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TORINO | Videoinsight® Foundation | Fino al 3 maggio 2015

intervista ad EMILIA FARO di Corinna Conci

Condividere qualcosa insieme a qualcuno, riconoscere una relazione e non abbandonarla.
Combattere ma senza aprire una guerra. Non rompere un rapporto ma dare una chance all’altro e l’opportunità a se stessi di affrontare senza fuggire. Tutto questo significa stare dentro un conflitto senza ignorarlo, senza negare la paura che ne cancella la presenza. Perché vedere una crisi e accoglierla, dargli forma e visibilità vuol dire contenere le divergenze tra sé e gli altri.
Una donna bionda dall’abito lungo e nero crea il suo percorso salendo le pendici dell’Etna. A piedi scalzi trascina una pietra vulcanica legata ad una caviglia, arrancando in salita tra rovi e rocce. Arrivata in un rifugio sulla vetta, scolpisce la massa scura trasformandola in una serie di sfere, che dispone sul pavimento creando una spirale vitale.
L’accezione più importante e costruttiva del concetto di conflitto viene profondamente indagata in quest’opera: la pietra nera non viene nascosta o buttata giù dalla cima, ma viene lavorata con fatica per mutarla in una presenza diversa, accettabile e anzi dalle caratteristiche evolutive essenziali.

Veduta allestimento, Videoinsight® Center, Torino
Sei la protagonista del tuo video The path leading to love from heights above (2014) dove ti addentri nella natura siciliana delle tue origini con una roccia vulcanica legata alla caviglia. In quest’opera quali sono i contenuti principali? 
Le pietra lavica nel video rappresenta un dolore informe che viene trasformato in un mandala armonioso, simbolo di riconciliazione con la terra che l’ha generata. Il raggiungimento della vetta rappresenta la consapevolezza maggiore, l’altezza che ha permesso di superare quel dolore e trasformarlo.

Emilia Faro, Mandala, lava stones, 2015

Il progetto My Armour (2015) è suddiviso in un video e in un’installazione presente nello spazio dell’esposizione. Quale valore attribuisci alla corazza in ferro, vero e proprio cardine dell’opera? 
Questa corazza ha un doppio significato: conquistare il più possibile dalla vita e difendersi dagli altri. La figura femminile nel video indossa la corazza ed è una guerriera della vita non una vittima. L’opera ha carattere performativo: la protagonista lascia agire su di lei diverse persone con armi finte, non violente ma simboliche. Il mio ruolo qui non ha un significato diverso da quello di tutti gli altri interpreti: ho voluto partecipare per esprimere anche la mia rabbia. La chiusura del video vede il gesto di appendere la corazza (simbolo di vittoria e orgoglio) come soprapporta della sua casa immaginaria, per indicare la dimora del guerriero.
La corazza è un oggetto che mio padre aveva acquistato per la sua collezione di antiquariato ed è stato un elemento che ho sempre visto come parte della casa. Con il passare del tempo ho capito che aveva un grande significato per me e si era instaurato un legame, così ho deciso di utilizzarla per concepirne un’opera.

Emilia Faro, My Armour, steel, leather, 2015
In cinque anni hai prodotto tre video nei quali il soggetto principale è una ragazzina: con lei hai un accordo per cui la sua crescita verrà documentata nelle tue opere, diventando parte integrante del lavoro che porti avanti a livello artistico personale. Sono qui presenti i video frutto di questa collaborazione (The prince’s metamorphosis del 2010, If I was to escape from you del 2013 e The Healing del 2015): ce ne vuoi parlare? 
The prince’s metamorphosis (2010) è il mio primo video in assoluto e nasce da un’immagine che ho avuto in un sogno. I rospi rappresentano qualcosa di insidioso che lascio andare via in un atto di purificazione e catarsi, che la pioggia aiuta a lavare. Per “metamorfosi del principe” intendo la mutazione dell’immagine del padre: il figlio crescendo parcellizza la figura paterna da principe in tanti rospi. La realtà ti mostra la natura del genitore, distruggendo la favola ma non la persona. La scultrice Louise Bourgeois ha lavorato molto sulla distruzione del padre, processo necessario per la ricostruzione di un’immagine più reale di questa figura.

Emilia Faro, If I was to escape from you, frame by video, 2013
Nel video If I was to escape from you (2013) lei scrive una lettera indirizzata al padre, che io ho trasformato in femminile prendendo gli scritti che Kafka dedicava al padre. Sono parole illeggibili, scritte con l’acqua usando i capelli come pennello che scivola sul pavimento di cemento. La chiusura in se stessi è rappresentata dal fatto che nessuno può leggere queste parole perché si asciugano immediatamente.
Nell’ultimo video che dà anche il titolo alla mostra, The Healing (2015), sono invece rappresentati gli organi dell’essere umano più importanti e che possiedono anche per me un valore particolare: il cuore come base dei sentimenti, i reni che depurano il corpo e le ovaie che sono la sede della genesi della vita.

Emilia Faro, The Healing, frame by video, 2015
Safe in deep water (2014) è un progetto video che coinvolge la tua famiglia in un lavoro sulle dinamiche della comunicazione. Su cosa verte la poetica dell’opera?
Mia madre, mia sorella, i suoi due figli ed io ci muoviamo seguendo alcuni gesti che ho sceneggiato, lavorando sulla prossemica come forma di comunicazione. L’immagine iniziale, tetra e soffocante, contiene la famiglia in un’ambientazione azzurra, sott’acqua in un fondale marino. Il concetto si gioca nelle dinamiche tra gli elementi che non si capiscono, non si ascoltano, non si guardano, non ricambiano i contatti fisici.
Emilia Faro, Blue palm watercolor on paper, 2015
Nel video A Palm of Victory I shall wear (2013) il fusto di una palma viene proiettato sul corpo di una donna, sovrapponendo le immagini e condensandole in un unico significato.
Palma e donna sono la stessa cosa. La palma è una delle piante più forti del pianeta, ma nulla è indistruttibile: negli ultimi anni un insetto che nessun uccello riesce a mangiare e nessun altro insetto riesce a eliminare ha stravolto il panorama della Sicilia. Le palme sono morte una per una, in piedi. La palma a cui faccio riferimento era nel mio giardino, l’avevo piantata nella mia infanzia. Il titolo di quest’opera A Palm of Victory I shall wear (2013) si rifà ad un Gospel americano dei primi del Novecento. La palma assurge il significato di vittoria, perché, pur sostenendo i suoi frutti pesantissimi, invece di piegarsi si erge sempre più in alto. Questo concetto lo associo anche alla figura femminile: il vento la flette ma non la può spezzare perché dentro di sé ha una forza infinita.
L’acquerello che chiude la mostra rappresenta una palma blu ed è 3 metri per 2 metri e mezzo, simbolo contemporaneamente di vita e di morte.

Il video e la pittura sono media differenti che usi con molta dimestichezza, integrandone armonicamente i linguaggi. Come è avvenuto il passaggio dalla carta all’immagine in movimento e per te quale accezione possiede?
Il video è narrazione: mi piace raccontare storie e desidero che l’opera venga svelata e si sveli, che sia accessibile. La pittura non mi permette una narrazione, quindi è più statica. L’integrazione di questi due media è per me naturale.
L’opera Eye to Eye (2010) è per me un lavoro importante perché rappresenta il momento in cui ho voluto chiudere con il genere del ritratto. Ho distrutto moltissimi volti conservandone solamente gli occhi, di ogni colore, forma e misura. Da qui è partita la mia attività con il video. Questi due media sono frutti diversi dello stesso albero, ma di stagioni differenti. Esistono stagioni dell’anima in cui ho bisogno di fare un video perché ho un’immagine in testa e momenti in cui ho bisogno di stare a casa o in studio, a lavorare fisicamente sulla carta.

Carlo Sini anni fa tenne una conferenza sulla relazione tra l’universo e l’essere umano. Raccontò di come oggi l’uomo sia distante dal concetto copernicano che lo poneva al centro dell’universo. Secondo il filosofo, la nuova percezione di sé crea un senso di inadeguatezza e di piccolezza ansiosa rispetto alla vita. Emilia Faro era presente e rimase impressionata da questo pensiero. Tornò a casa e dipinse ad acquarello Corpi celesti di una instabile dimora (2011), per raffigurare la sensazione di precarietà che la colpì. Capovolse la posizione del cielo rispetto all’uomo, poggiando l’universo sul pavimento. E lì è sdraiato ora il suo spazio, esposto alla mostra The Healing presso la Videoinsight® Foundation. 
In un certo senso, tutte le opere di Emilia Faro hanno come soggetto corpi celesti di instabili dimore. Le fattezze di grande spiritualità e mutabilità dei suoi personaggi sembrano comunicare che nella resistenza ad alcune condizioni umane si nasconde una forza senza fine. Così le lenti corrette per leggere queste opere risultano dei messaggi universali: stare nella situazione comprendendo la propria relativa potenza e avere chiare le regole per arrivare ad un compromesso. Abitiamo case instabili ma possediamo strumenti cognitivi e vastità dell’anima per elaborare i fatti della vita. Non si parla quindi di risolvere conflitti: risoluzione è una parola che possiamo lasciare al dizionario delle matematiche. I linguaggi profondi e complessi dell’arte e delle dinamiche emotive/relazionali utilizzano le parole trasformazione, gestione e superamento. Come sostiene lo psicoterapeuta Marco Mazzetti “La pace è il risultato dello stare nel conflitto senza passare alla guerra”.

 

Emilia Faro. The Healing
a cura di Olga Gambari

30 marzo – 3 maggio 2015

Videoinsight® Foundation 
Via F.Bonsignore 7,  Torino

Info: www.fasv.it

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