BRESCIA | Galleria Massimo Minini | 15 gennaio – 26 febbraio 2022
di ILARIA BIGNOTTI
Quali sono i limiti della visione materiale di un’opera d’arte e come è possibile, attraverso tali limiti – il perimetro dell’opera stessa, il colore e le sue stratificazioni, il supporto e la superficie dell’immagine, la relazione con lo spazio – far sì che l’opera assolva al suo scopo, mostrare ciò che non può esser visto, eppure c’è, e ha anche forma, nel nostro profondo?
E queste immagini, che non possono essere fisicamente delimitabili, eppure proprio nel loro continuo sfuggire sono fondamentali per la nostra percezione del reale, possono essere altrimenti narrabili?
La parola, d’altra parte, fa vedere?
Domande incommensurabili nel loro valore, che pongono, in questo periodo storico dominato dalle aberrazioni e dalle mistificazioni dei social network e del doppio virtuale, questioni ancor più urgenti, per non dire ontologiche, sul senso dell’opera d’arte.
Se per Heidegger essa altro non attende che la sua propria materiale manifestazione, la quale in modo innato avviene e l’artista ne è il semplice tramite, il canale tecnicamente capace di farla venire alla luce, l’esperienza che accade nella mostra di Maurizio Donzelli e Paolo Novelli – i cui cognomi, assonando, pare portino alla deduzione che qualcosa accomuni davvero questi due artisti, al di là della loro contingente mostra personale, negli intenti della ricerca – è estremamente affascinante e non lascia certo deserto il terreno della fantasia e della riflessione teorica.
L’ingresso alla prima lunga sala della galleria, dedicata alla recentissima produzione di Maurizio Donzelli, è pervaso di luce: luce dorata e luce nera.
Due grandi dipinti, posti l’uno di fronte all’altro sulle due pareti lunghe, bianche, lasciano riverberare i petali che ne costituiscono la superficie dorata e vibrante attorno ai loro perimetri: un’aura delicata eppur persistente, caldissima, crea un alone trascendentale.
Lo sguardo si muove, e si proietta in fondo: ne è catturato.
Qui, una composita installazione di opere pittoriche, realizzate su tela e su superfici metalliche con una tecnica misteriosa che Donzelli definisce come Lux Drawing, trasuda di rivoli neri, grigi, metallici, rilucenti e assorbenti la luce; bagni dorati si contrappongono a tinte fosche.
L’atmosfera è quella di un luogo di pura contemplazione, dove ciò che si vede è ciò che può essere, altrove, non ancora, veduto.
Il titolo della mostra è magistralmente scelto: Immaginale.
“Il filosofo Gaston Bachelard a proposito dell’intuizione ha scritto che essa non si dimostra, si sperimenta – ha ricordato in uno scritto programmatico e relativo a questo progetto espositivo Maurizio Donzelli stesso – …io credo che allo stesso modo si potrebbe dire dell’immaginazione, perché ogni discussione attorno e a proposito di tale termine ha efficacia solo se si fa esperienza immaginale, e soprattutto se questa fragile esperienza è condivisa. (…) Al sostantivo “immaginazione” preferisco il termine più complesso di “immaginale” perché tale termine ci colloca in un territorio intermedio sospeso tra percettibile e impercettibile. (…) Io credo che ogni forma d’arte sia da sempre, (anche all’insaputa del proprio autore), una sorta di ermeneutica che oltrepassa l’oggetto esteriore attraverso lo sforzo di una sensibilità interiore, impedendo (all’artista in primis) di cadere nella trappola di una realtà schematica riduttivamente razionale e normativa. Non ci sono risposte, esiste soltanto il percorso e di volta in volta il significato”. Le sue parole, che al solo leggerle, se accostate alle sue opere, fanno venire alla luce una miriade di altre immagini, in un processo di ecoizzazione e riverbero della visione, paiono essere racchiuse, nella seconda sala, in quattro opere, una a fianco dell’altra, della stessa dimensione, che racchiudono e sprigionano segni che rigogliosi si attorcigliano, insinunandosi e inseguendosi tra un fondale che non è più tale e una superficie che affonda (e con sé trascina lo sguardo). La partita della visione si condensa e alfabetizza in una sola parete. Attorno, è il vuoto.
Dopo, dalla terza sala, le finestre paiono oggettivamente sbarrate.
Le fotografie durissime e assorte, in bianco e nero, di Paolo Novelli, che sono raccolte nella sua mostra personale dal titolo Il giorno non basta, presentano l’evidenza di muri di edifici le cui finestre sono, infatti, murate e non mostrano ciò che è dietro al loro schermo. Una metafora enorme, potentissima, del problema del medium fotografico: un problema, anche per Novelli, legato al cosa far vedere, al come far vedere, e al sé, prima di tutto, ciò che faccio vedere io è ciò che l’altro vedrà, e in primis il mio obiettivo, l’occhio di una macchina.
Il problema dell’errore che nell’in between tra lo sguardo d’artista, lo sguardo che le cose all’artista rivolgono e lo sguardo che il mezzo interroga, guardando l’artista e le sue scelte, le cose e il loro manifestarsi, è al centro di questa mostra. Da qui scaturiscono le opere disposte alle pareti, ordinate, perseveranti, come uno stillicidio di cui sentiamo il desiderio. Esse ci mostrano ciò che non è visibile, facendocelo vedere: fino all’ultima sala, dove il numero delle fotografie si rarefà e lo spazio si oscura. Lo sguardo si addensa, si irrigidisce, cerca riparo. Trova apertura altrove: proprio dove la comunicazione è interrotta, lì possiamo gridare di nuovo.
Maurizio Donzelli, Immaginale
Paolo Novelli, Il giorno non basta
15 gennaio – 26 febbraio 2022
Galleria Massimo Minini
Via Apollonio 68, Brescia
Info: +39 030383034
info@galleriaminini.it
www.galleriaminini.it