomo, oppure in ciò che ci circonda. Scaturisce da un’immagine. È questo pertanto il filo conduttore che accomuna le opere conservate in The Bank ed esposte ai Musei Eremitani. Ma più in generale credo sia il denominatore comune di tutta la produzione artistica collegata alla pittura figurativa, quindi diventa quasi banale – ma allo stesso tempo straordinario – osservare come le produzioni attuali, esposte nelle sale dei Musei Eremitani dedicati al contemporaneo, siano in grado di dialogare con i maestri della figurazione del passato, e di evocare emozioni legate ai due Grandi, ai quali la mostra vuole rendere omaggio.
Ecco che allora, con questi presupposti, per le opere commissionate è stato sufficiente descrivere il progetto all’artista, lasciandolo come sempre libero di esprimersi, convinto che così come è sempre stato, anche questa volta avrebbe lasciato un po’ di sé stesso sulla tela. La pittura figurativa parla dell’uomo ed all’uomo, da sempre. Per questo non ha tempo, è naturalmente contemporanea.

A riveder le stelle, Museo Eremitani, Padova, 2021, installation view

In un momento storico in cui il “concettuale” sembra prevalere sul “figurativo”, ammesso che sia ancora lecito parlare di confini tra generi artistici, in che modo la Collezione “The Bank Contemporary Art” concilia diversi codici espressivi? L’“animula vagula blandula” dell’arte figurativa, un tempo a rischio di estinzione minacciata dalle derive informali, risplende di nuova luce allontanandosi da un mero citazionismo. Sagome riconoscibili e contorni definiti possono dar forma a paesaggi interiori, spesso comunicati attraverso la materica violenza di grumi colorati?
A.M.: Devo dire che non ho mai dato peso a ciò che veniva e viene più o meno “imposto” dal sistema arte.
The Bank pertanto si è sempre mossa al di fuori di qualsiasi dinamica legata a generi artistici “del momento o del futuro”, più o meno riconosciuti o riconoscibili, più o meno accettati o acclamati dalla “critica”. The Bank si caratterizza per essere una “Collezione” esclusivamente di pittura figurativa contemporanea italiana, con qualche limitata presenza internazionale. Nessuna incursione in altre forme espressive. Al contrario, è fortemente specializzata e credo, in questo senso, probabilmente unica. Raccoglie il movimento legato alla figurazione italiana a partire dagli Anni ’90 ad oggi, è in costante crescita ed in continua ricerca. Il nostro è un percorso ben definito, sicuramente controcorrente quando è nato, e ora, come lei osserva, quasi attuale.
Ci muoviamo e ci muoveremo a prescindere dalle tendenze, in un solco ben preciso di tradizione ma anche di estrema attualità. C’è molto fermento, soprattutto tra i giovani artisti legato al mondo della pittura figurativa. Che rimane a mio parere l’espressione più fruibile e più immediata, che mette l’uomo al centro, capace –usando una sua espressione – “di dar forma a paesaggi interiori”. Detto questo, qualsiasi forma artistica, se vera, ha una propria dignità e non può esserci in questo senso una classifica. È tutto molto soggettivo. Un amico, artista “concettuale”, qualche mese fa mi disse: «la pittura figurativa chiacchiera, io parlo». Punti di vista.

Giovanni Gasparro, Labano cerca gli idoli nel baule di Giacobbe, 2013, olio su tela, cm 119×151

Le stelle, simboli della sapienza divina, e protagoniste sia nella volta affrescata da Giotto, sia nei versi conclusivi delle tre cantiche dantesche, sono richiamate dal titolo e dall’ultima sezione dell’esposizione. Qual è il cielo stellato – inteso come rivelazione – a cui desiderate accompagnare lo spettatore? Il rimando ai corpi celesti, evocatori di tematiche esistenziali, vuole suggerire la necessità di rieducare le coscienze – distratte dal moderno “image overload” – a meditare su questioni universali?
Barbara Codogno: Come ho detto, credo che il processo di meraviglia dell’uomo del medioevo e dell’uomo contemporaneo sia fondamentalmente lo stesso. Certo, noi oggi siamo dei prosumer di immagini, ne vediamo e ne produciamo più di 3000 al giorno. Senz’altro siamo in overload ma il distinguo c’è sempre. Il discrimine è la qualità dell’icona proposta. Penso che, se si entra ai Musei Eremitani e si guarda la Croce di Giotto, la sensazione sia di meraviglia. Perché è Giotto. Se si va alla Cappella degli Scrovegni e poi si viene in mostra, la sensazione è amplificata. Perché si ha visto una bellezza immortale e poi si vede la stessa bellezza, le stesse angosce, gli stessi sentimenti, le paure, i dolori, espressi con la stessa intensità che usa però un linguaggio soltanto a noi più vicino. Per quanto mi riguarda, io sono una filosofa di formazione, esistono solo questioni universali.

Antonio Menon: Esporre vuole dire raccontare un po’ se stessi, quasi un mettersi a nudo. Nella sequenza delle opere presentate c’è anche e soprattutto il racconto di un percorso intimo, del tutto personale, di chi ha raccolto i dipinti, un momento di profonda condivisione con il pensiero che l’artista ha voluto imprimere nelle proprie creazioni, il modo per trasformare il pensiero del singolo in un pensiero universale, senza manipolazioni. Si racconta l’uomo. Le opere diventano in questo senso singoli frame che si trasformano in un racconto di ciò che l’uomo vive tutti i giorni; lo smarrimento, la paura, la caduta, il dolore, l’attesa, la speranza e la felicità, protagonista di una grande Divina Commedia. Detto questo, il viaggio all’interno della mostra è un percorso quasi meditativo, del tutto personale e sicuramente emozionale. Le tele potrebbero (e a mio parere lo fanno) stimolare le coscienze. Se così fosse, sarebbe una conferma che non tutto è perduto. Se così fosse sarebbe un’ulteriore conferma della forza della pittura figurativa.

Sergio Padovani, La Cupa Gioia o pala dei peccatori, 2020, olio, bitume e resina su tavola a pala d’altare, cm 100×120 (Copia)

La Padova di oggi, dove gli affreschi di Giotto e il ciclo pittorico della Cappella degli Scrovegni sono recentemente divenuti Patrimonio Mondiale dell’Unesco, potrebbe ancora ambire a raggiungere il protagonismo culturale che la contraddistingueva nel Trecento? L’antica libertà intellettuale, che richiamava voci autorevoli, si respira ancora tra le vie del centro storico o è – almeno per ora – assopita?
B.C.: Viviamo tempi difficili; le coordinate politiche ed economiche che per molti versi sono state scardinate dalla pandemia hanno immobilizzato molto la scena culturale, ovunque. La nomina Unesco è un bel traguardo che credo Padova debba usare per un suo rilancio a tutto tondo. Che la città abbia accolto le opere contemporanee della Collezione The Bank per “onorare” Giotto, Dante e Padova Urbs Picta è a mio avviso un grandissimo segnale che la orienta verso un futuro assolutamente “non ingessato”. Una bella apertura, anche una scommessa. Che abbiamo vinto. La mostra è bellissima, i pareri tutti favorevoli. Certo, un gran lavoro a monte, rigoroso, scientifico, di fino. Ma la fatica è stata ampiamente ripagata dalla bellezza dell’esposizione e dal conseguente consenso: non banale questo risultato per una città come Padova, sede di una Università prestigiosa, legata al Vaticano dalla Pontificia Basilica del Santo, e dove agiscono complesse dinamiche politiche e sociali. Corsi e ricorsi della storia? Proprio qui, Giotto ha dipinto uno dei suoi massimi capolavori per un committente che ereditava una cattiva reputazione (il padre di Enrico Scrovegni, Reginaldo, era un usuraio. Dante lo mette all’inferno). Dal canto mio, sono una grande ottimista: sono certa che la bellezza vinca sempre. Anche se è nascosta, oltraggiata, assopita, momentaneamente all’angolo, la beltà trionfa nell’eternità.

A riveder le stelle, Museo Eremitani, Padova, 2021, installation view

A riveder le stelle
A cura di Barbara Codogno

Opere di Agostino Arrivabene, Saturno Buttò, Marco Fantini, Sergio Fiorentino, Giovanni Gasparro, Alfio Giurato, Federico Guida, Maurizio L’Altrella, Paolo Maggis, Vittorio Marella, Nicola Nannini, Sergio Padovani, Alessandro Papetti, Luca Pignatelli, Desiderio Sanzi, Chiara Sorgato, Nicola Verlato, Santiago Ydanez

Mostra organizzata dal Comune di Padova
In collaborazione con The Bank Contemporary Art Collection
Con il sostegno di Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo

30 ottobre 2021 – 30 gennaio 2022

Museo Eremitani
Piazza Eremitani 8, Padova

Orari: da martedì a domenica ore 9.00-19.00, chiuso lunedì non festivi, Natale, S. Stefano, Capodanno

Ingresso alla mostra con biglietto dei Musei Civici: intero Museo, Cappella degli Scrovegni (su prenotazione), Sala Multimediale, Palazzo Zuckermann Euro 14.00; solo Museo, Sala Multimediale, Palazzo Zuckermann Euro 10.00; disponibili riduzioni e gratuità (fino al 6 gennaio 2022 ingresso gratuito per i residenti a Padova e in provincia e per gli studenti universitari)

Catalogo Antiga Edizioni con testo critico di Barbara Codogno e un racconto inedito di Gabriele Dadati.

Info:
Museo Eremitani
T. +39 049 8204551, comunicazione.cultura@comune.padova.it
www.padovamusei.it
The Bank Contemporary Art Collection
T. +39 335 7180804, info@thebankcollection.com 
www.thebankcollection.com

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