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BERLINO (GERMANIA) | Sedi varie | 29 maggio – 3 agosto 2014

di MASSIMO MARCHETTI 

Durante la visita dell’ottava Biennale di Berlino viene da pensare alla settima. Tanto l’edizione curata da Artur Zmijewski e Joanna Warza era stata provocatoria, quanto quella di quest’anno curata da Juan A. Gàitan è costruita su di un concept sfumato. Nel 2011, attraversando le sale del KW, eravamo stati spiazzati dalla presenza di alcuni lavori totalmente inattesi, come la replica in corso d’opera del gigantesco Cristo devozionale di Miroslaw Patecki, e operazioni sfacciatamente retoriche se non strumentali, su tutte l’estetizzante centralità offerta ai movimenti Occupy. Conoscendo il lavoro di Zmijewski, resta viva l’impressione di aver assistito a un’ambigua operazione artistica camuffata da mostra attivista, dove si erano portati alle estreme conseguenze alcuni luoghi comuni dell’arte attivista. A distanza di due anni, però, viene quasi da rimpiangere la drasticità di quel progetto che, sebbene sia apparso fallimentare nei risultati, per lo meno costringeva a discutere del rapporto tra piano artistico e piano del reale.

Judy Radul, Look. Look Away. Look Back, 2014, custom camera control system, live cameras, prerecorded video (shot on location in the South Sea collection of the Ethnologisches Museum, Staatliche Museen zu Berlin), video monitors, display cases, objects, dimensions variable, installation view Courtesy Judy Radul; Catriona Jeffries Gallery, Vancouver Photo Anders Sune Berg

Quest’anno invece si torna all’interno della norma con la declinazione poco stringente di una miscela di presupposti teorici molto frequentati in ambito curatoriale, quali il ruolo del museo nell’elaborazione di un capitale simbolico, il significato degli sviluppi urbani di Berlino e un richiamo ai fitti scambi interculturali con le aree extra-europee come strumento con cui rileggere i processi di storicizzazione. Ciò di cui si sente la mancanza è una riflessione più articolata che renda questi temi appuntiti, ma la necessità da parte dei curatori di rispondere a delle aspettative di tipo quantitativo, inevitabili nel format delle biennali, costringe spesso ad annacquare la parte teorica per allargare la cerchia degli artisti coinvolti. Stando quindi alle dichiarazioni di Gàitan, la discussa ricostruzione in corso dell’antico Stadtschloss “dov’era e com’era” (il grande palazzo degli imperatori davanti all’Isola dei musei distrutto nel corso della guerra) è l’emblema di come a Berlino, subito dopo la caduta del Muro, si sia guardato o molto in avanti, con progetti architettonici clamorosi che intendevano collocare la città già oltre il Duemila, o molto indietro, ricostruendone ampie parti con spirito storicista e in sostanza “memorializzando” l’intera città.

Haus am Waldsee, Artist's work Tony Cragg, Outspan, 2008 © Lukas Spörl / Jalag Syndication

Una grande rimozione si è quindi abbattuta sulla Berlino della Guerra Fredda e sui segni della divisione ideologica del Novecento. Tutto ciò, nella riflessione del curatore, non sarebbe altro che il caso più visibile di un processo globale che risponde alla volontà di annullare una memoria che altrimenti avrebbe tenuto in vita le importanti promesse sociali del secolo passato: promesse di cittadinanza inclusiva, di urbanismo responsabile, di un’architettura della gente e per la gente. In quest’ottica possiamo dunque dedurre come l’istituzione museale, che non solo conserva ma di fatto costruisce la memoria collettiva, sia uno degli strumenti più importanti nelle strategie culturali e politiche di riscrittura della storia. Peccato che nel percorso della biennale tutto ciò risulti leggibile a fatica.

Mario García Torres, Sounds Like Isolation to Me, o. D. n/d, acetate, cardboard, ink, linen, magnetic tape, oil, paper, sheet metal, sound, video, wire, wood, dimensions variable, installation view Courtesy Mario García Torres; Proyectos Monclova, Mexico City; Jan Mot, Brussels; neugerriemschneider, Berlin Photo Anders Sune Berg

Tre i siti coinvolti fra centro e periferia: il campo-base al KW come da tradizione, il bel Museo Etnologico e delle Culture Asiatiche di Dahlen e la Haus am Waldsee, una suggestiva villa privata importante sede di iniziative culturali e artistiche tra gli anni Cinquanta e Ottanta. Tre luoghi che corrispondono ad altrettante tipologie di contestualizzazione dell’arte contemporanea, e quindi di sua significazione. In più è stato allestito il Crash Pad, una quarta sede minore per i cicli di conferenze allestita citando il gusto orientaleggiante d’inizio Novecento. [continua…]

8th Berlin Biennale
a cura di Juan A. Gàitan 

29 maggio – 3 agosto 2014

Sedi varie
Berlino (Germania)

Info: KW Institute for Contemporary Art
Kunst-Werke Berlin e. V.
Auguststraße 69, Berlino
+49 03 02434590
www.berlinbiennale.de

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