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La mostra Traccia 01 segna il primo passo di un progetto curato da Francesca Comisso alla Galleria Martano di Torino. In quest’occasione sono poste in dialogo opere di Vincenzo Agnetti, figura centrale dell’arte concettuale, e dei giovani artisti Alessandro Quaranta e Driant Zeneli. Già i loro nomi lasciano presagire l’intensità dell’esposizione: una densità e una concentrazione di temi, rimandi e dialoghi possibili che stimolano numerose riflessioni sul fare arte oggi, essere artista, sul rapporto con la storia e la memoria. La mostra, che fissa la propria linea di partenza dalla storia quarantennale della Galleria, avvicina opere con ricerche che partendo da un punto di vista privato raggiungono l’universalità, passando per tematiche quali il tempo, la memoria personale e collettiva, i lasciti personali, generazionali e storici per giungere fino a questioni come l’arte, la narrazione, i suoi mezzi, le sue verità e le sue illusioni. Abbiamo intervistato Francesca Comisso in anteprima.

Silvia Conta: La mostra nasce in una galleria che ha una fortissima identità e connotazione storica, come entra in relazione con i lavori di giovani artisti?

Francesca Comisso: La mia risposta alla richiesta di Liliana Dematteis di proporre alcuni appuntamenti con artisti della giovane generazione nasce proprio da questa premessa. Traccia, di cui questa mostra è il primo episodio, allude a qualcosa che resta, un orientamento, un indizio, che si può cogliere, interpretare, assumere, dimenticare, ma che presuppone un dialogo tra presente e passato. Questo il punto di partenza della mostra e del progetto espositivo in generale, che nasce in relazione alla storia quarantennale della galleria e alla sua vocazione alla produzione, raccolta e conservazione di documenti sulla ricerca artistica tra avanguardie storiche e neoavanguardie degli anni sessanta e settanta. Ho frequentato molto questo luogo, non solo perché vi ha sede l’Archivio Gallizio, di cui faccio parte, ma per consultare le sue pubblicazioni, studiare i documenti originali che conserva. Nello specifico mi interessava dunque che la galleria, che non ha una programmazione specificatamente rivolta alle ultime ricerche, non fosse solo la cornice della mostra, ma che in un certo senso “partecipasse” alla mostra.

La scelta di far dialogare i lavori di Alessandro Quaranta e Driant Zeneli con le opere di Agnetti nasce da questo?

Sì. La prima traccia da cui sono partita è legata all’interesse per la parola – inscritta nell’opera o da essa generata – che costituisce uno dei principali indirizzi di questo spazio espositivo. Agnetti è una figura centrale dell’arte concettuale italiana che ha lavorato sul linguaggio creando cortocircuiti tra codici e convenzioni che inducono a interrogarsi sul suo funzionamento, sul suo rovescio, con una prospettiva che tiene in conto la sfera emozionale e che ha sempre una prospettiva critica, quando non politica. Ho scelto due lavori – Frammento di tavola di Dario tradotto in tutte le lingue (1973) e il catalogo-opera Il segno portatile: 14 proposizioni, prodotto in occasione della personale che fece nel 1972 in galleria – che tematizzano il concetto di tempo, di trasmissione e di traduzione, tutte questioni che, con differenti declinazioni, interessano i lavori video di Alessandro Quaranta e Driant Zeneli.

Cosa accomuna le opere di Quaranta, Quelle montagne che mi impediscono di vedere, e di Zeneli, When I grow up I want to be an artist?
Partono entrambi da un racconto biografico “ricevuto” e “trasmesso”, dove la parola è il segno portatile di cui parlava Agnetti, un lascito destinato a circolare, a cambiare lingua, a passare di mano in mano in un viaggio che attraversa la storia del Novecento, tra Seconda Guerra Mondiale e Guerra Fredda, tra Est e Ovest dell’Europa, e incrocia la storia dell’arte, la questione della visione, della produzione delle immagini e il loro significato e ruolo. Entrambi gli artisti mettono in atto una straniante quanto illusoria circolarità tra passato e presente, in cui diviene centrale il ruolo della trasmissione e gli atti di traduzione e rimessa in questione dei significati che essi comportano. When I grow up I want to be an artist è il sogno del padre raccontato al figlio artista Driant Zeneli. Un racconto che si dipana intorno all’immagine che egli realizza mentre parla. In essa si riflettono e convivono storie, destini e significati diversi, con un effetto caleidoscopico in cui biografia e storia, personale e collettivo, estetico e politico si intrecciano e sovrappongono. Alessandro Quaranta mette in gioco la questione del vedere e della visione, creando una partitura a più voci – e a più autori – a partire dall’immagine paradigmatica del confine, la montagna, e da una vera storia di frontiere e stratagemmi per superarle (Quelle montagne che mi impediscono di vedere). Il concetto di confine, storico, politico, culturale, è un’altra prospettiva di analisi con cui i due artisti, ciascuno a proprio modo, articola il proprio discorso.

La mostra in breve:
Alessandro Quaranta/Driant Zeneli
Traccia 01- con Vincenzo Agnetti

a cura di Francesca Comisso (a.titolo)
Galleria Martano
via Principe Amedeo 29, Torino
Info: 011 8177987
www.galleriamartano.it
28 maggio – 30 giugno 2010
Inaugurazione giovedì 27 maggio ore 18,30

In alto da sinistra:
Alessandro Quaranta, video Quelle montagne che mi impediscono di vedere, 2007
Driant Zeneli, When I grow up I want to be an artist, 2007, video, min. 21’55. Courtesy dell’artista
Vincenzo Agnetti, particolare di tavola di Dario tradotta in tutte le lingue, 1973

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