MILANO | Civico Museo-Studio Francesco Messina | 16 gennaio – 17 febbraio 2019
Intervista a VALDI SPAGNULO di Matteo Galbiati
In occasione della mostra personale al Civico Museo-Studio Francesco Messina di Milano abbiamo incontrato, nel pieno del lavoro di preparazione e organizzazione di questo importante progetto, l’artista Valdi Spagnulo (1961) con il quale ci siamo intrattenuti in un lungo e approfondito scambio e confronto sulla sua ricerca, sulla poetica del suo linguaggio e sulla sua storia artistica.
Questo il riassunto del nostro incontro:
Questa mostra è una tappa importante per la tua carriera: una personale a Milano, nello studio di Messina, luogo dove si celebra la scultura, che valore ha per te questa tua personale?
In effetti questa è la prima personale pubblica che Milano, mia città adottiva (vi abito dal 1973), dedica alle mie opere. Nel mio più recente percorso – che sin dagli esordi è stato felicemente costellato da incontri critici importanti e mostre di rilievo – quella al Civico Museo-Studio Francesco Messina, che negli ultimi anni, grazie ad una oculata scelta critico-culturale delle conservatrici, ha accolto una serie di mostre di scultori di diverse generazioni e linguaggi, è una tappa davvero importante. Alcune esperienze mi hanno coinvolto più di altre, soprattutto quelle che hanno saputo mettere a frutto maggiormente l’“autonomia espressiva” della mia ricerca: pensando alle opere del maestro Messina e all’aspetto architettonico della Chiesa di San Sisto, ho cercato di mantenere le “giuste distanze”. Il valore di questa mostra è una sfida dal sapore “romantico”.
Da giovane a Milano incontrai, nelle grandi mostre pubbliche di allora, l’opera di Carrino, Pardi, Spagnulo (Giuseppe n.d.r.), Uncini, Ramous e Staccioli e visitai anche lo studio di Messina. Lo conobbi da liceale e, pur lontano dai miei riferimenti, mi appassionò il suo lavoro per l’uso dei materiali e per l’aspetto policromo di alcune sue sculture (la mia esperienza artistica inizia come pittore per passare poi alla scultura). Ecco, sento questa mostra come un confronto in antitesi tra due differenti linguaggi scultorei.
La mostra ha avuto una genesi complessa, su quali pezzi ti sei concentrato e come hai costruito questo progetto? Cosa presenti?
Le opere illustrano lo stato recente della mia ricerca artistica sul tema dell’alleggerimento visivo della scultura e sulla possibilità che ha di interagire con lo spazio attraverso un “disegno” di tipo tridimensionale. Innesto la mia ricerca nel solco della scultura detta “di sola linea”, che ha certamente una forte concentrazione lirica ed è, per vocazione, antimonumentale. La mio operare cerca uno stretto rapporto con l’architettura e mostra l’intenzione deliberatamente chiara di delineare un limite, di tracciare confini strutturali di uno spazio che, virtualmente o realmente, diviene abitabile.
Al tempo stesso, lavorando sulla combinazione di materiali differenti (ferro, acciaio inox e plexiglass) e sugli effetti cromatici e riflettenti della scultura, tendo a interrogarla nella sua dimensione ambientale, sul tema della disseminazione di elementi plastici e la loro relazione reciproca che espandono il racconto della scultura in una dimensione aperta, dinamica, tra simmetrie e asimmetrie spaziali. Per me la scultura non rappresenta lo spazio, ma lo contiene.
Qui presento principalmente due installazioni: una, al piano terra, del 2009 dal titolo Riverberi e l’altra site-specifc, al piano interrato, intitolata Contrappunto (del 2018).
Ci racconti più nel dettaglio Contrappunto?
È l’opera portante pensata e progettata per questa mostra: sulla traccia del “disegno scultura”, dell’alleggerimento visivo, del concetto di scultura aperta, asimmetrica, dinamica nello spazio quali basi del mio operare, ho inteso mettere in relazione i due livelli di questa Chiesa a pianta centrale, attraverso il foro a balconata che, dal piano terra, si affaccia sul piano interrato. Qui si collocherà Contrappunto, opera composita di grandi dimensioni in acciaio spazzolato, brunito con inserti di plexiglass trattato, colorato, fluorescente, tutto appoggiato su un piano di lastre di inox lucidato a specchio. Gli elementi filiformi, torti e piegati a caldo, con i plexiglass inseriti, si proiettano verso l’alto e affiorano al piano superiore per lasciarsi sfiorare subito dallo sguardo di chi visita il luogo e che, poi, si ritrova specchiato, una volta esplorata, nell’opera.
Come nelle scritture e nei cori musicali, l’indipendenza delle varie parti porta le materie diverse ad agire come voci che trovano armonia nella mescolanza reciproca e trovano un originale contrappunto.
Il suo aspetto materico / dirompente / asimmetrico / irregolare / opaco / cromatico / specchiante è un contrappunto. La melodia delle forme e delle linee coinvolgerà lo spettatore in ogni punto di vista da lui scelto Contrappunto è un’opera che vuole condurre e incontrare l’occhio e l’anima di chi la vede.
Che chiavi di lettura ti senti di suggerire al possibile spettatore?
Con le due opere voglio offrire l’idea di una selva naturale dove si intrecciano le forme delle sculture e le pre-esistenze dell’ambiente architettonico. Una scultura fatta di assenza di materia, forme e segni che si reiterano e grazie alla luce riverberano la presenza di se stesse, tracciando immagini liriche e poetiche, con una forza dinamica mai invasiva che chiede a chi guarda di completare la fisicità dell’opera e di non subirne l’imponenza monumentale.
Oggi, un lavoro come il tuo – una scultura per certi versi “tradizionale” – di quali valori può (e deve!) ancora farsi interprete? Cosa sono i pilastri della tua riflessione artistica?
Parto dalla fine: il pilastro fondamentale del mio lavoro è la contraddizione di quelle regole dei materiali – e per estensione quelle del mondo – che devono (e deve) essere sollecitato al nuovo.
La curiosità e la conoscenza delle regole per poterle disattendere o sollecitare generano creare crepe in una corteccia dura e spesso obsoleta nel mondo che creiamo e viviamo. Da questo presupposto, e dalle eredità di grandi artisti che ho studiato e conosciuto, nasce la mia poetica.
Non creo progetti o disegni per le mie sculture, nascono agendo direttamente sulla materia fino, a volte, a stravolgere l’idea di partenza. La loro apparente ripetitività attiva un “gioco” complesso, provocatorio che porta la scultura a non essere mai uguale, ad essere difforme, precaria, in bilico tra solidità e fragilità. Non sento più certe etichette, ho sempre più voglia di divertirmi lasciando però un “segno” forte e incisivo (passionale!) del mio operato.
Quali sono i tuoi punti di riferimento e quali sono le tue esigenze nel fare lo scultore?
Nelle arti visive amo quegli artisti il cui lavoro è stato sempre in bilico tra il quadro/oltre il quadro, tra lo scolpire/oltre lo scolpire insomma quegli artisti che si sono posti il problema del superamento dei confini. Posso aggiungere a quelli che ho già sopra citato Tàpies, Fontana, Castellani, Manzoni, Klein, Lo Savio, Dadamaino, Leoncillo, Melotti, Colla, Pascali, Varisco, Campus, Cage, Stratos, Colombo, Studio Azzurro… Un potpourri di interessi vari ed alterni, senza dimenticare assolutamente mio padre Osvaldo che mi ha trasmesso insegnamenti preziosi e l’amore forte per l’arte e i suoi linguaggi. Il rapporto con lui è stato sicuramente complesso, articolato e non sempre facile ma sicuramente mai avverso, benché severo, alla mia ricerca.
C’è anche il rapporto di studio (poi anche professionale e personale) con la critica con le figure di Gillo Dorfles, Rossana Bossaglia, Enrico Crispolti, Luciano Caramel, Francesco Poli, Claudio Cerritelli, Alberto Veca e, tra quelli più vicini alla mia generazione, Francesco Tedeschi e Giorgio Zanchetti; grazie a loro ho colto aspetti di riflessione imprescindibili.
Mi è stato utile il rapporto con i galleristi, e chi ha lasciato il “segno” è Patrizia Serra di Spaziotemporaneo a Milano: il rapporto con lei ha contribuito alla mia crescita. Il suo ambiente, dove si respirava il profumo agre e severo dell’arte, è stato utile per approfondire dialetticamente il rapporto tra me e ciò che volevo da me.
Cosa ti aspetta l’anno che sta per iniziare? Nuovi progetti, desideri, idee…?
Con questa personale si chiude un capitolo che si era aperto circa due anni fa e che culmina in un catalogo (edito da Edicta Parma), che sarà presentato durante la mostra. Racchiude i testi del curatore unitamente a quelli i molti altri critici che mi hanno sempre seguito e che danno una loro testimonianza e un’analisi diversificata sulla trentennale mia attività che questo volume ripercorre. Il catalogo della mostra sarà poi pubblicato dal Comune di Milano nella collana Perimetri.
Un docu-video, realizzato ad hoc per la regia del film-maker Roberto Sabatino, accompagnerà la mostra con spunti di riflessione dei critici intervenuti con i loro testi nel catalogo.In primavera ho una bi-personale in una villa storica del milanese con un maestro e amico.
Segnalo con orgoglio la recente acquisizione dell’opera Domus dinamica 2 (2008-2009) per la collezione di Intesa Sanpaolo che, a breve, sarà presentata presso le Gallerie d’Italia.
Vorrei sviluppare progetti di mostre a tema con generazioni a confronto e mi farebbe piacere coinvolgere, in primis, giovani critici e alcuni spazi pubblici anche se non strettamente deputati alle arti visive.
Valdi Spagnulo. Contrappunto
a cura di Luca Pietro Nicoletti
16 gennaio – 17 febbraio 2019
Inaugurazione martedì 15 gennaio ore 17.00
Civico Museo-Studio Francesco Messina
Via S. Sisto 4/A, Milano
Orari: da martedì a domenica 10.00-18.00; chiuso il lunedì
Ingresso libero
Info: www.fondazionemessina.it
www.valdispagnulo.it